Torno su Zona del Silenzio. Che va letto e diffuso. Ci torno perchè nella prefazione di Girolamo De Michele c’è un passo agghiacciante, che non riguarda solo la vicenda di Federico Aldrovrandi. Eccolo:
L’italiano medio non ama la complessità: non la comprende, non la trova utile. Le passioni tristi sono un cosa semplice: la paura è un ottimo collante sociale. Funziona: che altro? La complessità è problematica, richiede un lavoro di apprendimento, adattamento, rielaborazione senza fine; richiede la disponibilità a mutare pelle, ad abbandonare gli stereotipi, i pregiudizi. Richiede una flessibilità mentale che spaventa. Negli anni Ottanta, uno dei segnali della restaurazione in corso fu l’improvviso successo, tra una generazione di studiosi che avevano teorizzato la trasformazione dello stato di cose esistente, di teorie sociologiche che consigliavano la riduzione della complessità sociale. Da alcuni anni è considerata un valore la “semplificazione del quadro politico”. Forse qualcuno ricorda ancora che uno degli slogan politici della prima campagna elettorale della cosiddetta “seconda Repubblica” era: “o di qua, o di là”. Non dice forse la stessa cosa quel fine pedagogista che ha messo in moto la riforma della scuola? «La mente umana è semplice e risponde a stimoli semplici» (Giulio Tremonti, “Il passato e il buon senso”, Corriere della Sera, 22 agosto 2008, qui). A dispetto della collocazione (solo a p. 37, non in prima pagina, non tra gli editoriali), questo articolo è una delle più efficaci espressioni dell’egemonia culturale della destra al potere che oggi si dispiega. È un manifesto ideologico, che meriterebbe un’analisi, anche stilistica, minuziosa: non essendo questo il luogo, seguiamone alcune linee direttrici.
La società italiana si sta rinchiudendo dietro uno steccato per proteggersi da mostri immaginari che assediano il villaggio: è il rifugio, è il recinto stesso a generare la paura dell’esterno, dell’aperto. Della diversità. Il villaggio regredisce ad un passato immaginario. «Può essere invece il ritorno al passato e all’800, e molti segni sono in questa direzione, può essere che dall’attuale «marasma» prenda inizio un nuovo futuro», scrive ancora Tremonti nel suo articolo-manifesto. Non importa quanto reale e quanto no – basta che sia anteriore a un numero, il 1968: l’unico numero che il Ministro toglierebbe dalla circolazione. Sostituendo i numeri ai giudizi, il mondo (non solo nella scuola, sostiene Tremonti) ridiventa semplice: come dappertutto i numeri sostituiscono i giudizi. «I numeri sono una cosa precisa, i giudizi sono spesso confusi. Ci sarà del resto una ragione perché tutti i fenomeni significativi sono misurati con i numeri». Su questo Tremonti ha ragione, i giudizi implicano l’attivazione della facoltà del giudicare. Per effetto di quel nefasto numero da togliere – «1968, sintetizzato in 68» – presero piede idee e pensatori che vedevano nella società moderna il germe del totalitarismo nell’atrofizzazione della facoltà di giudicare. Giudicare è azione anch’essa complicata: più semplice è sostituire categorie come giusto/ingiusto con copie più semplici: bello/brutto, dentro/fuori, amico/nemico. L’obbedienza evita la fatica di pensare. Per effetto di quel numero nefasto, persino i poliziotti cominciarono a pensare. A chiedere la democratizzazione della polizia, che faceva il paio con la virtù della disobbedienza predicata da don Lorenzo Milani, il prete che insegnava ai poveri, inventava la scuola del futuro e finiva sotto processo per aver detto che l’obbedienza non è più una virtù.
Uno spettro si aggira per l’Italia: la mente acuta di Girolamo. Abbiamo ancora speranza, allora.
… mi risolleva il commento di biondolillo, perché -sarà il caldo, una scadenza di lavoro incombente, la mancanza di pause- a leggere il sunto del programma di tremonti-affatto-tremante mi sono sentita tanto stanca, impotente, in balia di forze ostili e molto, ma molto più forti di me.
[o forse è solo che a leggere di Federico Aldrovandi mi sono spaventata per mio figlio – no, un mondo così non faceva parte dei miei piani, né per me né per lui]
ma poi leggo biondolillo, e lo quoto.
biondolillo? sì, sono stanca, decisamente….
chissà perchè,ma il futuro ipotizzato da tremonti mi terrorizza.questo “genio”della finanza che aveva previsto tutto in anticipo di anni,ma nessuno lo voleva ascoltare,non è che per caso ha qualche hobby cui dedicarsi in modo che ce lo togliamo dalle scatole in attesa del prossimo mentecatto?curioso come così tante persone imputino al 68 la gran parte delle cause dei mali che ci opprimono.io all’epoca ero giovane,ma mi ricordo come si stava prima.dovremmo forse tornare alla monarchia o al vassallaggio?
sono contento che il caso aldrovandi stia diventando – da un caso di cronaca nera – un caso di discussione politica; non mi piace fare pubblicità alle cose che facciamo in casa editrice, ma questo libro ha un valore particolare, sicuramente, perché è il racconto di un piccolo caso di democrazia dal basso: un blog di una madre per cercare giustizia, la viralità della rete dei movimenti per tenere desta l’attenzione, e nel fumetto che abbiamo pubblicato con la prefazione di girolamo che parte dal pestaggio di aldro per parlare di scuola, di educazione, di giustizia sociale, di complessità vs semplificazione. è ha un valore particolare perché addirittura nel processo gli avvocati della difesa hanno citato “Zona del silenzio” come un ammasso di giudizi preconcetti. valeva la pena dunque essere didascalici, nel senso etimologico del termine.
mi piacerebbe segnalare il laboratorio di idee politiche e simili che sta nascendo intorno alla casa editrice anche: minimaetmoralia.wordpress.com
La complessità fa paura, da sempre. Quando uno legge una cosa complessa, o ci pensa, ha l’impressione che magari non la capisce, ma come il vango sospetto che, impegnandosi, ci riuscirebbe. é questo che inquieta.
Bellissime le prime frasi, che quoto totalmente.
Si’, e’ vero, in un paese gia’ superficiale e pressapochista di suo, adesso pure analfabeta di ritorno, ha successo chi propone concetti semplici, lineari, condivisibili con la pancia senza bisogno di pensarci troppo su.
Non piacciono i distinguo, non piacciono le analisi approfondite, non piacciono le frasi che abbiano piu’ di soggetto verbo eventuale complemento punto.
Il che produce effetti disastrosi. Io dico sempre che non esistono soluzioni semplici per i problemi complicati: chi ve le propone o e’ ignorante o piu’ spesso e’ in malafede marcia.
Le soluzioni semplici sono invariabilmente peggiori del male. Eppure siamo circondati da persone che, qualunque argomento gli tiri fuori, rispondono invariabilmente con lo slogan, la frasetta, come macchinette, senza pensare, anzi, rifiutandosi di farlo.
Carissimi. E riflettevo proprio oggi sui blog più quotati di wordpress (non oggi, ma da anni) e sono quelli dedicati ai reality shows, all’enalotto, alle veline…
insomma. E’ come dire che i post lunghi o senza immagini non vengono letti perché fanno “paura”. Ma che cos’è la paura poi? Andiamo avanti e cerchiamo soluzioni, complesso, ma non impossibile. A presto.