EMENDAMENTI E DIARI

Quattordici giorni di congedo parentale per i padri a stipendio pieno.  Questo uno degli emendamenti approvati ieri a Strasburgo. Mi sembra importante soffermarsi su questa parte della notizia, perchè, come giustamente dice Daniela Del Boca, economista e responsabile del centro torinese Child, “E´ meglio parlare di congedo parentale, includendo anche gli uomini, piuttosto che di semplice maternità, lasciando tutto sulle spalle delle donne. Allungare il periodo di maternità da solo non serve ad aiutare le donne, né ad incentivare la natalità. Basta guardare l´Italia. Noi abbiamo già venti settimane di congedo parentale ma non per questo siamo meglio inserite nel mondo del lavoro o facciamo più figli. Anzi. Il vero cambiamento sarebbe riuscire a coinvolgere di più i padri. Devono prendersi dei periodi di congedo quando i bambini sono piccoli, come fanno le madri. Solo così riusciremo a far cambiare le mentalità, sia all´interno delle famiglie che nelle aziende. Se anche un uomo si assenta dopo il parto, la donna lavoratice sarà meno discriminata e ricattabile. Le due settimane proposte dall´Europarlamento mi sembrano davvero poche. L´unico dato positivo è quello economico: la retribuzione al 1005”.
Per verificare come funziona altrove, consiglio caldamente la lettura del blog congedo parentale: lo gestisce un papà italiano che vive a Stoccolma, Stefano Dell’Orto. E l’interesse non è soltanto sociologico, come noterete.

29 pensieri su “EMENDAMENTI E DIARI

  1. Condivido in toto. Inoltre trovo fuorviante, applicata, ai padri la frase “congedo parentale” non si potrebbe chiamare paternità? Il congedo parentale infatti viene concesso, e la parola non è scelta a caso, anche a chi deve o vuole occuparsi di un congiunto malato o in difficoltà. Ma paternità e maternità sono un’altra cosa. Chiedo lumi a chi è informato entro quanto la direttiva deve essere recepita e se si applica anche alle aziende private. Come al solito, il “popolo” delle partita iva finte che mascherano lavori subordinati, i precari, chi non ha un contratto stabile (ormai temo la maggioranza) è escluso da qualunque benefit.

  2. Io però penso che 20 settimane siano comunque poche per un semplice motivo: il bambino andrebbe svezzato intorno ai sei mesi, quindi finoa questa età allattamento. Come si fa a tornare a lavorare?
    Poi ovviamente sono convinta che anche il padre debba poter stare a casa per poter cominciare a conoscere il piccolino e per interagire con lui in un legame che non può e non deve essere esclusivamente mamma-figlio.

  3. @ barbara
    finché non si riuscirà a disarmare questa sciocca retorica del cacciatore che, armato solo di partita iva, si getta nella giungla e, determinato come Napoleone, riesce in qualche modo ad asserirsi etc… Retorica interessata e indirizzata alla produzione più che alla serenità, dove qualsiasi tutela è fatta passare come concessione ad una debolezza.

  4. Bello!
    POi c’è er problema due. Quello di mia sorella che quando il marito ha preso non so che permesso di paternità per stare con il pupo neoarrivato, e arrivare più tardi al lavoro, passava ste ore al bagno:)
    Ma indubbiamente se non si comincia da la, non si può sperare in niente di qua:)

  5. Sono stato uno dei primi padri italiani ad andare in “paternità” al posto della mia ex moglie, che aveva impegni inderogabili, con grande sbigottimento dei miei colleghi insegnanti. Di più, a quel tempo, non si poteva. L’importante è che l’Europa (e non la Padania!) emani direttive sempre più evolute*-°

  6. Quello che mi colpisce nel diario del papà italiano all’estero è la serenità, che può sì dipendere da un suo carattere positivo, ma che credo derivi soprattutto dall’essere circondato, ‘sollevato’, da una società in cui non deve superare piccoli fastidiosi ostacoli come (immagino) l’atteggiamento sarcastico dei colleghi, difficoltà burocratiche, mancanza di asili e organizzazioni efficienti, nonché frustrazione e problemi di ruolo… agli italiani viene sempre chiesto di calarsi in una dimensione ‘eroica’ per portare avanti e risolvere i problemi!
    Tra l’altro anche il programma di Iacona enfatizzava il dato di conquistata ‘normalità’ , ovvietà, del congedo ai papà; un fattore che sicuramente contribuisce ad abbassare la soglia di frustrazione e disattiva la nevrotica analisi del problema che ancora si tende a fare qui da noi.

  7. http://www.nytimes.com/2010/06/10/world/europe/10iht-sweden.html?_r=1&ref=the_female_factor
    E’ il link a un articolo sul “parental leave” in Svezia, spiega bene come hanno fatto a farlo funzionare. E perché il papà italiano è sereno.
    Nella serie dell’Herald Tribune – NYTimes dedicata quest’anno alle donne nel mondo – in generale molto interessante – c’è anche un articolo dedicato ai costi del machismo, che riguarda anche l’Italia.
    Concordo con Barbara sul nome italiano, forse sarebbe meglio parlare di “congedo genitoriale”.

  8. Segnalo questo pezzo di Maria Clelia Romano, “Figli in casa, peggio dei padri”: http://www.ingenere.it/articoli/figli-casa-peggio-dei-padri
    Ho scoperto, non senza sconcerto, che le donne fanno resistenza a spartire i compiti di cura dei figli con gli uomini. Da un lato se ne lamentano perché non riescono a conciliare il lavoro retribuito con quello familiare. Ma dall’altro – senza accorgersi dell’incongruenza – considerano la centralità della madre nel lavoro di cura come un dato indiscutibile. Lo conferma una ricerca su questi temi svolta con interviste a 50 donne (Barbara Mapelli, Giovani donne e maternità tempi, servizi e lavoro: la relazione ambigua con i buoni padri [buoni è scritto in corsivo], in E. Ruspini (a cura di), Donne e uomini che cambiano, Milano, Guerini scientifica, 2005, pp. 39-66). Ora, 50 donne non fanno testo… ma se mi guardo intorno capisco che il fenomeno non è circoscritto…un sistema così squilibrato non avrebbe potuto persistere e rigenerarsi senza la multiforme accondiscendenza femminile.

  9. @Simona L. Concordo, ma l’accondiscendenza è fortemente incoraggiata dalla cultura che passa anche attraverso i media, secondo me.

  10. Sir Robin, non ho capito la tua obiezione e lo dico senza polemica alcuna. Stavo solo sostenendo che oggi una grossa fetta di lavoratrici/lavoratori ha dei contratti capestro – indipendentemente dalle mansioni svolte – che non contemplano alcun tipo di congedo. Sia per la mamma sia per il papà. Non sono tutti arrivisti ed evasori fiscali. Molto spesso sono persone che non hanno altra scelta. E tutta questa fascia resta esclusa dai ragionamenti sulle coperture sociali. Un plauso all’Europa per il resto.

  11. Ma infatti Simona, ben vengano le leggi europee ma c’è bisogno sopratutto in Italia di un cambio generale di mentalità da parte di uomini e donne su questi temi.

  12. Quando arrivo’ mia figlia io e mio marito avevamo entrambi lavori impegnativi nell’industria.
    Nel periodo post maternita’ ottenni piu’ risultati (anche testimoniati da brevetti) che in qualsiasi altro momento della vita lavorativa. Ma facevo sei ore per l’allattamento: la mia carriera fu segata lo stesso.
    Quanto a mio marito, dato che al mattino arrivava in orario ( e non prima) in ufficio per portare la bambina all’asilo, e la sera non faceva straordinari per venirmi ad aiutare a casa, fu segnato dalla disapprovazione, guardato come una bestia rara dai colleghi (che lasciavano tutto il carico familiare alle mogli dalle carriere “sacrificabili”) e messo in cima alla lista nera per la successiva ristrutturazione aziendale.
    Da allora, se possibile, con l’avvento del precariato selvaggio e dei finti professionisti con partite IVA le cose sono ancora peggiorate.
    Si’, solo con qualche legge stringente a livello europeo, che coinvolgesse obbligatoriamente i padri, si potrebbe sperare di invertire la tendenza. Ma ce n’e’, da fare…

  13. Concordo con Barbara. Nella mia esperienza (servizi per l’editoria) le partite Iva sono presenti da oltre 10 anni. Lavori come e più degli altri, obbligato a stare in ufficio anche oltre le 8 ore; no tredicesima; no ferie (tanto meno pagate); no malattia; no maternità. Se alzi la testa sei fuori: tanto c’è la fila… Ma forse hai un datore di lavoro buono e comprensivo che ti consente (ogni tanto) di avere l’influenza o di stare a casa un mesetto se partorisci (però il lavoro lo fai lo stesso, che diamine, con la tua attrezzatura e a spese tue). È vero che da qualche parte si deve cominciare, però questi 14 (quattordici!) giorni sono assolutamente ridicoli. Che ci fai? In che cosa sei di aiuto? Finita la “doppia settimana bianca” siamo da capo a dodici. Ipocrisia un tanto al chilo.

  14. Qui in America forse non c’e’ la serenita’ che c’e’ in Svezia con i padri che restano a casa, ma il fenomeno e’ tutt’altro che marginale. Circa il 50-60% delle colleghe di mia moglie – manager in un’azienda americana – hanno mariti che stanno a casa, per prendersi cura del figlio, oppure proprio come scelta di vita. E l’atteggiamento degli altri – almeno in un contesto urbano come quello di Chicago, ma immagino anche in altre citta’ – e’ di assoluta normalita’. Non ci si stupisce (o se ci si stupisce non lo si da’ a vedere).
    Anzi, le colleghe di mia moglie sono sorprese che lei abbia un marito che lavora (mentre trovano del tutto normale che il marito in questione – cioe’ sempre io – sia quello che a casa cucina).

  15. Barbara, quale obiezione? Sono assolutamente in linea con quanto scrivi. Però sono anche convinto che è necessario cambiare il modo di pensare il mondo del lavoro in termini più evoluti e meno, come si diceva poco sopra, eroici. Stupidamente eroici, ma ad essere idiota è la retorica indotta, non la persona che, come giustamente dici tu, non ha scelta. Ma la retorica c’è, e ci agisce. Chiediamoci a chi giova l’abnegazione al lavoro senza tante storie. La partita iva riesce a far ricattare il lavoratore dai propri principi e purtroppo dietro alle leggi ci sono le lobby, non i lavoratori.
    Finché un marchionne qualsiasi potrà permettersi di dire di se stesso quello che dice senza che la sua stessa vergogna non lo porti a temperatura di autocombustione in eurovisione le cose non potranno cambiare davvero.

  16. @Paola Di Giulio
    Grazie del complimento. Credo la mia serenità derivi da entrambe le cose, nonché dal sostegno che mi viene da mia moglie e da entrambe le figlie!

  17. Qui in Spagna agli uomini danno già 14 giorni a stipendio pieno sia per il matrimonio, che per ogni figlio nato (o appena adottato).

  18. @ Sir Robin
    «Chiediamoci a chi giova l’abnegazione al lavoro senza tante storie. La partita iva riesce a far ricattare il lavoratore dai propri principi e purtroppo dietro alle leggi ci sono le lobby, non i lavoratori.»
    Io non ho capito. Me lo rispieghi, per favore?

  19. @simona L. Condivido pienamente il tuo commento. E’ una incongruenza, infatti. E credo che se è necessario che i mariti imparino a condividere, è altrettanto necessario che le mogli imparino a delegare. Personalmente, credo che ci sia un aspetto di ‘controllo’ (non necessariamente consapevole) nel lavoro di cura. E se oggi facciamo ancora fatica a delegare – anche quando potremmo – è per motivi che hanno più a che fare con un esercizio (psicologico) del potere, che non con la cultura che passa attraverso i media (@ilaria).
    .
    ottimo il congedo “genitoriale” (condivido la riformulazione). Soprattutto perché: “Se anche un uomo si assenta dopo il parto, la donna lavoratice sarà meno discriminata e ricattabile.”

  20. Diana, non sono molto d’accordo sul motivo per cui moltissime donne faticano a delegare certi compiti. Si può brontolare, sorridere, ma non credo che di fronte a un uomo che ti stira tutti i panni o lava tutti i piatti e simili (per non parlare dei figli), molte tornerebbero indietro ‘per esercizio psicologico del potere’. Semlicemente qui questi aiuti, regolarmente, li danno proprio in pochi. Altrove lo fanno regolarmente, le donne brontolano e sorridono lo stesso, ma non si sognano di ritirare la delega!
    I media sì hanno grandi responsabilità secondo me. Poi ogni donna, singolarmente e nella propria comunità, grande o piccola, può fare molto.
    Ovviamente, cominciando a influenzare positivamente in questa direzione i bambini… è da piccoli che si impara. Qualche fiaba che insegna a stirare?:-))

  21. hai ragione paola, è innegabile che da una parte ci sia scarsa collaborazione, non intendvo minimizzare questo aspetto. D’altra parte, come nota l’articolo segnalato da Simona L., sembra che le donne abbiano difficoltà a spartire i compiti anche con i figli, e anche quando sono figli adulti. Soprattutto con i figli maschi (cioè i mariti di domani).
    .
    Il tema del potere e del controllo credo che siano importanti. Dicendo questo, però, intendevo sottolineare uno dei temi, non negare gli altri. Per gli altri, un ottimo inizio mi pare questo congedo parentale, come sottolinea l’economista citata nel post di loredana.

  22. Ottima cosa il congedo per il padre: la sua presenza nelle prime settimane dopo il parto è fondamentale. Voglio dire: si danno due settimane di vacanza se uno si sposa, ma niente se diventa padre?
    A margine vorrei farvi notare una cosa: quando il bambino sotto i tre anni si ammala uno dei due genitori può restare a casa a prendersene cura per un massimo di 30 giorni per ogni anno. Nel nostro caso, nonostante il mio compagno sia favorevolissimo ad accudire nostro figlio quando si ammala, e io nel contempo sarei felicissima che se ne occupasse lui e io potessi lavorare, nella realtà finisco sempre per restare io a casa con il bimbo. Questo perché io sono retribuita a stipendio pieno quando mi assento per malattia del figlio, lui (che ha un contratto diverso e lavora in un settore diverso dal mio) non viene pagato.
    Giusto per rimarcare le incredibili incongruenze del nostro sistema assistenziale!

  23. Un commento su come la proposta dell’UE viene visto in Svezia.
    Qui viene visto come un passo avanti (per molti padri europei) e due indietro (per la Svezia e per le donne). Infatti, se viene giudicato positivo che si riservano dei giorni al padre (qui oggi sono 60) il fatto di riservarne molti di più alla mamma rischia di mettere le donne in una posizione difficile. Per molti infatti il datore di lavoro darà per scontato che l’uomo stia a casa 14 giorni e la donna molti di più. La vera rivoluzione (se si vuole lasciare allo Stato decidere chi e quanto stare a casa) si dice sarebbe sei mesi per l’uomo e sei per la donna. A questo punto sarebbe inutile discriminare.

  24. Il blog di Stefano è bellissimo. Non soltanto perché è il diario di un papà in congedo parentale, ma proprio perché il dario di un papà che racconta della sua vita familiare. In Italia abbondiamo di mamme blogger, alcune delle quali superlative, ma l’equivalente maschile latita. Anche questo è un segno della cultura dominante, no?
    Detto questo, l’iter della proposta di direttiva non è scontato: ora dovrà passare dalle forche caudine del Consiglio (cioè degli Stati membri, alcuni dei quali, come Francia e Inghilterra, hanno già espresso la loro contrarietà) e della Commissione, e poi dovrà tornare all’Europarlamento per l’approvazione definitiva.
    Sull’importanza del congedo anche per i padri segnalo l’articolo pubblicato oggi sul Sole-24 Ore: http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2010-10-22/congedo-papa-bene-lavoro-063835.shtml?uuid=AYxajhcC
    Aggiungo che sono ovviamente molto d’accordo con quanto nota Stefano: la vera rivoluzione sarebbe quella di riconoscere sei mesi per l’uomo e sei per la donna, così sarebbe eliminata alla radice ogni possibilità di discriminare le mamme. Che poi era di fatto la proposta della rete spagnola Ppiina: http://www.igualeseintransferibles.org/

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