Posso
parlare di un argomento impopolare? Ci pensavo ricevendo e cominciando a sfogliare
un libro uscito per Stampa Alternativa, ovvero Zitto e scrivi di Chiara
Lico, ovvero storia di un giornalista precario. Ho continuato a pensarci
leggendo il puntualissimo intervento
della stessa autrice nel blog Fronte
della comunicazione. Soprattutto laddove dice:
Il progressivo declino della
competenza di chi lavora in questo ambito trova alimento anche nella minor
selezione che viene fatta alla radice. Ad esempio nessuno affronta come si
dovrebbe l’infausto pullulare delle scuole di giornalismo che sfornano, di anno
in anno, giornalisti abilitati alla professione che a parte gli stages estivi
non sanno neanche che cos’è la gerenza di un giornale ma in compenso tolgono
possibilità a chi da anni si fa le ossa gravitando intorno a una redazione e collaborando
in cambio di una scarsa remunerazione.
E ancora:
Su questo tessuto indebolito si
sono innestate, a partire dall’anno 2000, tutta una serie di nuove iniziative
editoriali benedette da nomi eterei che sanno di libertà (freepress), titoli
impalpabili come l’online che le ospitò (portale, vortale… ve lo ricordavate il
vortale?). Bene. Lo sciacallaggio vero si è alimentato lì: perché queste
“novità” sono state (e sono tuttora) il ricettacolo di collaboratori giovani
che cercano di accedere alla professione giornalistica attraverso le più strane
e incredibili scorciatoie. Che spesso però si materializzano solo come grandi
illusioni per chi ci lavora ma come un grande affare per chi alimenta queste
speranze. Il risultato qual è: che il bravo professionista è spesso seduto
accanto al precario di turno. Con la differenza che mentre il primo decide come
muoversi su un pezzo, di capire quali sono le logiche, di studiare la
situazione, chi è meno strutturato e tutelato (anche sindacalmente) in linea di
massima asseconda – e in fretta – la linea editoriale che gli viene imposta. E
dire linea editoriale è andarci molto leggeri. E allora parliamoci chiaro: ma
ai capi conviene di più avere 20 persone “fisse” (che possono tenergli testa) o
20 contratti a termine (che ricatta a suo piacimento?).
Ora.
Essendo un po’ stufa del vaudeville La
critica è morta trallallà che continua ad essere rappresentato anche se non
interessa che a quattro gatti (facciamo otto: i quattro residui sparano bordate
contro gli altri quattro), mi pare che richiamare l’attenzione su questo punto,
e discutere di cronaca (di cronaca culturale, anche), sia cosa più sana.
Come
contributo personale sulla faccenda della formazione giornalistica, posso soltanto raccontare di aver avuto un paio di
inflessibili vaglianti sulla mia
strada: persone che mi chiamavano a casa per ripunteggiare un articolo da cima
a fondo. O che mi facevano riscrivere un incipit anche dieci volte. O mi
insultavano per leso paragrafo. E, soprattutto, quando ero appena uscita dal
liceo, c’è stato chi mi ha insegnato che dentro le virgolette vanno le cose
effettivamente dette dall’intervistato.
Sarà banale: ma alla vostra eccetera,
un paio di settimane fa, è capitato di stare, per una volta, dall’altra parte
della barricata, e di passare un’ora al telefono con la giornalista di un noto
magazine femminile. Argomento, letteratura e web. Risultato, una riga e mezza,
e fin qui ci sta. Solo che io non avevo mai detto quello che era fra le virgolette,
ovvero che, nelle librerie olandesi si proiettano i booktrailer. Ecco: io in una libreria olandese non ci sono
mai stata, lo giuro.
bella discussione, ma mi sembra che i problemi di oggi son quelli di ieri, basta leggere i libri di pansa (impaginò, su repubblica, un’intervista inventata, falsa; all’ex segretario socialdemocratico dello sdi).
non sono d’accordo: i più servili, i meno seri non sono i precari. son quelli che ce l’hanno nel dna, il servilismo. precari e no.
io, che sono un “garantito” (il cosiddetto articolo 1) ho ammirazione per tanti precari, e non solo io.
de bortoli, al corsera, li sapeva valorizzare.
semmai: la tutela sindacale a volte ti fa sentire un intoccabile. puoi “virgolettare” quel che ti pare. il precario fa più attenzione.
se il precario fa uno scivolone, per esempio non verifica l’attendibilità di una fonte, rischia; il garantito rischia, ma molto meno.
poi ognuno tende a generalizzare, partendo dalla propria esperienza.
io, per esempio, vedo questo.
succede un episodio di cronaca nera.
il garantito 9 volte su 10 tende a risolvere (informazioni più articolo) telefonando.
il pracario va a vedere. finché non diventa, pure lui, un garantito.
una volta si diceva: “non ci sono più le mezze stagioni”…
si dice ancora…
…peccato che nel frattempo anche i climatologi hanno cominciato a dirlo…
Mah, alcune critiche mi sembrano un po’ “in serie”.
personalmente ho imparato di più sulla gerenza e sugli obblighi deontologici del giornalista (interviste e virgolettati) all’Ifg di Urbino che nelle diverse redazoni che ho girato, da stagista, assunto, precario e cococo.
La questione è la selezione in generale e il sistema su cui si basano le assunzioni (contatti personali e zero curriculum): hai mai visto in Italia un annuncio per assumere un redattore o un caposervizio in un quotidiano nazionale?
All’estero è la normalità, da noi sarebbe un pesce d’aprile