DARIO FO, IL MESCOLARE RISO E GRAVITA' E LA GRANDE ROSICATA DEL 97

Cosa, su Dario Fo, incredibilmente nel giorno dell’assegnazione del Nobel per la Letteratura che lui vinse nel 1997, con quella meravigliosa motivazione (“è mescolando il riso e la gravità che Fo ha fatto prendere coscienza degli abusi e delle ingiustizie della vita sociale, ma anche del modo in cui queste possano inscriversi in una prospettiva storica più ampia”, e “seguendo la tradizione dei giullari medioevali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi”)?
Sprazzi di un accompagnamento durato una vita, dal primo occhieggiare, bambina piccola, della vituperata poi censurata Canzonissima al teatro che seguiva i risvegli ribelli, dal vivo e in televisione. La prima intervista, per Sipario (era su “Storia della tigre e altre storie”, e quell’intervista è svanita nel vento, con il mio antico archivio). La corsa in auto di Bernardino Campello per dirgli che aveva vinto il Nobel. La sua ultima visita a Fahrenheit, non molto tempo fa.
Cosa, su Dario Fo? La sensazione di aver perso l’ultimo erede di quella che era un tempo la “gente di teatro”, e che in teatro, con gli antichi metodi, aveva raccontato quello che gli accadeva intorno, come i grandi giullari sanno fare.
Cos’altro? Qualcosa che ricordo benissimo e molti negheranno: la grande “rosicata” letteraria del 1997, dopo il Nobel.
Vargas Llosa, molto dopo, ancora non si capacitava,  e subito reagì l’Accademia dei Lincei, che per protesta decise di non inviare più segnalazioni all’Accademia Reale di Svezia, e il grande escluso Mario Luzi: “E’ una manovra per tacitare l’ orgoglio dell’ Italia a cui non veniva assegnato il Nobel da più di vent’ anni, per eliminare il problema. Mi compiaccio con Dario Fo, anche se non è mai stato nelle mie simpatie. In questo Nobel c’ è un’ intenzione antiletteraria, particolarmente contro di me che da anni sono il candidato dell’ Accademia dei Lincei”. E i critici, certo. Alfonso Berardinelli: “Questo Nobel è il sintomo estremo della cattiva conoscenza che all’estero hanno della letteratura italiana del Novecento. A me Dario Fo non piace neanche come attore. Ma come scrittore è improponibile. Le sue opere le ho viste a teatro, ma non ho mai sentito il bisogno di leggerle, cosa che non mi succede con Shakespeare, ovviamente, ma neanche con Ionesco o Beckett. I suoi non sono testi”.
Poche le eccezioni,fra cui Tullio De Mauro e Umberto Eco: “Sono contento. Contento come una Pasqua. Fo è un mio caro amico: ma non è questo che mi rende più felice, bensì il fatto che sia stato premiato un autore che non appartiene al mondo accademico tradizionale”.
Si disse (e furono molti più di quelli che cito a sostenerlo) che con quel Nobel la letteratura era morta. Naturalmente oggi nessuno sarà disposto a ricordarlo. All’epoca, ne fui felice. Così come oggi sono infinitamente triste.
Aggiornamento. Il Nobel per la letteratura è andato a Bob Dylan. Si prevede un bis dei dissensi di cui sopra. Ma qui si è molto contente.

7 pensieri su “DARIO FO, IL MESCOLARE RISO E GRAVITA' E LA GRANDE ROSICATA DEL 97

  1. Anche a noi mancherà. Un grande uomo, un grande esempio da cui trarre ispirazione.
    Ma non ci vuole tristi…quindi “sempre allegri bisogna stare che il nostro piangere fa male al re. Fa male al ricco e al cardinale diventan tristi se noi piangiam”.
    Grazie Dario!

  2. “Una volta Paolo Villaggio fu invitato da una prestigiosa accademia di Mosca di cui ignoro il nome, a quei tempi in Unione Sovietica si dice che la cultura fosse tenuta in grande considerazione, ovviamente ben purgata, ma insomma pare ci tenessero a far laureare un sacco di gente. Bene, Villaggio viene invitato per ritirare un premio che l’accademia di letterati moscoviti assegna annualmente, credo, a scrittori italiani, e glielo vuole conferire per il suo libro “Fantozzi” (da non credere, eh?), che secondo loro è un feroce ed esilarante spaccato della burocrazia e del capitalismo occidentali che mutua la lezione della migliore tradizione letteraria russa (uh?). Incredibilmente quell’anno, insieme a Villaggio, i cattedrattici premiano pure Moravia, per un suo libro che non ricordo. Dunque, Villaggio fa il viaggio in aereo assieme a Moravia. Ovviamente è in grande soggezione di fronte al famoso maestro, e soprattutto è vigorosamente imbarazzato nel ricevere un premio assieme a lui. Più volte durante il viaggio tenta, fantozzianamente, di rivolgergli la parola, anche solo per strisciare ai suoi piedi e manifestargli la sua ammirazione. Moravia non lo degna nemmeno di uno sguardo, solo ad un certo punto storce il naso e fa una smorfia come di disgusto, letteralmente schifato, e in verità sinceramente offeso di essere accostato nell’opinione di siffatti letterati a un tale subvivente di scribacchino come Villaggio. Scesi dall’aereo i due non si incrociano praticamente mai più.
    (era questo il brano che volevo estrapolare, ma temo di avere usato il linguaggio di programmazione al posto degli operatori boleani)

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