DICE ELLIS…

Gian Paolo Serino ha intervistato Bret Easton Ellis per Stilos (nel numero Scheletro_1 attualmente in edicola): l’assaggio conferma molte delle tematiche toccate dal nostro nel tour italiano. Ovvero:

Quello che si legge in “Lunar Park” è tutto vero?
Assolutamente sì: ogni singola parola è vera. Del resto all’inizio del romanzo, nel capitolo introduttivo, avverto i lettori di credere a ogni parola che leggeranno nel libro e io stesso credo a ogni parola che c’è nel romanzo. Io voglio sempre credere che ogni parola scritta in un romanzo sia vera. Potrebbe anche essere che siano i lettori ad essere inaffidabili.
In “Lunar Park”, però, lei sottolinea che “il lavoro dello scrittore è questo: la vita diventa un vortice di menzogne. L’abbellimento è al centro di tutto…”.
Il fatto di non credere che sia tutto vero è per lo più dovuto alla paura e all’ansia. Il negare quel che si fa come scrittore perché se ne ha paura.
Dostoevskij, ne “I Demoni”, scrive: “La verità è sempre inverosimile. Per renderla più verosimile occorre mescolarla con un po’ di menzogna…” .
Ripeto, io credo nella realtà, credo nella verità.  I miei personaggi possono dire delle menzogne, ma ciò che dicono al lettore è esattamente quel che sentono. Certo, io penso che gran parte della nostra vita sia una recita: ognuno di noi ha dei ruoli ben definiti e questo ci serve per affrontare la vita con maggior facilità, per rendere tutto più confortevole. Abbiamo un ruolo con i nostri genitori, la nostra fidanzata, con i bambini. Insomma penso che recitare abbia molto a che fare con il modo in cui la gente deve vivere la propria vita. Non  penso che questo rappresenti una falsità. Ormai avere dei ruoli è diventato indispensabile per vivere nella società: ci richiedono di farlo e noi dobbiamo farlo. Dunque si può dire che io credo nella verità, ma in una verità più ambigua per il fatto che noi tutti siamo diventati degli attori.

Il suo libro è un omaggio dichiarato a Stephen King…

E’ stato uno tra i miei autori di riferimento. In “Lunar Park”, la cui trama avevo in mente da anni, ne ricalca certe atmosfere. Anche se, come ho appena detto, l’orrore non è soprannaturale: è quotidiano.

In effetti ci sono passaggi piuttosto feroci su come noi tutti siamo ormai stritolati dalle inezie…

Sì, spesso, e soprattutto nelle conversazioni più convenzionali, tendiamo a parlare del Nulla. Ma è un Nulla diverso, non è più “il vuoto pneumatico” degli anni ’80. Non c’è più disperazione: c’è piuttosto una disperazione da salotto. Di quelle, per intenderci, che puoi tenere sotto controllo. Perché, ripeto, la gente ormai, tutto sommato, se ne frega…

Lei è stato definito “il primo scrittore della video generation”: è uno schermo che vede cambiato?

Senza dubbio. E’ un altro passaggio, forse poco compreso dalla critica, che ho tenuto a sottolineare. In “Lunar Park” denuncio, in poche righe, questo cambiamento radicale: non viviamo più nell’era delle immagini, ma in quello dei frammenti. I giovani di oggi sanno maneggiare le informazioni visive in maniera straordinaria, ma sono drogati di frammenti.

Anche il suo modo di raccontare è cambiato…

È cambiato piuttosto il mio narratore. Per la prima volta non scrivo dal punto di vista di uno studente di college drogato o di uno psicopatico di Wall Street o di un modello con la mente vuota, ma dal punto di vista di uno scrittore. E’ logico che il modo di scrivere sia diverso:  basti pensare che ho scritto, per la prima volta, al passato e non al presente. Lo stile cambia, la scrittura cambia e diventa più profonda. Penso che questa sia la principale ragione di un libro che per me rappresenta una svolta.

L’uso del passato per ricordare: in tutto il libro aleggia anche il fantasma di suo padre…

E’ una presenza costante. Ma al tempo stesso è un’assenza che si fa sentire.

Non è un caso, quindi, che la casa dove è ambientato “Lunar Park” sia in Elsinore Lane…

Mi fa molto piacere che abbia notato questo. E’ un particolare, ma è importante. Ho usato il nome di Elsinore, il castello dove Shakespeare ha ambientato il suo “Amleto”, proprio per stabilire una sorta di continuità nell’ossessione umana per certi fantasmi: i ricordi. Durante la stesura di “Lunar Park” stavo leggendo proprio l’ “Amleto”. E nel libro ne ho ricopiato anche un passaggio che trovavo particolarmente adatto: “Sì, dalla tavola della mia memoria/ io cancellerò tutti i triviali, frivoli ricordi, /Tutti i detti dei libri, tutte le forme, tutte le impressioni passate,/ Che la giovinezza è l’osservazione copiarono quivi…”.

  Chuck Palahniuk nel suo ultimo “Cavie” ha scritto: “Invidio Anna Frank perché ha avuto in fondo una vita piacevole: almeno non ha dovuto andare in giro a presentare il suo libro…”

Chuck è proprio un “bad bad boy”, un cattivo cattivo ragazzo. Ho capito cosa intendeva dire, ho compreso anche la sua provocazione, ma trovo la sua uscita di cattivo gusto. Non sono d’accordo con Palahniuk: trovo la sua dichiarazione veramente offensiva. Lo stesso posso dire di Tom Wolfe: recentemente ha dichiarato che andare in giro a presentare libri è mille volte peggiore che partecipare alla guerra in Irak.

Wolfe che, nel suo ultimo, “Io sono Charlotte Simmons”, arriva dove Lei è partito…

Ci ho pensato anche io: quando scrissi della vita nei campus americani, in “Meno di zero”, molti mi accusarono di avere esagerato, di aver distorto la realtà, di aver descritto un mondo giovanile fatto di sesso e di droga che non corrispondeva alla verità. Il fatto che Tom Wolfe, un reporter che stimo moltissimo e che ha scritto quel piccolo capolavoro che è “Il falò delle vanità”, torni adesso sugli argomenti che ho affrontato quasi 20 anni fa da un certo punto mi legittima. Anche se ritengo che il suo “Sono Charlotte Simmons” non sia un romanzo riuscito. Come fare, a 75 anni, a descrivere un universo di teenager? Secondo me, questa volta, Wolfe ha proprio sbagliato traiettoria.

Tornando sempre al passato: sulla quarta di copertina della prima edizione italiana di “American Psyco” (uscita nel 1991 per Bompiani) c’è una dichiarazione di Mario Spagnol, editore Longanesi : “Non abbiamo voluto partecipare all’asta. Perché? Perché è un libro che spaventa. Ammetto: nel giovane Ellis c’è del talento e forse questo libro appartiene alla letteratura. Eppure io non voglio averci niente a che fare…”. Che ne pensa?

Scrivendo “Lunar Park” ho riletto anche “American Psyco” e devo ammettere che oggi, a 41 anni, ho capito il motivo del suo successo. Era un libro scritto con rabbia: una rabbia genuina che ad un certo punto esplode del tutto. Ma io stesso mi sono ritrovato scioccato davanti a tanta violenza.

7 pensieri su “DICE ELLIS…

  1. ehm, mi intrometto..
    ho appena letto l’inizio del libro di Ellis, credo che sia quanto di meglio è uscito nell’ultimo periodo…
    ho dato un occhiata anche all’ultimo Baricco, boiata pazzesca.
    in effetti credevo che i soldi avessero dato alla testa a Ellis, e invece no, Ellis ha messo a punto una macchina narrativa che non mi sarei mai aspettato.
    Siamo dalle parti di Operazione Shylock di Roth, ma Ellis rimane quello di American Psycho.

  2. ehm, mi intrometto..
    ho appena letto l’inizio del libro di Ellis, credo che sia quanto di meglio è uscito nell’ultimo periodo…
    ho dato un occhiata anche all’ultimo Baricco, boiata pazzesca.
    in effetti credevo che i soldi avessero dato alla testa a Ellis, e invece no, Ellis ha messo a punto una macchina narrativa che non mi sarei mai aspettato.
    Siamo dalle parti di Operazione Shylock di Roth, ma Ellis rimane quello di American Psycho.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Torna in alto