ALIENS

Su L’Espresso in edicola oggi c’è un articolo di Kevin
Roberts sulla famigeratissima Y Gen. Estratto a vostro uso e consumo.

Se i 60
anni di oggi corrispondono ai 40 di qualche tempo fa – e ci conto proprio –
allora i 12 corrispondono ai 16. I ragazzi non sono mai stati altrettanto
collegati, maggiormente messi in comunicazione, più connessi. I confini
demografici tra infanzia, adolescenza ed età adulta sfumano, si stanno
dissolvendo. Io sono convinto che sia un bene. Ma partiamo da cinque dati
fondamentali.

La grande maggioranza dei ragazzi tra i 12 e i 24 anni il più delle volte trova
noioso l’intrattenimento che ha scelto. All’età di quattro anni il 45 per cento
dei bambini ha usato un mouse, il 27 per cento ha utilizzato un computer a
casa. Il 70 per cento dei ragazzi tra i 13 e i 17 anni usa il cellulare per
stabilire rapporti sociali o per creare altro genere di contenuti: e gli
adolescenti italiani lo fanno ancora più dei loro coetanei negli Stati Uniti e
nel resto dell’Europa occidentale.

Nel 2005, i bambini hanno influenzato circa il 47 per cento delle spese delle
famiglie americane, per una somma superiore ai 700 miliardi di dollari. E
infine, circa il 60 per cento degli appartenenti alla cosiddetta Generazione Y
(tra i nove e i 29 anni) si sente personalmente responsabile nel voler cambiare
il mondo, mentre circa l’80 per cento crede che le grandi società dovrebbero
sentire la responsabilità di unirsi a loro.

Oggi più che mai, quindi, questo mondo è dei giovani. I fattori fondamentali
che caratterizzano l’essere ragazzi non sono cambiati: giocare, essere
popolari, emergere (o non emergere), essere implacabilmente curiosi. Anche i
grandi interrogativi sono rimasti i medesimi. Chi sono? Perché non posso? I
ragazzi saranno sempre un passo più avanti degli adulti, e gli adulti saranno
sempre ragazzi sotto mentite spoglie. Nelle ‘Notti al museo’, i pernottamenti
per ragazzi organizzati dal museo americano di Storia naturale, sono decine gli
adulti che chiedono inutilmente di poter trascorrere anche loro lì la notte, ma
senza figli.

Quello che invece è davvero cambiato è tutto il mondo che ruota intorno ai ragazzi.
Intrattenimento, tecnologia, marchi formano un tutt’uno, una cultura unica e
ininterrotta, fatta di immagini, suoni e movimento. Ogni cosa è mezzo di
comunicazione. Ognuno si connette. Ogni luogo è connesso. E se le mamme sono le
sentinelle di questa Repubblica dei consumatori, allora i veri padroni delle
chiavi sono i ragazzi. La Generazione Y è multitasking, fa molte cose allo
stesso tempo, non ‘spegne’ mai. Non dimentichiamo, del resto, che è la prima
generazione cresciuta con Internet.

I giovani, saturati di pubblicità disgustosa, sono in realtà i consumatori più
raffinati che esistono. Come ha detto Malcolm Gladwell: "I ragazzi sono
esperti del loro mondo e conoscono la differenza che passa tra la versione del
marketing e la versione reale". La verità è che i giovani sono molto più
svegli degli adulti, individuano più rapidamente la dissimulazione e avvertono
gli altri molto più velocemente. La Generazione MySpace è sfuggente, scettica,
interattiva, si lascia influenzare soprattutto dagli amici. Hanno a cuore
alcuni marchi, certo, perché i marchi parlano alla loro vera identità, ma è
facile per loro cambiarli e sostituirli. Riuscire a essere una proposta
sostenibile di marchio per i ragazzi e anche per i loro preoccupati genitori
impone oggi di ammantarsi di una magia irresistibile, di diventare quello che
io chiamo un Lovemark.

L’era del digitale poi ti sovrascrive: quando tua figlia, a otto anni, declassa
il tuo accesso privilegiato al computer da ‘amministratore’ a ‘utente’,
significa che sono arrivate le Valchirie. E Internet? È un’estensione del
cortile della scuola, con tutte le sue meraviglie e i suoi pericoli
amplificati.

L’anno scorso, dopo aver giocato per 36 ore filate a un gioco on line un
ragazzino cinese di 13 anni si è suicidato gettandosi nel vuoto. I limiti sono
importanti, sia per l’accesso degli adulti che per la partecipazione dei
giovani. La sfida per noi ‘adulti’ consiste nel saperli stabilire
correttamente. Ma la Repubblica dei consumatori, la cultura del capitalismo, non
subirà limiti di scelta. La partita sul lungo periodo si disputerà con un
dialogo aperto, non con la censura, ed educando i giovani consumatori a fare le
scelte giuste dal loro punto di vista, non dal vostro. Un mio collega, docente
a Cambridge, riassume in questi termini il paradosso della sostenibilità:
"Non si può dare maggiore potere e controllare allo stesso tempo".

5 pensieri su “ALIENS

  1. trovo affascinante tutto questo. è il fascino dell’evoluzione senza compromessi, di quel genere di avanzamento che ci sfugge di mano e che è tanto tipico degli esseri umani.
    è il fascino del fuoco e dela cenere, dell’autolesionismo.
    molto bella la frase della figlia che ti declassa da amministratore ad utente.
    tutto questo mi ricorda un video dei Pearl Jam, Do the Evolution.
    stiamo dopando le generazioni a venire. e non mi stupiscono le mestruazioni con 3 o 4 anni di anticipo, o la statistica che indica l’abbassamento dell’età per la perdità della verginità.
    sono anche gli ormoni che iniettiamo nella terra, che spariamo nell’etere e nelle comunicazione.
    penso sia giusto farsi dei calcoli statistici, ma penso sia più sbagliato rimanere abbagliati come alci in mezzo alla strada.
    il tuo amico ha ragione. si può dare potere, e potenza, ma non si può controllare.
    ma soprattutto, non è giusto controllare, anche se solo si potesse immaginare.
    il controllo deve essere insegnato.
    non è concepibile dare infiniti poteri a essere infintamente stupidi e inconsci che debbano essere seguiti e censurati e legati.
    diamo potere e inoculiamo coscienza e controllo.

  2. Roberts pone, anche senza dirlo esplicitamente, un problema enorme: quali forme di persuasione, di comunicazione, quali scambi di informazioni sono possibili tra questa generazione e quelle precedenti? E soprattutto, quanta parte delle generazioni precedenti si pone questo problema? Prendiamo la comunicazione politica: anche nella sua fase di maggiore intensità, quella elettorale, nulla di specificamente indirizzato a questa generazione viene posto in essere. Prendiamo le azioni comunicative dei politici specificamente demandati a rapportarsi con questa generazione (Melandri e Fioroni oggi, Moratti e Pescante ieri): qualcuno nota differenze nei mezzi e nelle intenzioni? Qualcuno nota una maggiore o minore interazione tra gli Y e i politici? Se aggiungiamo l’età media dei nostri politci (confrontandola con quella dei governi spagnolo, cileno, francese, ecc.) ci accorgiamo che la vera secessione (comunicativa) rischia di essere questa.

  3. il grande problema della comunicazione fra diverse generazioni.
    sono d’accordo, qui si gioca la partita.
    la vera ricchezza che gli adulti hanno rispetto a questa generazione è la memoria e la consapevolezza della sua importanza.
    è questo che dobbiamo riuscire a trasmettere. ma mentre in passato per ottenere questo risultato esistevano metodi coercitivi, oggi dobbiamo capire che per ottenere lo stesso risultato è necessario usare un linguaggio nuovo.
    insomma, dobbiamo essere capaci di trasmettere contenuti importanti e storicamente collaudati in forme nuove e in continua evoluzione.
    ci riusciremo?
    quien sabe.
    fatto sta che se arriveremo a questo, dribblando chiese e totalitarismi, terrorismi vari e sindromi della terza età più o meno diffuse, avremo quel mondo che abbiamo sognato nelle piazze degli agli ’70

  4. Il mio dubbio è proprio sull’esistenza di questi contenuti… o meglio, non sono sicuro che la generazione
    che è stata giovane negli anni ’70 sia in grado di maneggiarli. Se, da come ho interpreato il commento di preoccupato, questi contenuti consistono soprattutto nella memoria e nella sua importanza, allora direi che è proprio quella generazione ad aver posto le basi per l’annullamento di una memoria condivisa. Con questo non voglio accusare nessuno o addossare chissà quali responsabilità, dico solo che secondo me il discorso è più complesso e non si limita solo alla ricerca di nuovi metodi di comunicare, ma anche al cosa comunicare

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