Considerate questo post come un ibrido. Sarà spezzato in due parti, infatti: la prima è un report (ma fallace, parziale e in costante aggiornamento, dal momento che in gran parte si basa sulla mia memoria, e dunque necessita dei contributi altrui: nei commenti, via mail dove volete. Ogni contributo sarà integrato nel testo), la seconda contiene considerazioni personali e dunque non va considerata come scritto nelle intenzioni collettivo.
Report in progress sul gruppo cultura della Lista Tsipras
Premessa: perché un report ufficioso su un blog individuale? Sabato, per chi non lo sapesse, si è svolta a Roma la prima assemblea pubblica della “cosa” che sta nascendo dopo l’esperienza elettorale di maggio. Una “cosa” che ancora non ha forma, che contiene molte anime, di partito di movimento di territorio di persone qualunque di cosiddetti intellettuali altro. Qui trovate le relazioni introduttive. Dopo le relazioni si sono formati diversi gruppi di lavoro, al termine dei quali uno/a dei due “facilitatori” o moderatori ha letto in assemblea una sintesi di quanto detto.
Scrivo questo post perché (e questo è di certo un dettaglio, ma indicativo di non piccole problematiche strutturali e organizzative) di quanto emerso in quattro ore di bella, ricca, importante discussione, nel report non è stato riportato nulla, e chi doveva mettersi al servizio di persone venute da altre città con passione e competenza ha, nei fatti, tenuto un proprio discorso personale senza tener conto di una discussione alla quale non aveva neanche partecipato per intero. Scrivo questo post perché ritengo il discorso sulla cultura centrale da ogni punto di vista. Invito, inoltre, chi ha partecipato ai lavori a intervenire qui proponendo integrazioni. Per forza di cose, ripeto, sarò fallace.
La scuola. La maggioranza degli interventi riguarda questo punto. Lavorare sulla e per la scuola. Porla al centro di ogni visione politica e sociale. Rendersi e rendere consapevoli che è qui che si formano cittadine e cittadini. Rendersi e rendere consapevoli che la logica attuale, finalizzata alla competitività e al mors tua vita mea, non assolve a quello che della scuola dovrebbe essere il compito principale, ovvero rendere possibile a chiunque, da qualunque classe sociale provenga, l’accesso al sapere. Una scuola, in breve, che si auspica: pubblica, gratuita, finanziata, laica, plurale, accogliente, inclusiva, obbligatoria fino a 18 anni, con il tempo pieno garantito, che rifiuta sistemi valutativi standardizzati.
Lunga è stata la discussione sui test Invalsi, per esempio. Molti hanno ricordato come i tagli, insieme al metodo Invalsi e ai test per l’accesso all’Università, svuotino la scuola di significato. Alcuni interventi hanno sottolineato l’assenza dell’educazione al genere e all’affettività. E’ stato narrato il caso della docente licenziata a Trento perché si è rifiutata di dichiararsi eterosessuale. Altri hanno ricordato l’esistenza di un progetto di legge di iniziativa popolare presentato in Parlamento e mai discusso, il cui testo si trova qui. Altri ancora hanno sottolineato le insidie di una riforma annunciata per quanto riguarda il monte ore dei docenti e l’attacco ai posti di lavoro dei supplenti. Presenti anche i rappresentanti degli studenti, che rifiutano le attuali logiche formative. Presente anche la rappresentanza del comitato articolo 33. In pochissime parole, l’azione sulla scuola, è stato ricordato, deve essere centrale.
Cosa si intende per cultura. Cultura come collante e coesione di saperi. Cultura come tutela dall’ omologazione, dal revisionismo spiccio, dal consumo acritico. Cultura come messa al centro del paesaggio urbano e umano oltre che naturale. E’ stata sottolineata l’importanza di un cambio di paradigma affinché cultura non sia semplicemente “conservazione” ma si creino nuove forme di diffusione e azione culturale, immaginando nuove imprese o dando valore a quelle che già esistono. Personalmente ho sostenuto e sostengo che senza un cambiamento linguistico profondo delle parole della politica (e dunque senza un ripensamento culturale) una nuova politica (e dunque nuove azioni) non si dà.
Comunicare. Cultura significa comunicazione, ed è stata chiesta una riflessione sulla comunicazione pubblica. In particolare, sganciamento della Rai dai partiti, legge sul conflitto d’interessi e riforma dell’Auditel. Di web, sottolineo, si è parlato pochissimo.
Le forme della cultura. Presenti molti esponenti di teatro e cinema, che hanno sottolineato la crisi dei settori, inclusa quella degli spazi pubblici della cultura. Da una parte si è chiesta la difesa del diritto d’autore. Si è parlato dell’importanza delle biblioteche, della necessità di una legge sul libro che tuteli le librerie indipendenti.
Considerazioni personali
E dunque ininfluenti ai fini di quanto riportato sopra. La sensazione che ho avuto è che, a fronte di un forte, appassionato, motivato desiderio di cambiamento, non ci sia ancora consapevolezza della necessità di usare parole e narrazioni diverse, senza le quali, insisto, non ci sono forme diverse della politica. La sensazione che ho avuto è che molto spesso ci si accuccia in formule verbali e non che sono ormai svuotate e logore. Quando si parla di cambiare narrazione si intende esattamente questo: farla finita con gli automatismi. Non considerare “riuscita” una riunione se ha seguito gli schemi di una politica che forse oggi mostra la corda, ma considerarla tale se ha generato confronto e discussione. Non far prevalere l’astuzia del mestierante di partito sull’esigenza di trovare strade che escano dall’idea stessa di mestiere. Dimenticare le appartenenze precedenti: il derby interno Sel-Rifondazione è privo di senso, questa è un’altra cosa. Riporto qui quanto ho scritto ieri sera su Facebook: credo che su un punto i cinquestelle abbiano ragione, ma in modo diverso, almeno penso, da quanto ritengono essi stessi ragionevole. Il professionismo della politica può fare male ai progetti che nascono. Perché nel caso della Lista Tsipras non è questione di Sel o Rifondazione, nè di chi ha torto o ragione fra i due (senza i due, la lista non avrebbe raggiunto il quorum, e questo è un fatto). Ma il punto, e si vede anche altrove, è che chi fa della politica l’unico suo lavoro giocoforza cerca sponde, riciclaggi, si afferra ai bordi del tavolo. A volte in buona fede. Altre volte no. Per me, resto convinta che occorra prestarsi alla politica a tempo pieno per un periodo limitato, portando le proprie competenze, e poi tornare al proprio lavoro.
Questo, per me, significa cambiare culturalmente la politica, affinché la medesima possa farsi portatrice, davvero, di cultura.
A mio avviso il problema non sta nel sedersi per tanto o poco a rotazione o per altri meccanismi quanto la motivazione sincera e onesta per cui ci si siede e se questa motivazione è basata sull’interesse personale, fosse anche solo l’ambizione, non andiamo da nessuna parte, quando mi si dice che qualcosa che faccio per la comunità fa parte del mio “mestiere” ed è quindi giusta una riconoscenza vuol dire che azzeriamo il contributo sociale. Purtroppo dall’assemblea di sabato ho dedotto che la metà dei partecipanti non la pensava così.
Athos, la penso come te. Il problema è riconoscere la sincerità e onestà di una motivazione. Per quello, temo, bisogna riflettere anche sul meccanismo.
mi sembra di capire che per essere certi della onestà, sincerità e peculiarità delle intenzioni tu proponga una sorta di meccanismo, di dispositivo che, assolutamente avulso e diverso da quello attuale, configuri ed indichi un atteggiamento nuovo, un modo nuovo di fare ed essere politica e quindi cultura. Se è questo quello che ho capito, allora ti dico che è impossibile fare frittate senza rompere le uova, nel senso che solo rompendo le uova si può capire come e se usarle. Alla base di quello che proponi deve esserci un profondo substrato di fiducia e stima e anche una piccola parte di quel carisma che in epoche precedenti ha però sviluppato conseguenze spesso negative. Io ho fiducia e stima in te e in quello che dici, nella onestà delle tue intenzioni e dei propositi. Tuttavia questo non basta né credo che ti basterebbe, per mettere in sicurezza tutto il sistema che auspichi. Sono ambizioso e narcisista, ma non fino al punto da mettere le persone che stimo ed amo nel tritacarne delle mie azioni. Sono ambizioso non per me, ma per l’idea che ho del mio lavoro e in questo apprezzo e riconosco il cenno alle Biblioteche. Ma sono anche narcisista ed è una malattia difficile da controllare da soli. Quello che proponi non può che inizialmente essere un cenacolo di persone oneste, generose e coraggiose. Oneste perché le loro intenzioni non implicano interessi privati (personali sì, privati no) generose perché disposte a dedicare moltissima parte del loro prezioso tempo e della loro vita; coraggiose perché disposte a fidarsi, ad esporsi, a mettere a nudo le loro debolezze e soprattutto il loro sogni. Sono sicuro che ne usciremo più arricchiti e nobilitati. Non so come movimento e/o come meccanismo. Certamente come persone. e questo è già tantissimamente “politico” visto il deserto e l’aridità umana che ci assedia.
Silvio, se scrivo e parlo della “cosa”, è perché ho incontrato tante persone oneste, generose e coraggiose. Bisogna trovare però il modo perché queste persone sfuggano, esse per prime, ai pericoli del narcisismo, dell’ambizione, del potere.
Non metto in dubbio la buona fede dei militanti e di chi si è esposto in prima persona (io stesso ho appoggiato una brava persona, combattente di mille battaglie in difesa della scuola) nell’esperienza della Lista Tsipras. Però, quando si parla di “nuova sinistra” (qualunque cosa significhino queste due parole), sembra si debba sempre ripartire da zero. E invece no, purtroppo, come nel film di Troisi si riparte da tre: la sinistra, o almeno parte di essa, ha avuto, negli ultimi dieci anni, un’esperienza di governo, nella regione Puglia (e in una serie di comuni, primo tra tutti Taranto). E tutto quello che qui si auspica ceda il passo alle buone pratiche in Puglia è diventata arte di governo. E lo stesso vale nei mille comuni dove parte delle forze afferenti all’esperienza-Tsipras si compromettono quotidianamente con quel PD dal quale dicono a parole di voler prendere le distanze, ma mai al costo di rimetterci la poltrona. Se queste sono le pratiche quotidiane, come è possibile sperare che le stesse persone che inforcano spesse fette di salume sugli occhiali per non vedere quello che le loro forze politiche di appartenenza hanno e non hanno fatto, e soprattutto millantano di aver fatto senza averlo fatto, e magari ci credono anche – parlo di ambiente, conflitto salute/lavoro, condizione dei migranti, discariche abusive, gestione del territorio, delle città e delle campagne da parte della malavita organizzata, cose così – cosa aspettarsi da loro, se non vederli col vestito della domenica a promettere rivoluzioni che negli altri sei giorni della settimana vengono stracciate, e adoperarsi fattivamente perché quelle “tante persone oneste, generose e coraggiose” di cui qui si parla non si azzardino a farla davvero, una rivoluzione?
errata corrige: come è posibile sperare nelle stesse persone, ecc.
Cara Loredana, mi sento assolutamente di condividere quanto dici nelle tue ‘considerazioni personali’, seppur con alcune eccezioni. La prima è sul professionismo della politica: concordo che sia un male e che debba essere superato. Penso però che il sistema, almeno per quanto riguarda la struttura del soggetto nuovo, non sia tanto quello della rotazione (che implica il problema della competenza individuale) quanto quello di fare in modo che si possa tornare a fare politica senza la necessità di doverlo fare a tempo pieno, in modo che sia compatibile con le normali attività lavorative di ognuno. Oggi abbiamo gli strumenti per farlo, grazie al web. Possiamo stare in contatto, dibattere, confrontarci e far uscire il meglio dell’intelligenza e della competenza individuale senza la necessità di doverci spostare, spendere soldi e condensare l’opinione in un intervento di tre minuti! 🙂 . Per questo l’assemblea di sabato per me, se mi permetti il paradosso, nella grandiosità del suo fallimento (almeno per quant riguarda il gruppo1 a cui partecipavo e su cui mi posso esprimere) è stato un gran successo. Ha dimostrato in modo abbastanza chiaro che quella è per l’appunto una strada vecchia, che non può che portare al solito luogo, indipendentemente da chi siano i viaggiatori.
E qui arriviamo al secondo punto: non vedo un gran dualismo Sel-Rc, vedo piuttosto affiorare, sopratutto nella terza componente importante, cioè quella dei comitati-movimenti-soc.civile, quella in defininitiva dei ‘senza tessera’, un male assai comune nella società italiana attuale che è quello della ricerca del capro espiatiorio.
Qualcuno fra noi probabilmente pensa ancora che il fallimento della politica sia colpa dei cattivi che l’hanno praticata, siano essi Politici o Partiti. E che basti sostituirsi a loro per cambiare le cose.
Dal mio punto di vista penso invece che dobbiamo dare in senso a parole come orizzontalità, dal basso, condivisione che per adesso sono rimaste poco più che proclami e buone intenzioni. Penso anche che, contrariamente a quanto potrebbe apparire superficialmente, siamo sulla buona strada: le contraddizioni vengono a galla, stiamo imparando dagli errori, nostri e degli altri, progrediamo.
Adelante, con juicio.
Simone (aka Long John Simon)
Penso che il cuore della tua riflessione sia la necessità din un cambiamento di linguaggio, visto che come diciamo le cose implica il come le pensiamo e quindi come le agiamo. Senza questo cambiamento non possiamo proprio avviarci da nessuna parte.
Ti segnalo questo articolo – che mi era sfuggito sabato – perché qui è la narrazione più importante che a sinistra, oggi, si deve narrare. Da qui, credo, discende tutto.
http://ilmanifesto.info/i-pericoli-per-la-democrazia-del-progetto-di-renzi-e-berlusconi/
Scuola. Significa anche formazione adeguata dei docenti . Formazione lasciata alla buona volontà di ognuno, non richiesta, non valorizzata né finanziata , focalizzata in modo prioritario sul sicuro uso di LIM e strumenti digitali. C’è molto da fare in questo ambito : convivono infatti accanto ad insegnanti “missionar*” , docenti demotivat* .Non dovrebbero essere le discusse 36 ore al centro del dibattito , quanto piuttosto una nuova didattica , spesso solo bella teoria , il più delle volte ridotta ad isolati tentativi di singoli docenti .
@ Simone
Il punto non è la ricerca del capro espiatorio e la sua individuazione nei “partiti”. O meglio, questo è un effetto di ritorno. In fondo i “partiti” fanno il loro mestiere. La questione è perché i militanti siano così disposti, ogni volta che arriva qualcuno (Bertinotti, Vendola, Ingroia, i 6 saggi garanti) a dire «queste sono le statuine, con questi dovete fare il presepe», a dire di sì, sempre con l’idea che per ora l’importante è far avanzare l’intendenza, il resto seguirà? Se i primi a fare compromessi con la propria coscienza sono quelli che dovrebbero esere radicali, di quale radicalità stiamo parlando? Non è rompendo con tutto questo che Tsipras ha costruito – certo non da solo – qualcosa di nuovo, che non fosse una costolina a sinistra del PASOK?
Ho letto con interesse il documento e, senza stupirmi troppo, ho verificato l’assenza della parola “scienza”. Sempre oggi a Radio 3 passava l’incontro con Margherita D’Amico, nel quale la generosità dell’impegno e forse la qualità letteraria stridevano con la superficialità nell ‘affrontare il problema della sperimentazione animale, brutalmente definita vivisezione. Verrebbe da dire tout se tient, ma sarebbe troppo, ci si può limitare a evocare un paio di cose che si incastrano tra di loro.
@Girolamo
Forse perchè è disabituato alla politica, perchè non si riesce ad uscire dalla logica dell’emergenza, dal “comunismo di guerra” per citere la Barbara Spinelli di sabato. E forse anche perchè è più facile dire sono “contro” che “per” qulcosa, come è sempre stato. Però ci sono segnali incoraggianti nella radicalità che si respirava sabato in platea, nel desiderio diffuso di andare nella direzione opposta a quella che tu lamenti.
Si tratta di cominciare a trovare i metodi per farlo e di cominciare ad usare quelli che ci sono. Non si farà in un giorno ma se non si inizia non finiremo mai.
Simone
Picobeta, non confondiamo, per gentilezza, un libro di racconti con un documento politico 🙂 Nè il ruolo di chi conduce con il ruolo di chi partecipa a un’assemblea. Sono due cose diverse, grazie.
Vorrei solo aggiungere una cosa su quanto diceva Simone: la questione della rete va posta. A noi sembra superfluo parlarne, ma ancora oggi è considerata una “roba strana”, e l’idea che la rete la usino solo i cinquestelle è più diffusa che mai. A proposito di cultura.
Non sono stato chiaro, quello che intendo dire è che il libro di racconti e il documento politico, tra di loro ovviamente assai diversi, sono affetti dagli stessi o da simili sintomi di lontananza dalla scienza.
@ Simone
In questi anni io di propositività, da movimenti a singoli militanti, “pro” invece che “contro” ne ho vista (e, nel mio piccolo, praticata) tanta. Fino a non poterne più (non mi riferisco a te) di quelli che parlano della “sinistra dei no”. Ma è proprio questa propositività che viene poi regolarmente messa da canto quando il Clarinetto di turno si mette a saltellare e dimenare la coda mentre ripete “Tattica, compagni, tattica”. E magari non sa neanche di star citando Orwell.
Sabato scorso ( 19 luglio Teatro Vittoria Roma) al gruppo su “Scuola formazione e cultura” avrei voluto prendere la parola ma ho sentito imbarazzo e la mia timidezza ha prevalso.
Avrei voluto riportare la bella esperienza del comitato fermano in appoggio alla lista Tsipras dove le appartenenze politiche ed ideologiche si son fatte da parte in nome di un obiettivo di altra ed alta politica che nn si è fermato alla scadenza elettorale delle europee ed intende proseguire analizzando e studiando bene le problematiche della nostra provincia marchigiana e lavorando capillarmente per cambiare linguaggio, in modo da intercettare giovani e non distanti dal fare politica ma con ottime potenzialità; per fortuna ho rivisto donne come la Zanardo ( conosciuta personalmente in campagna elettorale ad aprile ) e te, Loredana, che mi dai coraggio e speranza. leggo ed approvo il tuo report ufficioso che a mio avviso mi e ci rappresenta molto più dettagliatamente di quello fatto in plenaria da Sandro Medici
A presto
Diletta Parrino
Sono una simpatizzante della lista Tsipras e scrivo in riferimento al concetto di cultura. Con la cultura in Italia ci si sciacqua spesso la bocca. Gli intellettuali trovano sempre modo per parlare di bei libri (che nessuno legge) che dicono tutto e il contrario di tutto e sono bravissimi da sempre ad usare frasi raffinate e argomentazioni lucide per dire delle gran belle cose. Messi di fronte alla realtà però non battono ciglio e sottoscrivono quasi all’unanimità il giuramento di fedeltà al Partito Fascista e sono sempre pronti a salire sul carro del vincitore anche quando è un farabutto. La tolleranza si stempera spesso da noi nella connivenza. Per esempio non si è mai capito in nome di cosa in Italia si continui ad accettare il maschilismo dei musulmani. Anzi lo so, perchè siamo maschilisti anche noi cattolici o laici, ma questa non è tolleranza: questa si chiama barbarie.
Anzitutto grazie a tutti coloro che hanno scritto qui. Il report ufficioso è in aggiornamento, in attesa di quello ufficiale.
Rispondo a Maria Rita. Se me lo permette, è un concetto un po’ ristretto di cultura quello che lei delinea: cultura non significa “libri”, o non solo. Quanto al tacere di fronte alla realtà, non è vero sempre e non è vero per tutti. Infine, sinceramente, resto un po’ perplessa davanti all’ultima affermazione e ai “musulmani”.
Loredana, se rilegge quello che ho scritto non ho scritto che la cultura sia fatta solo dai libri. È vero che ci sono persone che si dicono colte o che sono riconosciute come intellettuali, che non si vendono facilmente, ma anche con le frasi che ho scritto non volevo intendere che tutti gli intellettuali siano per definizione dei venduti. Non mi ..
sono spiegata bene o non ci siamo intese. In merito alle persone di cultura musulmana, voglio dire che dal mio punto di vista, le tradizioni più democratiche e liberali come quella cristiana non dovrebbero essere molto accomodanti rispetto a tradizioni che per esempio non riconoscono uguali diritti e doveri ai
due sessi.
Loredana, se rilegge quello che ho scritto non ho scritto che la cultura sia fatta solo dai libri. È vero che ci sono persone che si dicono colte o che sono riconosciute come intellettuali, che non si vendono facilmente, ma anche con le frasi che ho scritto non volevo intendere che tutti gli intellettuali siano per definizione dei venduti. Non mi ..
sono spiegata o non ci siamo intese. In merito alle persone di cultura musulmana, voglio dire che dal mio punto di vista, le tradizioni più democratiche e liberali come quella cristiana non dovrebbero essere molto accomodanti rispetto a tradizioni che per esempio non riconoscono uguali diritti e doveri ai
due sessi. La cultura non può prescindere dai diritti umani.