DETTA IN MODO SEMPLICE

“Negli anni Ottanta e Novanta uno scrittore come me poteva ragionevolmente aspirare a una carriera e a una retribuzione”.  Oggi, scrive Tony Horwitz sul New York Times, no.  Leggete l’articolo, e però sappiate anche che qui non è questione di digitale versus cartaceo.  La faccenda è già alle spalle, almeno a mio parere. La questione è che i libri non vendono. Non vende soprattutto la saggistica, ma anche la narrativa è mal messa. Spulciare fra i dati di vendita fa capire che se ti va molto bene (ma proprio molto bene) vendi seimila copie. La media è sotto le mille. Con le eccezioni, ovvio.
Quel che sostiene Horwitz è che un reportage o un libro giornalistico o, aggiungo io, un testo di narrativa lungo, complesso, che richiede anni di preparazione, non può più contare su un adeguato anticipo nè sulla certezza di royalties. E non è che dalle parti del self publishing vada meglio.
La domanda che mi pongo, e che vi giro, è banalissima: ha senso aspettare e continuare a dirci bugie e a dire, ehi, sono uno scrittore (ma vendo trecento copie) prima di cominciare a riflettere su un nuovo modo per veicolare storie che possa, anche, permettere al narratore di sopravvivere?

21 pensieri su “DETTA IN MODO SEMPLICE

  1. Condivido pienamente,ahimè,lo sto capendo a mie spese.A maggio scorso ho pubblicato il mio INCROCI-nove storie di vita che si intrecciano tra loro,con Edizioni Galassia Arte,una picvola realtà editoriale di Pomezia (RM),che,a differenza,di altre case editrici ni è sembrata onesta.Il contributo richiesto l’ho quasi tutto recuperato con le mie copie personali.Ancora ricordo le parole di Andrea Mucciolo,fondatore di G a lasdia Arte:”se venderai 250 copie già sarà un successo. ..”.A distanza di due mesi posso dire che aveva ragione.Anche se il paradosso tutto italiano è che una come la Parodi o Totti vendono migliaia di copie e chi non è conosciuto o ‘raccomandato’ da…,difficilmente,emergera’…

  2. La prima cosa da fare sarebbe sconfiggere o per lo meno, mettere all’angolo, il narcisismo di certi autori/autrici che continuano a blaterare, fomentati da case editrici che pompano a manetta volumi che dovrebbero rappresentare il caso editoriale/esordio/successo dell’anno.
    Penso alle tante mezze calzette che popolano i nostri scaffali e che si curano il proprio orticello senza voler guardare il Nulla che avanza, come nella storia infinita.
    E poi penso ad autori davvero grandi che fanno il loro lavoro, in silenzio, senza cercare consensi di piazza (virtuale e non).
    A mio sommesso avviso la prima cosa da smontare é proprio questa l’ego degli autori.
    Ma mi rendo conto che è praticamente impossibile, almeno da quello che leggo su FB, che non rappresenterà certo un campione di realtà assoluta, ma di certo rappresenta una fetta non da poco degli italici “scrittori” o pseudo tali.
    Nuove storie o nuovi modi per raccontare.Internet è pieno di gente e di blog che pubblicano pagine di romanzi con 2 lettori in croce. La qualifica scrittore, ormai, non si nega a nessuno.
    Acuni parlano di multimedialità e crossmedialità, altri di cambiamenti sul concetto di diritto d’autore. Forse la strada non è una, forse si tratta di affrontare questo problema su diversi livelli, primo fra tutti pensare che si dovrebbe pubblicare meno e pubblicare meglio. L’ho detto molte volte e so di ripetermi, ma credo che se non si ricomincia a sperimentare, se non si trova la voglia di investire sul futuro dell’editoria con linguaggi e storie nuove, questa crisi durerà ancora a lungo.
    My 2 cents.

  3. Mi riallaccio a un commento molto pregnante postato da F. Pecoraro sulla discussione che è avvenuta sul tuo profilo FB. Anch’io – che comunque sono sempre stata lettrice forte di narrativa e saggistica, e quindi se ho capito bene non faccio testo – leggo forse anche più di prima, ma ho sempre il tablet accesso, sono sempre sui social, zompo dall’ebook alla rete con una velocità che fa impressione anche a me, ho almeno tre libri di carta iniziati e li leggo a spizzichi fra una chiaccherata su FB e tre post sui vari, moltissimi blog che seguo, un paio di condivisioni, un video su youtube. È un tipo di lettura diversa, e non me la sento di affermare che sia meno concentrata o di valore inferiore rispetto a quella “novecentesca” a cui mi dedicavo fino a dieci anni fa. I tomi di sette, ottocento pagine non riesco più a leggerli, non importa quanto li trovi interessanti, intriganti, importanti, addirittura imprescindibili. Quelli che non ho letto nell’era precedente a questa so che ormai non li leggeró più – a meno che non mi servano per lavoro – e mi sono già messa il cuore in pace. Quello che mi stupisce è che ci siano ancora scrittori che ne partoriscono di volumi così e in tutta franchezza temo che siano delle ciofeche oppure dei cliff hanger, libri strutturati apposta per tenerti col fiato sospeso e farti arrivare alla fine. Ecco, di libri così non ho mai sentito il bisogno: ho letto con molta soddisfazione Finnegan’s Wake ormai due decenni orsono, che è tutt’altro che un cliff hanger – si vede che all’epoca ce la facevo. Ora mi sarebbe impossibile, e non perché sono invecchiata o cecata io, ma perché questa nuova pratica di lettura, interconnessa, frammentaria, transmediale, personalmente mi piace, mi diverte, mi soddisfa molto di più.

  4. Gli autori saranno pure narcisisti, ma i mancati lettori che fingono di essere in sofferenza di bello, e poi fanno morire per mancanza di spettatori trasmissioni televisive come quella di Philippe Daverio, sono la spiegazione più lampante di quello che accade. Di bello da leggere invece ce n’é eccome, ma giace morente sugli scaffali a loro insaputa. La verità è che giocare a Candy Crush è meno impegnativo e si adatta di più all’aumento di materia bianca di aridi cervelli.

  5. x Claudia: “L’armata dei sonnambuli” è quasi 800 pagine e fila via che è una bellezza.
    Sì lo scrittore come mestiere di autosufficienza, nel senso con cui si è inteso sino a 20-30 anni fa, è passato alla storia. Questo la proprietaria del blog lo va dicendo da parecchio tempo.
    Ormai per quanto mi riguarda è una faccenda consolidata. Io mi sono dovuto costruire un altro lavoro (per la pagnotta, diciamo così) e adesso ricomincerò sperando che mi restino le energie, il tempo e la voglia.
    Essendo che è una faccenda consolidata, secondo me bisogna passare allo step successivo (e chi non c’è arrivato, pax).
    L’articolo del NYT mette bene in mostra alcuni punti cruciali: ho messo un libro nell’etere, chi lo conosce? la classifica di Amazon è imparziale ed onesta (e nel caso come si fa a controllare)? se per arrivare primi negli USA bastano 800 copie vendute, gli altri più in basso quanto vendono?
    E’ evidente che gli scrittori, in qualsiasi campo scrivano, stiano già da anni facendo i conti in tasca con un nuovo mercato. Molto più confuso ed in realtà respingente del precedente. Perché è vero che pubblicare è molto più facile, ma pubblicare non equivale a guadagnare.
    Anzi.
    E questo passaggio non è doloroso solo per gli autori. Ma anche per i libri stessi. Se io ho bisogno di stare 2-3 anni appresso ad un romanzo, ma per 30-40 ore la settimana faccio dell’altro, per arrivare a fine mese, è ovvio che non potrò spendere sulle sudate carte le migliori potenzialità.
    E poi: la casa editrice, teoricamente, dovrebbe essere un punto di riferimento per un autore, che lo aiuti a migliorarsi e a migliorare. L’editore oltre a pensare a vendere, dovrebbe prendersi a cuore lo scrittore. Nel self-publishing tutto questo non c’è. O quantomeno non c’è ancora. E’ stato abbattuto un filtro fondamentale.
    Ad alcuni sembra il futuro, ma è già un presente ben radicato.

  6. Sono molto colpito dal commento di Claudia.
    Questa “nuova pratica di lettura” la diverte, la soddisfa molto di più. Quindi non solo non rileggerà più Proust, ma non leggerà neanche Il Cardellino?
    Mi sembra che se capissi cosa intende, sarei un po’ più avanti verso le possibili risposte. Le credo, ma come è possibile? Perché mai la soddisfa di più?
    Quanto al nuovo modo di veicolare storie, Loredana, la rete ha fallito riguardo a tutte le utopie, e il capitale evidentemente apprezza molto *questo* modo. Che possoamo fare ancora?

  7. chi vive di musica che condivide un problema analogo ha risolto puntando sui concerti. Nell’impossibilità di contare seriamente su reading itineranti per riempire lo stomaco, a meno di non allevare una generazione di letterati semiprofessionisti direi che bisogna ripartire coi romanzi a dispense da pubblicare sui quotidiani nazionali per il resto ormai privi di contenuti credibili. Purtroppo quando si procede nell’evoluzione economica non si tiene conto che spesso la stessa non fa prigionieri(la stampa free press a fronte di scarsi contenuti garantiti grazie a volenterosi redattori mal retribuiti ha sparigliato nel peggiore dei modi il mercato della pubblicita’, ad esempio)
    http://www.youtube.com/watch?v=sqyXWw1B1Ds

  8. @gattorosso, non rileggo Proust per un motivo molto semplice, cioè non ne avverto il bisogno; quanto al Cardellino, non credo l’avrei letto neppure nell’era pre-digitale, anche questo per un motivo molto semplice, cioè non rispecchia i miei gusti letterari. Il gusto rimane un discrimine rispetto a ciò che si sceglie nella vita, compresi i libri che si leggono. Posso provare a spiegare perché questo tipo di lettura mi soddisfa di più, ma rimane comunque una prospettiva molto personale, e non mi aspetto certo che sia condivisa. La ragione risiede nel fatto che ho soddisfatto ampiamente il desiderio di leggere diciamo in modo analogico (cioè un libro di carta, in un dato momento, senza distrazioni). Ora posso concedermi una lettura connessa e transmediale, perché ritengo di avere sufficiente esperienza alle spalle. Temo non sia così per i giovani, che invece si avvicinano alla lettura come leggo io adesso, e per questo mi sembra anche che ci sia proprio nei giovani un ritorno un po’ retromaniaco verso le letture lunghe e impegnative, la qual cosa mi fa solo piacere.
    La frase “la rete ha fallito riguardo tutte le utopie” perdonami, ma mi suona un po’ altisonante. la rete è nata ieri ed è ancora in fase sperimentale, forse il fallimento coinciderà con l’obsolescenza, sempre che essa si verifichi, il che non è affatto scontato, visto che dopo 500 anni la stampa ancora non risulta obsoleta e mi pare che non lo stia affatto diventando adesso. Forse tornerà a essere cosa per pochi, ma non credo si smetterà di stampare, almeno non ora 🙂
    @Ekerot, tratterei il caso Wu Ming come un caso a parte nell’editoria non solo nostrana ma internazionale, e non come la norma, per via del mondo che ha creato attorno a idee condivise, cioè un livello di ricezione molto più complesso rispetto alla poetica di uno scrittore individuale e del suo romanzo. Fra l’altro non ho capito bene per quale motivo se uno dice “cliff hanger” la risposta deve essere “sì ma Wu Ming”, che non conta un solo cliff hanger in tutta la sua produzione 🙂

  9. @ claudia: mi occupo professionalmente della rete dal 96, e dalla mia prospettiva posso dire che la rete ha davvero deluso tutte le aspettative di apertura, democratizzazione della conoscenza, meravigliose sorti e progressive che aveva sollevato. Non credo neppure si possa considerare ancora l’internet in fase sperimentale; un suo assetto l’ha trovato, e non è buono – almeno per me. Certo ne troverà ancora molti altri, come è stato per la stampa ed è per tutte le cose.
    Sulla tua preferenza per la lettura non-analogica, connessa e transmediale, non ho nulla da dire. Sui gusti letterali, non si discute. Ciao.

  10. @gattogrigio, dici bene, ha deluso le aspettative, ma questo succede con una certa sistematicità in tutti i campi: laddove ci sono aspettative e non sperimentazione, ci sarà delusione. Rispetto alla democratizzazione – anche se questo personalmente è un termine che mi spalanca un ampio spettro di perplessità, su non ha senso dilungarsi ora – le aspettative che sono rimaste disattese hanno lasciato spazio ad altro, forse meno “democratico” ma non per questo meno interessante.

  11. I modelli economici che si sono affermati sul web sono in effetti a beneficio di pochissimi (cioè i “distributori” come Google, Amazon, Apple… come del resto Booking, Tripadvisor in altri ambiti) e a svantaggio dei creatori di contenuti.
    Secondo me ha ha sempre più senso parlare di micropagamenti, o in direzione apparentemente opposta di abbonamenti, perché se il modello dev’essere l’advertising si sa che gli articoli sui gattini o le solite bufale che girano su facebook tirano molto più clic di un bel racconto, il problema è che in Italia non sono pochi quelli che hanno paura di usare una prepagata per fare acquisti online…

  12. Ma, scusa, Loredana dove sta il problema? Io ho scritto centinaia di articoli sugli scacchi. Poi mi è venuto il ghiribizzo di buttarci giù un libro e mi è andata bene con la Mursia che mi ha dato l’opportunità di scriverne altri. Se fosse stato respinto mi sarebbe certo dispiaciuto ma avrei continuato a scrivere articoli o a fare altro. Voglio dire non si vive soltanto per pubblicare. Se va bene va bene, se va male pazienza. O no?

  13. Il problema è che oggi non ci sono solo dieci, cento narratori. Ce ne sono migliaia ognuno con il suo bel diritto di scrivere e farsi pubblicare. Nel campo giallistico, che conosco meglio, pochi vivono o sopravvivono con il loro lavoro. Io un nuovo modo per “veicolare storie” e camparci non lo vedo.

  14. Mi ritrovo nel resoconto di claudia (22.7 10.36). Il mio percorso di lettore è ben descritto nel suo resoconto, del quale sottoscrivo ogni parola. Con un’ aggiunta, ovvero un mutamento nelle preferenze personali. Noto infatti una decisa transizione dalla letteratura alla saggistica. Chissà che anche questa variante non sia imputabile alla quella strumentazione tecnologica che tanto ha contribuito a frammentare la lettura. In fondo è la stessa strumentazione che agevola il contatto e la discussione con terzi, magari terzi sconosciuti: ed è molto più facile dilungarsi a discutere la tesi contenuta in un saggio che non l’ evocazione esalata da un verso.
    Speriamo solo che questo mutamento nella mia “domanda” di lettore non sia condiviso dalla maggioranza, così da riorientare l’ offerta. Non sia mai. Molti scrittori, già oggi, non vedono l’ ora di riconvertirsi degradando le loro qualità per farsi “decifratori del reale”. Scrivono romanzi sognando di scrivere saggi. Li vedo ansiosi di rimpiazzare le affidabili quanto noiose metodologie quantitative con qualcosa che sia alla loro portata, qualcosa di “romanzesco”. Magari qualche bolsa allegoria con cui appesantire i loro testi. Temo il rischio si affievolisca quell’ intimità di relazione con le cose descritte che, se da un lato rappresenta un’ epistemologia decisamente scadente, dall’ altro è essenziale per avere un prodotto artistico. Già oggi, troppo spesso, l’ artista intervistato intona il suo “resistere, resistere, resistere!” fuori luogo. Questo uomo di mondo, una volta sul proscenio, resiste a tutto, anche a parlare del suo libro. A tutto, tranne che ad esecrare un qualche disegno di legge in itinere.

  15. Sarò vecchio coi miei 40, ma per me l’esperienza immersiva di un bel Tomo da 2000 pagine, uno di quelli che ti costringe (costringe?) a sessioni di 2-3 ore, è ancora fondamentale. Irrinunciabile.
    Prendere un Tomo tra le mani è, per me, la migliore vacanza possibile. Poi, sì, quando poso l’e-reader e prendo in mano il tablet, adotto anch’io una modalità di lettura frammentaria e transmediale.
    Ma il Tomo risponde a esigenze diverse.
    E l’idea che la forma del Tomo stia passando mi inquieta. Su Project Gutemberg ci sono probabilmente più Tomi di quanti sarei in grado di leggere, ma. Che pensiero decadente. Il mondo finisce ma chìssene: ho la biblioteca piena.

  16. Effettivamente, parlare come ho fatto di “lettura frammentata” puo’ essere fuorviante. Uno pensa d’ istinto ad un mero saltabeccare che non lascia traccia. Ed allora ha ragione Andrea a rimpiangere il buon vecchio Tomo e quelle immersioni prolungate che oggi sentiamo come formative.
    Ma vediamola in un altro modo. Chi legge dedica una parte del suo tempo a decidere cosa leggere e una parte a sprofondarsi nella lettura prescelta. Sono due fasi distinte, entrambe importanti e guai se la seconda si estinguesse. Ma anche la prima, per quanto frammentata possa essere, è importante e viene condotta per lo più… leggendo. E’ così che ci si informa, è così che si conosce per poi deliberare dove sprofondarsi.
    Distinguerei allora tra “lettura di filtro” e “lettura di consumo”. Ebbene, 20 anni fa destinavo il 15% della mia vita di lettore al filtro e l’ 85% al consumo. Oggi, nell’ era dell’ abbondanza, sono a 50/50. Non saprei dire se la mia vita di lettore sia o meno migliorata, io penso tutto sommato di sì (come claudia). E’ vero, le sedute di lettura vera e propria si sono ristrette, d’ altro canto leggo in modo più mirato: stili e contenuti sono quasi sempre quelli che desidero approcciare. Prima, spesso, dovevo adattarmi a quel che passava il convento.
    Certo, leggere l’ unico libro disponibile puo’ essere, in un certo senso, rassicurante. Sapere che – anche grazie alla penuria – nulla sfugge al nostro vaglio, abbassa il costo opportunità. Ma anche essere protagonisti di una ricerca originale puo’ avere i suoi lati positivi. Prima, al più, di originale potevamo avere una certa interpretazione del libro, ora anche il percorso che ci ha condotto a quel libro.
    In fondo, quando nell’ altro post si diceva che “… dobbiamo imparare a essere lettori… digitali migliori”, personalmente lo intendo in questo modo: dobbiamo imparare a scindere le due letture per sopravvivere nell’ era dell’ abbondanza. E dobbiamo raffinare soprattutto la “lettura di filtro”, una realtà nuova per noi.

  17. Io invece la lettura da filtro la faccio principalmente consultando scaffali e valutazioni (non tanto le stellette, quanto i solitamente ben articolati e argomentati commenti) dei miei vicini di anobii, cioè altri lettori che ho selezionato nel tempo e di cui apprezzo sensibilità e gusti. Lo trovo un metodo poco dispersivo, e le delusioni sono rarissime. Mi resta così molto tempo per la lettura “vera”, che per me rimane (che sia ereader o da libro ac quistato o preso in biblioteca) quella in cui ti immergi fino a dimenticarti di quel che c’è intorno a te.

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