DUE PAROLE SUL SENZACODA

Per un giorno solo, non me ne vorrete se sospendo la bibliografia disarmata: perché oggi esce per Salani Il senzacoda,E’ una storia per bambine e bambini, dagli otto anni, ma in realtà anche un po’ prima e anche molto dopo. E’ una storia di mostri, gatti, amiche e paura. E’ una storia che ho amato scrivere, tanto, forse persino più del solito, perché è una di quelle storie beate che escono dalla punta delle dita senza che tu sappia perché.
O meglio, qualcosa so, e provo a spiegarlo.
Ho scritto solo un libro per ragazze e ragazzi prima di questo: Pupa, che uscì per la meravigliosa Rrose Selavy nel 2013. Quella storia nasceva da mia madre, che avrei perso l’anno successivo, e racchiudeva tutto quello che sapevo sulla sua infanzia, perché l’infanzia delle madri è qualcosa di lontano e mitico, e avevo bisogno, più o meno consciamente, di guardarla ancora una volta, di scriverne, di regalargliela.
Chissà perché i miei romanzi per giovani lettori nascono da una perdita, o da un dolore: Il senzacoda, come chi mi legge sa, nasce da uno strappo che riguarda uno dei miei due conviventi a quattro zampe, Lagna, che il 4 ottobre 2020 viene investito, ridotto in fin di vita, salvato da due ragazzi, privato della coda, di cui  oggi sembra non sentire troppo la mancanza.
Era anche, quello, l’autunno della pandemia, l’autunno in cui usciva il mio ultimo romanzo “grosso”, La notte si avvicina, l’autunno dello stordimento. A differenza di molti altri, non riuscivo a scrivere: provavo e chiudevo subito il file, con angoscia. Forse vi è capitato, ma era uno di quei momenti in cui ci si dice “va bene, finisce qui, non ho altro da dire”. Poi, con l’inizio del 2021, ho provato a buttare giù quella che era semplicemente una storiella: un gatto, anzi due, anzi molti, una bambina fifona che sogna mostri (in quella prima versione terribili e crudeli e non troppo presenti), un modo per superare le paure. Ari, allora, non aveva amiche, ma solo la sua famiglia. Quelle poche cartelle spezzarono però l’incantesimo: perché subito dopo ho scritto Nome non ha, e un’altra piccola cosa di cui si dirà più avanti.
Cosa cambia in quello che è il romanzo attuale? Intanto, a cambiare tutto è l’incontro con Maria Grazia Mazzitelli e Viola Cagninelli di Salani. Che mi dicono una cosa semplicissima: hai ancora molte storie dentro questa storia, tirale fuori. E io ci penso. E le storie appaiono, grazie alla presenza a Gita al Faro di Nadia Terranova e Stefania Auci, e alle serate di chiacchiere sotto la luna: Nadia e Stefania diventano  due amiche preziose per Ari (le amiche sono sempre preziosissime, e io ringrazio sempre e sempre la stella che ci ha fatto incontrare). Ma soprattutto i mostri, poveracci pure loro, cambiano a loro volta: cosa potrebbero mai fare i discendenti dei veri Terrori nei sogni di una bambina? E quindi hanno anche loro le proprie paure e i giusti desideri.  Infine, tiro fuori dalla cantina, come direbbe Qualcuno, le mie paure e i miei incanti di non più bambina: che però si diverte ancora a parlare di fenicotteri e di aironi cenerini, di leoni di pietra vessati da una vigilessa che non ama i bambini, né i gatti (però si può sempre cambiare, giusto?), di parole magiche, di vecchie e nuove musiche.
Per farla breve: mi sono divertita. Immensamente. Ho scoperto che da qualche parte esisteva ancora una mia  voce non malinconica ma allegra, innamorata dei nonsense e delle situazioni impossibili (eppure resto convinta che i fenicotteri scrivano davvero sonetti quando nessuno li vede). E sono felice di averla ritrovata. E anche che siano stati i gatti e le amiche a restituirmela, perché come si fa, come, senza di loro?

Buona lettura, per chi vorrà. Per me questo è già un dono, e grandissimo. Che si deve, peraltro, alle strepitose illustrazioni di Stefano Tambellini, il migliore che avrei potuto desiderare.

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