DON CHISCIOTTE, LA GALASSIA, OCSE-PISA

“Che c’è sul giornale oggi?”, chiede la signora al suo accompagnatore, mentre aspettano il caffè. “Boh. Greta. I ragazzi che non capiscono niente”. Sorrisi, sorrisi.
Buongiorno: abbiamo un problema, ma non è quel che crediamo di avere. Mentre articoli e commenti si concentrano sui dati Ocse-Pisa e sulla non comprensione del testo da parte dei quindicenni, non ci accorgiamo non solo di non capire noi quello che stiamo leggendo, ma di reagire con quel sottile disprezzo autoconsolatorio che, al solito, ci permette di sentirci in salvo. Poveri quindicenni ignoranti, si dicono gli adulti, anche illustri, anche colti, fieri di conoscere Jan Potocki e Francesco Cavalli, senza chiedersi, magari, a cosa serva leggere il Manoscritto trovato a Saragozza e ascoltare l’Erismena se non si riesce a condividere quel piacere, quel sapere.
Andiamo con ordine. Primo: i dati Ocse-Pisa andrebbero letti, e bene. Non esprimono una tendenza ma fotografano una situazione non mutata, come spiega  Vanverismo Pedagogico.
“I nostri quindicenni stanno dunque più o meno a metà classifica su 68 Paesi in lettura: circa il 23% ha basse competenze in comprensione di un testo (problema serio). Il 77% del campione italiano raggiunge il livello minimo di “competenza” in lettura, mentre l’“uno su venti” che vado leggendo qua e là, fa riferimento a lettori e lettrici eccellenti. Per gli adulti è uno su cento e il campione che raggiunge il livello minimo di competenza è meno della metà.
Abbiamo forti divari e potremmo andare meglio, dovremmo andare meglio. Il che è un enorme problema. Ma concedetemi che non è lo stesso che dire che “i nostri quindicenni non sanno leggere”. Mentre è abbastanza vicino al vero dire che i nostri adulti non sanno leggere, vedi i Piaac.
A differenza che nell’indagine Ocse Pisa, dove in lettura i nostri quindicenni sono più o meno a metà classifica, l’indagine Ocse Piaac, che rileva le competenze in comprensione del testo della popolazione adulta, rileva che lì siamo ultimi. Il che potrebbe dare delle risposte ai miei dubbi riguardo chi scrive certi titoli e su cosa comprenda del rapporto Ocse Pisa, testo di media difficoltà, sempre che lo abbia letto, con tutto il rispetto.”
Secondo. Come scrive Roberto Maragliano (è un commento su Facebook ma vale la pena riportarlo almeno in parte):
“Che si intende per capacità di lettura? Lettura di che? I giornali, e addirittura gli editoriali, come si diceva in riverite recenti ricerche sulle competenze, anzi sulle non competenze degli adulti italiani? Se le cose stanno così sarei disposto a sollevare qualche interrogativo sul fatto che quel tipo di lettura possa rappresentare oggi il livello di maturità desiderato per un individuo adulto, o per un giovane in via di adultizzazione. Inoltre, non sono sicuro che in gioco, in tutta questa faccenda, ci siano soltanto questioni di lingua e non anche (e soprattutto direi) questioni di enciclopedia, di cultura vissuta e riconosciuta, di uno spazio di conoscenza ed esperienza caratterizzato da movimento. Analogo discorso andrebbe fatto per i materiali ‘scolastici’ utilizzati per le rilevazioni ‘scolastiche’. Di che natura sono? Questi giovinotti che non sanno leggere (cose scolastiche) leggono molto di più, fuori scuola, di quanto non abbiano mai fatto i loro predecessori. Dunque, c’è qualcosa che meriterebbe di essere preso in considerazione, se si sapesse vedere e pensare un rapporto meno conflittuale tra scuola e mondo. Concludo. Stiamo vivendo, proprio sul versante della cultura praticata una rivoluzione radicale dei comportamenti, delle regole, delle dinamiche, fenomeno di cui il digitale è specchio e veicolo (ma non motore, o meglio non motore esclusivo). La scuola assiste immobile e sgomenta a questa trasformazione dell’universo esterno ad essa. E si chiude sempre più. Purtroppo gran parte del modo diffuso di guardare alla scuola riflette e conferma questa chiusura”.
Terzo. Il problema è adulto, senza se e senza ma. Tutte le volte che si ragiona di cultura e di saperi, assisto alla solita levata di scudi dei felici pochi, quelli che leggono Potocki e ascoltano Cavalli, cosa che faccio anche io, naturalmente. Ma che non sono disposti a guardare oltre se stessi. Non si legge!, strillano. Ma dai? In Italia si è sempre letto poco. La differenza, come diceva saggiamente un mio amico, è che un tempo quelli che non leggevano, ovvero la maggioranza, su un mezzo pubblico o in una sala d’attesa guardavano il muro, e oggi guardano lo smartphone.
Ma lo smartphone non è il male, non è la causa della non lettura. E’ come ci approcciamo allo smartphone, semmai, la questione vera. Cosa cerchiamo? Cosa, appunto, leggiamo? Rimango sempre colpita quando, sui social, qualcuno mi fa una domanda la cui risposta è rintracciabile sullo stesso mezzo con due, dicasi due, clic. Perché non siamo curiosi? Perché ci rifiutiamo di considerare saperi quelli che lo sono o lo sarebbero, se imparassimo a usarli davvero?
Un esempio sciocco, e che ancora una volta riguarda quelle stesse serie televisive che dai miei incliti colleghi che si occupano di libri vengono accusate di distogliere dalla lettura. Davvero? Torno a fare l’esempio di The Expanse, citata ieri: viene da una saga letteraria, tanto per cominciare, ma non è neanche quello il punto. Guardando la prima stagione, mi sono chiesta all’inizio come mai l’episodio iniziale si chiamasse Dulcinea, visto che eravamo in piena galassia. Quando, più avanti, una nave spaziale viene ribattezzata Rocinante (“Così pensando, diresse verso il suo villaggio Ronzinante il quale, quasi sentisse il fiuto della sua stalla, cominciò a trottare di tanto buona voglia che pareva non toccasse la terra coi piedi”), ho pensato “eh no, non è una coincidenza”. Quando mi sono imbattuta nell’episodio che si chiama “Mulini a vento”, mi sono detta, “d’accordo, state riscrivendo Don Chisciotte, che la dea vi benedica, ora mi spiego tante cose”.
La cosa divertente è che i giornali di lingua inglese lo sanno e ne scrivono. Noi, per carità, figurarsi: come se un altro mezzo narrativo non fosse un formidabile e possibile rilancio per la lettura “tradizionale”, se è quel che state pensando. Come se cultura non comprendesse ogni aspetto della narrazione. Perché soltanto possedendo e, maledizione, condividendo e diffondendo quei punti di partenza e di arrivo possiamo parlare di saperi senza dire le solite, inutili cose. Siamo noi adulti il problema, e neanche ce ne rendiamo conto.
E so benissimo che la maggioranza di noi preferisce attaccarsi alle tende e rimpiangere i bei tempi, e in questo modo continuare ad apprezzare se stesso: ma non funziona così.
“Per me solo nacque don Chisciotte, ed io per lui; egli ha saputo oprare, ed io scrivere; noi soli siamo due in uno, nonostante e a dispetto del falso e tordesigliesco scrittore che si arrischiò o si arrischierà a scrivere con grossolana e spuntata penna di struzzo le imprese del mio valoroso cavaliere, perché non è peso per le sue spalle, né tema per il suo costipato ingegno; e anzi l’avvertirai, se mai ti capitasse di conoscerlo, che lasci riposare nella tomba le stanche e ormai marcite ossa di don Chisciotte, e non cerchi di portarlo, contro ogni diritto della morte, nella Vecchia Castiglia, tirandolo fuori dalla fossa in cui realmente e veramente giace, lungo lungo, nell’impossibilità di fare una terza spedizione e una nuova uscita; che per farsi beffa di tutte quelle che fecero quei cavalieri erranti, son sufficienti le due che fece lui, con tanto spasso e consenso delle genti che ne hanno avuto notizia sia in questi che negli stranieri regni. E con ciò terrai fede alla tua cristiana professione, consigliando bene chi ti vuol male, e io resterò soddisfatto e fiero d’essere stato il primo a godere per intiero i frutti dei suoi scritti, come volevo, che altro non è stato il mio intento che quello di far odiare dagli uomini le bugiarde e assurde storie dei libri di cavalleria, che ad opera di quelle del mio autentico don Chisciotte van barcollando, e finiranno per cadere del tutto, senza alcun dubbio.” Vale
Miguel de Cervantes, Don Chisciotte della Mancia

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