DUE STORIE DI FALLIMENTO

In effetti sono riemersa. In effetti sono spaesata, lo ammetto e chiedo venia. Per un anno esatto sono stata concentrata su altro, e adesso che i giochi sono chiusi ricomincio a guardarmi intorno senza che ci sia una parte del mio cervello impegnata a rimuginare altrove. Ci metterò un po’ a riabituarmi, siete avvertiti.
Dovrei e vorrei, per esempio, parlare di due libri che mi hanno colpito molto e che ho già citato. Sono due opere prime. Sono stati scritti da due donne. Sono Il dolore secondo Matteo di Veronica Raimo e Sappiano le mie parole di sangue di Babsi Jones.
Faccio qui soltanto qualche considerazione, ripromettendomi di tornare ulteriormente e più a lungo su ciascuno dei due, perché sono romanzi diversissimi fra loro, per contenuto e linguaggio.
Ma se devo rintracciare qualcosa che li accomuna, oltre alla validità, penso alla parola impossibilità.
Impossibilità di provare emozioni, nel primo caso.
Impossibilità di trovare efficacia nella parola, nel secondo.
Ne Il dolore secondo Matteo il protagonista è impermeabile, come da titolo, alla sofferenza. Ha un lavoro casuale, ma congeniale, in un’impresa di pompe funebri e gestisce con lucida anestesia emotiva le passioni che suscita in altri. In realtà, molta parte della sua esistenza si centra esattamente su questo asettico smistare amori, furori e dolori altrui, senza mai esserne toccato (anche quando, con gelida curiosità, cerca di infondere disgusto, come nella pagina in cui Raimo, con notevole virtuosismo della ripugnanza, descrive il bacio-con-ascesso). In parole poverissime, Il dolore secondo Matteo racconta con esemplare crudeltà il grado zero delle emozioni: ad altri dedurre quanto tutto questo sia faccenda propria della contemporaneità, o sia un impeccabile (e per paradosso estremamente coinvolgente) esercizio di stile.
Sappiano le mie parole di sangue, invece, verte sull’impotenza della parola scritta nel restituire fino in fondo la realtà. E’ un testo scomodissimo, che in un’ambientazione geograficamente e storicamente ben precisa (un pogrom in Kosovo) inserisce l’indagine su tematiche assolute: la vendetta, la scrittura, il femminile. Ed è soprattutto un romanzo sull’innocenza, e su quanto il concetto stesso sia labile: anzi, su come sia impossibile, al momento, rinchiudere nella sicurezza di una definizione la maggior parte delle grandi categorie. Inclusa quella della guerra.
Nel sito del libro, straordinario per complessità e ricchezza, vengono riportate fra l’altro le parole di Christa Wolf, in Cassandra. Sono, su quest’ultimo punto, illuminanti:
[…] È possibile sapere quando comincia la guerra, ma quando comincia la vigilia della guerra? Se ci fossero regole, bisognerebbe trasmetterle. Inciderle nella terracotta, nella pietra, tramandarle. Che cosa conterrebbero. Conterrebbero, tra le altre frasi: non fatevi ingannare da quelli dalla vostra parte. […]
Ecco, è che le regole non possono proprio esserci. Dal lungo monologo-dialogo fra la voce narrante, le sue tre consorelle e il Direttore, si deduce soprattutto questo. Non ci sono innocenti, non ci sono luoghi immuni dalla guerra (e dal fallimento, e dall’impotenza). Anche le nostre case occidentali “non smettono mai di venir ripulite e di imbrattarsi di nuovo, polvere, cenere, e zanzare pronte ad attaccare, e le blatte, le zecche e i ragni; e quel perpetuo fallire che, nel migliore dei casi, è solo un fallire un po’ meglio”.
(Meglio di me, comunque, Sbancor)

5 pensieri su “DUE STORIE DI FALLIMENTO

  1. OT
    Venerdì 28 settembre indossiamo una maglia rossa. Chiunque legga questo messaggio lo trasmetta a quante più persone sensibili a questo gravissimo problema gli sarà possibile. GRAZIE DI CUORE
    Qui un articolo di Repubblica
    (il mesaggio precedente mi è scappato di mano in composizione)

  2. Non si può leggere tutto, aimè. Nemmeno ciò che si presume possa piacere molto. “Sappiano le mie parole di sangue”, a gusto mio, mi pare straordinario. L’assenza di sicurezza, il persistente stato di inquietudine e di terrore. A occhio non sarà lettura “leggera”, ma il post di Loredana invita a considerarlo. Quanto prima possibile.

  3. babsi jones è una scrittrice straordinaria. il suo libro è linguisiticamente difficilissimo da leggere, anche se, nelle prime righe, nelle prime parole, ho risentito addirittura la voce di pavese.
    perché i quotidiani importanti non ne parlano? o forse sono io a essermi distratta?
    leggete questa bellissima intervista fatta a babsi da f. mazzucato, nel suo prolifico blog:
    http://scritture.blog.kataweb.it/francescamazzucato/2007/09/13/2145/
    veronica raimo è notevole, ma proprio perché i suoi personaggi sono volutamente schematici (l’anaffettivo, il gay inquieto, la masochista) è un libro molto molto più facile. non solo di Sappiano le mie parole di sangue.
    però meritano entrambi, non c’è dubbio.

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