DONNE CHE PARLANO, DONNE CHE SCRIVONO

Sono stata a Repubblica Tv insieme a Nadia Urbinati: qui il link. Nel frattempo, posto qui un bell’articolo di Valeria Parrella uscito sul quotidiano di oggi.

A domanda rispondo, pur non essendo certa che la domanda, cosa e dove sia la nuova narrativa italiana, sia giusto porla a una scrittrice: la quale in primo luogo aspira a farne parte, e quindi si vede costretta ad autoanalizzarsi, decomporsi in quella serie di categorie che dovrebbero definire l´oggetto, con la speranza di finirci, in una di queste. O corre il rischio, ben peggiore per gli altri, di inventarsi a bella posta un criterio di analisi che la contenga. Inoltre le categorie le deriviamo da processi induttivi, e quindi bisognerebbe aver letto moltissimo, se non tutto. E non è il mio caso.
Leggo letteratura italiana contemporanea da pochissimi anni. Prima mi dedicavo quasi esclusivamente alla letteratura straniera, e alla saggistica talvolta. Per un paio d´anni ho lavorato come commessa-libraia in una libreria della catena Feltrinelli, e ricordo che la narrativa contemporanea italiana in classifica ci arrivava poco e a stento. Altra cosa che mi affascinava, quando ero commessa-lettrice, era che la maggior parte dei nostri clienti erano donne. Davvero molte. E la maggior parte dei nostri scrittori erano uomini. Davvero molti. Io, con lo sconto dipendenti, me ne vedevo bene tra i nord americani, dopo aver avuto i sud americani, e prima ancora, come tutti, i francesi e i russi, e prima ancora, come molti, i greci, laddove e quando non ci si stava troppo ad arrovellare sui generi ma si leggeva e basta.
Per me sedicenne la nuova narrativa contemporanea era Erri de Luca – sono nata nel 1974 – e Rossana Campo che mi faceva ridere assai. Posso piangere immantinente se ripenso a certi passaggi di Tu, sanguinosa infanzia di Mari. Trovavo molto sollievo nella vecchia narrativa contemporanea: Morante, Ortese, Arbasino, Busi, non chiedendomi assolutamente quanto fosse vecchia o dove trovasse una sua collocazione. Alcuni racconti di Anna Banti mi lasciavano con i ricci dritti sulla testa per lo spavento.
Non ricordo quando è cominciata la nuova narrativa contemporanea, ero distratta a leggere. Forse quando Rosa Matteucci ha scritto Cuore di mamma, due anni fa, che è scalzante e apocalittico, di una cattiveria novissima rispetto al tema, o forse quando Diego de Silva ha scritto Non avevo capito niente, facendosi portavoce popolare del nuovo disagio italiano, ma soprattutto cambiando stile e lingua. Mi rifiuto difatti di pensare che avere già dei titoli in catalogo e i quarant´anni superati escluda dall´essere nuovi narratori. Comunque sia, tutta questa bella carriera di lettrice libera ha avuto il suo colpo di grazia nel momento in cui sono diventata scrittrice, e mi sono posta il problema dei canoni, della lingua, di cosa arrivasse di là, dopo che di qua c´ero stata io a scrivere la pagina. E questo, senza che io lo volessi, ha trasbordato dai miei piccoli e pochi libri per riversarsi sulla letteratura tutta e attaccare e attecchire proprio sul più vicino, il vicinissimo: la nuova narrativa italiana.
Si chiama confronto. Quella cosa che si crede superata in quinta elementare, quella pedagogicamente sbagliata. Ma prima del confronto, era essa la diagnosi. Ho cominciato a vedere abilità e furbizia, mestiere o somma bravura, lì dove prima c´erano libri, storie e personaggi soltanto. Con il passare del tempo la situazione è peggiorata: dopo l´esordio, attraversando un bailamme di festival e fiere, incontri e premi, ho cominciato a conoscere di persona gli autori della nuova narrativa italiana. E da lì in poi è diventato un gioco enigmistico: li conosco, so come vivono e dove, le loro vite private. Non riesco più ad attribuire ai personaggi colori di capelli diversi da quelli del suo autore. E non vale l´assunto che Garboli portava per la Morante: di poterla meglio definire proprio perché la conosceva come le sue tasche.
Per tanti motivi: il primo che mi viene in mente è che io non sono Garboli, e nessuno dei miei colleghi scrittori è la Morante. Aspetto il grande romanzo contemporaneo da Nicola Lagioia, ma la carica emotiva che metto in questa affermazione è la stessa di quando dico che mio figlio è un bambino meraviglioso. Può essere vero, ma non ho alcuna autorità per farmi credere, manco un briciolo.
Ora, dopo aver “consumato” due terzi dello spazio per la premessa, tento un noiosissimo punto di vista dove mi si deve seguire per quello che affermo e non per quello che ometto: mi sembra di notare che i nuovi autori contemporanei si siano dedicati all´autofiction, che è un sistema generoso di far letteratura, ma consente pochi voli, invenzioni, storie che siano storie come fabulae (Scurati, Covacich, Piccolo, Bajani, Cavina, Genna di Italia de profundis). E anzi sono belli questi libri, ci si trascorre un bel po´ di tempo assieme senza pensare di averlo perduto, questo tempo. Faccio un esempio dai libri di Pascale, rendendo noto un dubbio che gli avevo posto in conversazione privata (non me ne vorrà): l´ultimo libro di Pascale che mi è veramente piaciuto è stato La manutenzione degli affetti, lì Caserta non era Caserta e i Nappo erano la proiezione familiare di un mondo. C´era più trasposizione di quanto abbia fatto in seguito: gli altri libri sono degnissimi ma non mi hanno spaccato il petto per lo struggimento. Eppure ogni volta che io apro una sua pagina sento che la potenzialità e la potenza stanno riposando lì sotto da qualche parte. Eppure gli altri libri sono venuti quando anche io già scrivevo e pubblicavo, così che non sono davvero in grado di capire dove si sia verificata la cesura che sento.
Mi sembra invece che mantengano quest´obiettivo, quello di trasportarti in altro luogo, farti saltar su dalla seggiola, le scrittrici donne. Hanno una capacità di allontanarsi dall´autofiction per vie traverse e strane, modi per smarrire la realtà nelle pagine: Strada provinciale tre della Vinci con la monolitica caparbietà della protagonista. Il giorno dell´indipendenza della Muratori con l´inverosimiglianza dell´intreccio. Senzaterra della Santangelo con la lingua monumentale e Accabadora della Murgia con l´epoca d´ambientazione. Noto ancora, come già Desiati in queste stesse pagine, che non esiste un grande romanzo così come ci spiegarono, a scuola, che erano fatti i grandi romanzi.
Ma questo nuovo romanzo contemporaneo che non arriva, poi, preferendo tutti noi i racconti lunghi o i romanzi brevi (al punto che Lo spazio bianco spacciato dall´Editore con la mia supina acquiescenza come romanzo, mi pare chiaramente un racconto lungo anch´esso) perché mai dovrebbe arrivare? Mi faccio forte di una considerazione che Berardinelli ha offerto qualche giorno fa su Il Foglio. Quando ero una lettrice vera ho preferito i racconti di Buzzati al suo Amore, che sollievo scoprire che anche Pirandello ne scriveva, che Verga poteva stordirti in dieci pagine. Mio figlio frequenta una scuola materna che si chiama “Lo cunto de li cunti”: ci sarà un motivo, porca miseria. Se uno sente la mancanza de Le benevole di Littell si vada a leggere Le benevole di Littell, dovesse tremarci il ciglio per I miserabili, Esso è lì ancora. E ora basta, torno a leggere. Pardon, che lapsus: volevo dire scrivere.

12 pensieri su “DONNE CHE PARLANO, DONNE CHE SCRIVONO

  1. Che dire, noi lipperlettori siamo “avanti”!
    Però, mi sarebbe piaciuto vedere tra voi la ministra delle pari opportunità. Così per un confronto con la politica, visto che i politici vanno ovunque, e di certo come si sottolineava, in Italia la questione femminile è anche vittima della politica.
    Speriamo di rivedere presto altre trasmissioni del genere.

  2. Trasmissione molto interessante. Brava Lippa. Unico neo, a parer mio, il secondo intervento di Lella Costa, quello in cui rivendica una superiorità del femminile (capacità di fare figli, etc, etc…) sul maschile: concetti poco condivisibili e di gusto retrò, una sorta di revanscismo pseudofemminista che ogni tanto riemerge.
    Su ciò che ha detto Nadia Urbinati riguardo al tema prostituzione/gesuitismo ottocentesco, sarebbe bello avere un po’ di bibliografia sull’argomento.
    Un’ultima cosa a proposito della visita in Vaticano della delegazione femminile del G8 (le immagini scorrevano sullo schermo, mentre parlavate): che tristezza vedere quel gruppo di donne costrette a vestirsi, per interloquire col papa, come vedove siciliane d’inizio secolo (scorso)…

  3. Bel filmato, bella trasmissione, begli interventi. Sono d’accordo anch’io sul fatto che l’intervento di Lella Costa sia discutibile per le generalizzazioni che tirano in ballo un’ennesima volta i soliti stereotipi.
    A non essermi piaciuto, però, è il solito ennesimo attacco alla “cultura cattolica” (non alla Chiesa, non alle gerarchie vaticane, ma a tutti indistintamente, forse fedeli compresi). Le figure femminili del Vangelo, anche nonostante i tempi, non hanno nulla di stereotipato. Ovvio, la Vergine Maria è una madre, per forza di cose. Ma i primi destinatari della rivelazione della Resurrezione (quindi dell’avvenimento centrale della religione cristiana) sono proprio tre donne (cosa che per l’epoca era scandalosa – e forse anche adesso!). Che poi la tradizione e alcuni prelati più o meno importanti, quindi agenti “umani”, abbiano portato a tutt’altra direzione è un altro discorso, ma questo non c’entra nulla con la religione. Ci sono tantissimi cattolici, e mi ci metto pure io in mezzo, che non ragionano per stereotipi sessisti, non vanno a prostitute per “salvare il matrimonio”, e condividono ogni onere più o meno domestico con la persona con cui vivono.

  4. Sinceramente a me non è sembrato che certe affermazioni di Lella Costa siano state espressioni di veterofemminismo. Gli uomini – mi pare abbia detto – sono bravi a fare marketing di se stessi, mentre le donne no. E se fossero gli uomini a fare le cose che fanno le donne, compreso mettere al mondo i figli, se la tirerebbero di quel po’, mentre le donne dal fatto di fare figli sono culturalmente e socialmente penalizzate. E in Italia pure parecchio, i dati stanno a lì a confermarlo, come ha puntualizzato molto opportunamente Loredana.
    Un dettaglio, passato forse inosservato, ma secondo me molto importante. Mi è piaciuta molto Loredana quando ha detto che bisogna combattere contro le generalizzazioni: non esistono ‘Gli Uomini’ e ‘Le donne”, ma esistono uomini e donne.
    Io concordo alla lettera. Anche se questa affermazione può sembrare lapalissiana, secondo me non lo è.
    E, sapendo di dire una cosa molto impopolare, temo che un certo femminismo abbia indotto a pensare che ‘donna è bello e buono’ a prescindere, cosa che a me è sempre sembrata una vera e propria follia.

  5. @The Daxman: Non è il solito attacco alla cultura cattolica quello di Lella Costa, ma una semplice rilevazione, peraltro facilmente verificabile, dell’abitudine culturale all’essenzialismo biologico di cui si fa ancora veicolo la Chiesa. Credo che la frequentazione della provincia sia fondamentale nella comprensione di come il retroterra cattolico permei ancora in maniera assolutamente capillare l’impostazione della famiglia italiana, e che alla donna venga fatto credere fin dalla primissima educazione (che è ancora cattolica in Italia: basta guardare le azioni di reclutamento massiccio alla catechesi che effettuano con metodi più e meno delicati i rappresentanti delle parrocchie nelle scuole) che sia infinitamente più conveniente per una donna adottare come campo di azione una griglia ben definita all’interno della quale si possa sentire *al sicuro*. Ma cosa vuol dire esattamente sentirsi al sicuro? Da quello che vedo in giro questo non riguarda forse le grandi città, che in Italia sono solo due e totalizzano circa un decimo degli abitanti di questo paese. Ma se appena ci si sposta nelle aree rurali (cioè quasi tutto il paese) il modello di riferimento è costruito sulla base di elementi specifici e facilmente riconoscibili, di cui la donna-madre, la donna-angelo del focolare, la donna che offre protezione, la colonna portante, tutto il discorso mariano ottocentesco insomma, è il fulcro.
    Con questo non intendo dire che non vi siano modelli di donne forti e autorevoli nell’area cattolica, e cito solo Rosy Bindi per comodità, ma ricorderei volentieri altre coraggiose, come Tina Anselmi (penalizzata proprio dalla sua stessa parte politica per avere osato effettivamente esercitare il ruolo che era stata chiamata ad esercitare). Tuttavia, credo che chi conosce bene il paese, comprese certe aree produttive e per certi aspetti all’avanguardia (per esempio il mio nord est) non possa negare che l’area di influenza della donna rimane circoscritta a tutto ciò che a lei è tradizionalmente associato da parte della cultura cattolica.

  6. @ claudia b.: per sommi capi e semplificando posso essere pure d’accordo che in alcune (molte, troppe) zone d’Italia ci sia ancora un certo tipo di educazione ai ruoli di genere legato ad alcuni ambienti cattolici come la parrocchia o le catechesi (per bambini e – ahimé – “per adulti”). Anche io, nella mia parrocchia, mi trovo spesso davanti a situazioni di questo tipo.
    Ma non si può fare di tutta l’erba un fascio. Sarebbe come se si dicesse che tutti quelli di sinistra sono degli straccioni strafatti di hashish che ascoltano musica reggae con un bastardone pulcioso attaccato al guinzaglio.
    Hai fatto il nome di Rosy bindi e Tina Anselmi, le quali per fortuna non sono casi isolati di eretiche all’interno della cultura cattolica, ma portavoce di una fetta di credenti magari non maggioritaria, ma certamente importante.

  7. @daxman: sono consapevole del fatto che una buona parte degli elettori di fede cristiana hanno ben presente i due modelli che ho citato (per esempio, ho una zia molto cattolica, ma apertissima), e non credo che Lella Costa sia una che fa di tutta l’erba (possibilmente buona) un fascio (anche perché fumarsela diventa un problema). Tuttavia non trovo sbagliato sottolineare che solo distanziandosi nettamente delle posizioni della Chiesa cattolica, che ancora moltissima influenza esercita sulle donne più che sugli uomini, le donne di questo digraziato e retrogrado paese troveranno la lucidità necessaria per uscire dal ruolo preconfezionato al quale invece ben volentieri aderiscono (per convenienza, tengo a precisare), ben sapendo che aderire ad un ruolo semplifica enormemente la vita.

  8. mah, io l’ho trovato intelligente lo scritto della Parrella…
    scusate se passo di qua, emerita sconosciuta, sto vagando in cerca di spazi per le parole delle donne (ho seguito molte volte gli interventi di Loredana, che stimo).
    Sono qui per dedicare un pensiero, un pensiero sì, alla quale spero che molte donne si uniranno, per la Estemirova….
    Non te ne accorgi.
    Capita, capita mentre stai facendo le solite cose. Gesti ripetitivi come per esempio infilare la chiave nella toppa, chiudere il cancelletto del tuo palazzo, pigiare il tasto di chiamata dell’ascensore, entrare o uscire di casa.
    Definitivamente. Definitivamente.
    Non te ne accorgi.
    Non te ne accorgi perché sei come al solito scissa in due: una parte di te – il tuo corpo – compie meccanicamente e meticolosamente i rituali del mattino, del mezzogiorno o della sera, e l’altra parte – il cervello – sviluppa efficienza in programmi futuri: cosa farai oggi, cosa farai domani, dopodomani, fra un mese. Cerchi di scacciare da sempre quel momento.
    Non te ne accorgi ma ti arriva un brivido, non te ne accorgi ma sai benissimo cosa sta per succedere anche se non fai in tempo a pensarlo.
    E’ tutto ridotto ad una manciata di secondi, meno di un minuto.
    Accade che percepisci una frenata brusca e assieme un fotogramma: un fuoristrada bianco. E sai già. Sai già cosa sta per succedere.
    Si posiziona fra te e il tuo domani, quella manciata di secondi, a dividervi per sempre. Per sempre. Endorfine che viaggiano alla velocità della luce si impossessano dei tuoi centri nervosi in lampi, scosse, sudore.
    Come te lo immaginavi tu questo maledetto momento? Te lo immaginavi nitido, solenne, vicenda centrale, affare che dura e si marchia sul cuoio del Tempo? Te lo immaginavi in azioni soppesate, lucide?
    Invece no. Te lo immaginavi come lo hai visto fare altre volte. Come lo raccontava Anna, nei suoi diari 2003 – 2005. te lo immaginavi per quel che è, squallido momento che non si ricorda nemmeno nella faccia e nella mente dei tuoi aguzzini. Te lo immaginavi coi sibili che passano inosservati, che si confondono con mille altri fruscii e micro rumori, come per esempio di vestiti strappati, di piedi trascinati; te lo immaginavi con l’ esalazione polmonare, respiro e voce che non viene e non urla, che è sopraffazione e rassegnazione. Te lo aspettavi. Perché pur scacciando questo momento, questo squallido momento, rituale che non si conficca nemmeno più nelle retini del conducente di fuoristrada portatore di destino di morte, lo sapevi che sarebbe arrivato anche per te.
    Perché c’erano, c’erano i tuoi assassini, esecutori che non hanno disobbedito agli ordini, che non si sono ribellati. C’era e c’è chi deporta ancora i vivi in campi di concentramento anonimi, esecuzione sommaria, sibilo di arma da fuoco e via. C’era e c’è chi, vigliacco, non si chiede perché, non si chiede semmai esista soluzione diversa.
    Cara Estemirova, suono secco aspirato tra le corde vocali, capelli appiccicati tra grumi di sangue, sudore e freddo di pochi attimi Ceceni, dove tu hai voluto resistere, lottare, in quella Terra così martoriata, raccontatami da Anna Politkovskaija, che c’ero stata male da morire a leggere i suoi taccuini, a sentire su di me e dentro di me il momento del suo assassinio annunciato. Ma ora no. Ora no non voglio, non voglio che le mie carni siano pasto squallido di momenti in cui tutto finisce. Voglio resistere. Resistere. Voglio pensare che domani, domani sì, una donna resisterà e firmerà l’epopea di un vincitore finalmente diverso.
    Brindo a quel momento con la certezza che ci sarà. Quel giorno ci sarà in tutte le terre martoriate.
    Francesca Cenerelli, dedicato a Natalija Estemirova e a tutte le donne coraggiose, anche alle madri argentine dei desaparecidos.
    grazie per l’ospitalità

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Torna in alto