I SOLITI DATI E UNA DOMANDA

Vale la pena ricordarli: sono i dati forniti da Tullio De Mauro, e ci dicono che cinque italiani su cento fra i 14 e i 65 anni non sanno distinguere una lettera o una cifra dall’altra. Trentotto lo sanno fare, ma riescono solo a leggere con difficoltà una scritta. Trentatre non riescono a leggere un testo scritto che “riguardi fatti collettivi”. Un quotidiano, per esempio. Solo il 20 per cento degli italiani, secondo De Mauro (che a sua volta si riferisce a studi internazionali) possiede gli strumenti minimi indispensabili di lettura e scrittura per orientarsi nella società.
Lo so, ne ho già parlato.
Ma i dati mi tornano in mente quando leggo di  episodi sicuramente minimi ma inquietanti.
Uno, per esempio: perchè il nuovo cd della vincitrice di Amici deve essere presentato in anteprima in una scuola media di Roma?

91 pensieri su “I SOLITI DATI E UNA DOMANDA

  1. Forse dico cose già scritte, non ho avuto il tempo di leggere tutti i commenti, salvo quello di Giulia, e me ne scuso.
    Se ai giovani sai parlare ti ascoltano su tutto. Il punto è trovare la chiave di volta. In generale ti seguono, dicevo, se hai sufficiente carisma e sai trasmettere il tuo entusiasmo, la passione, per la materia. Ma se al risotto aggiungi qualcosa che li riguardi da vicino drizzano le antenne, levano il viso dal quaderno di appunti, lo sguardo si fa intenso. Da quel momento è tutta un’altra grammatica. Se a 18 anni qualcuno che mi stesse spiegando il giambo e l’epodo a un tratto avesse preso a parlare di Ruby Tuesday o di Father Mckenzie io gli avrei dato dell’affetto che non diedi mai, e oggi, insieme ai suoi discorsi su Pindaro o Guinizelli ricorderei di quella volta che ci parlò di Beatles e Roling Stone.
    Invece non accadde mai, mai che la Scuola si ricordasse della mia parte più urgente, mai che si interessasse ai miei gusti leggeri e alle mie domande su come mai Eleonor Rugby era, ed è, tanto sola e sola muore.
    Vedrei l’iniziativa di questa Scuola da questo punto di vista, anche se quelli di Amici sono dei dannati cialtroni. Ma appunto, cosa era Aftermat per i nostri genitori, se non un album di 5 mascalzoni ( o erano 6 , i Rolling Stone? manco me lo ricordo più) da mettere al bando. Una sera andai a studiare da Rodolfo F. Entrai in camera sua, era seduto allo scrittoio. Dovevamo ripassare grammatica greca in vista della maledetta versione del giorno dopo, ma Rodolfo prima di tutto tenne a confidarmi un segreto astrale. “Papà ancora non sa niente – disse sgranando gli occhietti- guarda qua che ho preso”. Tirò a sè il cassetto della scrivania e lentamente, non si sa mai: poteva entrare qualcuno, scoprì l’album di Aftermat, sulla cui copertina, a campo pieno, erano ritratti ‘quei figuri di tanti anni fa’ .
    Allora andammo in salotto – nel 68 il giradischi buono, quello con le casse Akai, era lì, mica in camera tua – e approfittando dell’assenza dell’ing. F. sentimmo tutta sera i Rolling Stone.
    La cosa non influì minimamente sulla versione di Greco del giorno dopo (un brano di non ricordo chi intitolato Le volpi sulle rive dello Scamandro).
    Io presi 7 e Rodolfo 2, ma non perché avesse passato le ore ad ascoltare i Rolling, l’avevo fatto anche io, piuttosto per eccesso di sicurezza. Senza consultare il Rocci tradusse ‘loipas’ come lupi (mentre significa ‘rive’) sicuro che fosse così e non ‘liucoi’. Nel raccontino delle volpi entrarono i lupi, in un pasticcio che a fine compito mi rivelò, quello sì, assolutamente infernale.

  2. @valeria. Concordo su tutto. Sul congiuntivo, poi, ho assistito di recente a una lezione di De Mauro che si dichiarava molto flessibile al riguardo. La lingua cambia, nel tempo – ha detto De Mauro – ed è l’uso che fa testo, alla fine. Tanto vale prendere atto dell’impoverimento da una parte, ma anche dell’arricchimento dall’altra. Perché c’è anche quello, e De Mauro lo segue con interesse nella sua rubrica su Internazionale, per esempio. Del resto, anche sul sito della Crusca, l’uso del congiuntivo in alcuni contesti è considerato ormai quasi facoltativo, e si insiste sull’importanza di poter scegliere i registri, piuttosto che su un unico parametro fisso di lingua pura.
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    @zilberstein. Ti faccio la ola, da quanto sono d’accordo. Un buon esempio sfolgorante, fra tanti, il professor Frank McCourt e le sue lezioni di letteratura inglese in un liceo pubblico newyorkese, che si aprivano con lui che suonava l’armonica e letture libere di ballate tradizionali e poesie. E sì, è vero: se ai giovani sai parlare ti seguono su tutto. Naturalmente nel bene enel male. Ma prendersela con la De Filippi perché la tua lezione sul ditirambo non avvince più come una volta (ammesso che abbia mai avvinto quattordicenni in piena tempesta ormonale), non mi sembra corretto senza prima fare un esame spassionato del proprio modo di insegnare, cioè di trasmettere conoscenza.

  3. Zilberstein: ma certo, certo, certo.
    C’è una differenza, che ribadisco: in questo caso non si è parlato di epica con la complicità della musica italiana.
    In questo caso la casa di produzione di Amici ha scelto una scuola media per PROMUOVERE in prima uscita il disco della cantante. E la scuola ha accettato. Per me la differenza non è secondaria.

  4. In America già da anni alle scuole pubbliche vengono a mancare i fondi necessari e allora via a libri di testi sponsorizzati (con tanto di pubblicità tra le pagine del libro), via a lezioni tenute dalle aziende stesse, via alla televisione a scuola con tanto di pubblicità. Tutto questo è descritto in No LOgo…Ci arriveremo anche noi se non ci diamo una mossa prima.

  5. p.s. una cosa interessante che ho notato durante le lezioni di De Mauro, che si rivolgeva a una platea composta per lo più di giovani neolaureati, è che le posizioni di alcuni dei giovani erano molto più assolutiste e tradizionaliste di quelle dell’ottantenne De Mauro, che invece rassicurava (non muore nessuno se anche il congiuntivo, definito ‘un tempo pesante’, viene gradulamente abbandonato), e mediava i toni apocalittici di certi interventi.
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    Un esempio opposto, quindi, in cui il “barbaro” sembrava essere De Mauro, e i difensori della civiltà i giovani.

  6. (http://archivio.invalsi.it/ri2003/all/pdf/Prima_sintesi_risultati.pdf)
    Lipperini scrive: “sono i dati forniti da Tullio De Mauro, e ci dicono che cinque italiani su cento fra i 14 e i 65 anni non sanno distinguere una lettera o una cifra dall’altra. Trentotto lo sanno fare, ma riescono solo a leggere con difficoltà una scritta.”
    Scusi, ma da dove trae queste deduzioni? Forse da un altro giornalista/linguista che sintetizza al posto suo e interpreta a propria guisa?
    Le consiglio di leggere lo stesso rapporto che cita perché non v’è scritto nulla della radicalità analfabetica di cui lei scrive. Sempre che non si voglia malignamente ipotizzare che lei abbia letto quel rapporto ricadendo al di fuori del fatidico 20%, vero?

  7. Non capisco il livore contro questi dati. Non capisco perché persone attente alla cultura e al mondo si rifiutino di vedere questo paese per come è. Se non lo si guarda è impossibile cambiarlo. La maggioranza degli italiani, anche con laurea, ha difficoltà a comprendere un testo complesso. Considera tale un articolo di giornale o una pagina web – non una pubblicazione specialistica di settore. Ciò significa una fascia della popolazione messa fuori gioco dalla politica (nel senso di questioni inerenti la polis); una popolazione più esposta al sopruso e alla manipolazione. Questo è grave. E i dati di De Mauro dovrebbero diventare un grido collettivo. Suscitare una reazione un po’ diversa dal: ma che dice questo linguista pazzo?

  8. Barbara, vuoi mettere il piacere del nerd nel dimostrare che lui ha più ragione del giornalista e del linguista? vuoi mettere quanto si sente meglio durante il giorno? Ignorali.

  9. Non si sostengono cause giuste con dati sballati. Se si sintetizza che “Trentotto italiani [sanno distinguere una lettera o una cifra dall’altra], ma riescono solo a leggere con difficoltà una scritta” si bara, perché si induce il lettore a pensare che più di un terzo della popolazione tra i 15 e i 65 anni siano a livello di prima elementare e primo quadrimestre.
    Perché esagerare nell’affrescare un problema? Perché poi quando l’occasionale curioso non è ancora così ottuso dal delegare ad altri la consultazione delle fonti, scopre una verità diversa, più sfumata- Preoccupante ma non apocalittica e anacronistica, così come viene presentata dal De Mauro, che non si capisce davvero quali dati abbia interpretato.
    E non ci si fida più completamente né del De Mauro, né di chi lo cita.

  10. @MarcoS.
    Ma lei non è tenuto a decidere se fidarsi dell’uno o dell’altro. Lei è solo invitato a delegare il meno possibile invece di squalificare come nerd ciò che dovrebbe fare lei: leggere il rapporto. Che poi è il rimedio proposto giustamente dalla Lipperini. O forse anche lei soffe degli stessi problemi che De Mauro denuncia e non legge?

  11. Il problema sulla perdita della proprietà di linguaggio è molto ampio, ma si può parlare di abbassamento culturale generalizzato. Un modo costruito nel tempo e fortemente voluto per avere maggiore controllo sulle persone; questo è un fatto. Ma se è successo è perché le persone lo hanno permesso, non essendo responsabili della propria vita, ma affidandosi ad altri perché decidano per loro. La gente nemmeno s’è accorta di quello che è avvenuto perché è stato un processo lento, un passo alla volta. Si è partito dalla tv, poi ai giornali, alla scuola e ai libri: tutto per non dare spunti di riflessione alle persone, per abbassare il livello di conoscenza e portare alla povertà di contenuti.
    La televisione, i media sono divenuti Vangelo per le masse, ci si appoggia completamente a loro; un male, visto chi li controlla e dove vuole andare a parare.
    Purtroppo è da sempre così. Basta pensare alla religione cristiana, per fare un esempio: quanti hanno davvero letto il Vangelo e quanti si sono affidati alla guida di altri, senza fare nulla di persona per comprendere il testo?
    E’ così che si protraggono certi sistemi.

  12. @MarcoS.
    Libero di seguire i suoi (petitio) principii. Farà compagnia, seppur in misura anonima, a quel Cesare Cremonini che si rifiutò di guardare nel cannocchiale galileiano perchè poi avrebbe addirittura potuto scoprire che si sbagliava.

  13. @hommequirit – se ho capito bene, non contesti i dati della ricerca ma le conclusioni, sia quelle dei giornalisti, sia quelle dello stesso De Mauro riportate dai giornalisti. Ma come interpreteresti, tu, quei dati, al di là dei giudizi su certe sintesi? Lo chiedo senza polemica, magari puoi scendere più in dettaglio con esempi concreti. Mi interessa, perché anch’io, come tanti, ho difficoltà a interpretare i dati delle statistiche.

  14. @Diana
    Certo che non contesto i dati della ricerca, sebbene glissi volentieri sulle definizioni dei livelli di competenze, parametri che mescolano lettura e inferenza, quindi riconoscimento semantico e logica. Semplicemente non è scritto da nessuna parte quel che è riportato da De Mauro nelle sue affermazioni più eclatanti, non a caso riprese dovunque nella formula citata anche da Loredana Lipperini.
    Basta leggere la fonte originaria, che ti consiglio, e i tanti dati del sito usato come riferimento da De Mauro nel suo articolo su Internazione. http://archivio.invalsi.it/ri2003/all/pd…).
    Visto che me lo hai chiesto ti do la mia modesta interpretazione Due punti:
    1) Se si sceglie di prendere in considerazione soggetti fino a 65 anni di età allora si includono scolari nati durante la Seconda guerra mondiale e alfabetizzati nel primo dopo guerra. È chiaro come questa scelta comporti una sacca di semi-analfabetismo atavico che pesa sulla statistica, sopratutto per un Paese comel’Italia che era molto arretrato rispetto ai cugini europei.
    2) Gli italiani non sono analfabeti in senso letterale e nemmeno in senso letterario, con sostengono buona pace degli umanisti che citano il roboante dato di De Mauro come cosa loro, associando sovente l’argomento alla scarsa lettura e acqusito di libri da parte italiota (come se leggere la Pilcher fosse molto diverso dal comprarsi un paio di scarpe).
    Gli italiani emergono come semi analfabeti della matematica e della scienza in generale, risultando incapaci di operazioni logiche anche elementari. E qui gli umanisti sono chiamati in causa, perché se prendono svarioni nella lettura delle percentuali ha probabilmente ragione De Mauro. De te fabula narratur.

  15. Altro da dire:
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    Una volta alla settimana, su un canale tv, va in onda il GF. Spengiamo la tv.
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    Ogni domenica, mercoledì e sabato c’è una guerra in città, con morti, feriti, incendi, la polizia concentrata in un’unica zona della città per una intera giornata, fiumi di soldi spesi, cattivo esempio amplificato da tutti i canali tv. Spengiamo il calcio.

  16. Altro da dire:
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    in quasi tutti i talk show politici – Annozero, Ballarò, Paragone (non ricordo il titolo del suo programma), Exit, ecc. – quasi tutti gli ospiti (politici, giornalisti, commentatori, conduttori) offrono uno spettacolo mostruoso (urla, insulti, menzogna, narcisismo, sciatteria, meschinità, violenza). Spengiamo i talk show di questo tipo, non premiamoli. Sono un pessimo esempio per i giovani.

  17. Fino a quando ho frequentato l’università non avevo nemmeno idea di che cosa ci fosse in giro. Non che conosca tutta gente laureata (non sempre gli studi sono indicativi di una certa intelligenza) però stavo sempre bene o male con lo stesso tipo di gente. Adesso che per motivi di lavoro mi sono scontrata anche con altre persone, sono rimasta scioccata. I dati citati in questo post, ahimè, non mi stupiscono più. Per niente.

  18. Salve a tutti.
    Ritorno dopo un poco di assenza dalla rete.
    Credo che i dati anche se fossero da ridimensionare siano allarmanti comunque.
    Credo che esista un vuoto abissale, civico ed istituzionale.
    Si chiede ai media e alle società discografiche di essere di qualità quando queste non vogliono che vendere.
    E’ la società civile con le sue istituzioni che deve contrastare e bilanciare la tendenza delle compagnie di intrattenimento, moda, industria ecc. nel loro tentativo di fare soldi indiscriminatamente.
    Il problema è che la comprensione del ceto medio e dei suoi titolari rispetto al presente, al mondo dei media e del commercio è indietro di almeno 25 anni sul presente e quindi mentre ci si interroga sulla qualità della musica e ci si palleggia tra de andrè e la cantante di ‘amici’, i nostri ragazzini vengono colpiti in pieno da una campagna di marketing che è scorretta anche se si presentasse comunque l’Aida o l’ultima antologia di Pasolini. Perché si tratterebbe comunque di marketing ad un pubblico indifeso e minorenne.
    Il grande fratello è un tv show-rito collettivo, prodotto di una tipologia di tv che esiste nel mondo da almeno trenta anni, è già storia. Il presente è già oltre e noi ancora non ci capiamo una mazza.
    Questo crea spaccature e isole nella società tra si nutre di televisione e chi aborre la cultura di massa e senza accorgersi sono è più di massa degli altri, solo occupa un’altra casella negli schedari degli agenti di marketing delle multinazionali.
    Il mercato non ha la necessità di educare ma di vendere e sono le istituzioni che devono sostenere e proteggere la società civile.
    Chi condanna la televisione e i suoi programmi, chi condanna il nostro presente e la sera si legge proust a lume di candela, senza cercare una sintesi ma alzando barricate, se pur nobili, contro la marea che avanza è altrettanto scollegato come chi campa di maria de filippi e reality show.
    Siamo frammentati, in gruppetti spesso non in grado di comprendere e comunicare tra loro.
    Finché non ci rendiamo noi stessi sintesi e non formiamo una base comune di essere persone come gli altri, regalando un libro o facendosi invitare dagli amici a guardare il reality di turno, creando dei ponti tra micro culture, non potremo essere cittadini capaci di comprendere e risolvere alcunché.
    D.
    Bentrovati.

  19. @sono d’accordo con te, Daniele, era questo il senso dei miei interventi. Sono, forse, ancora più radicale. Penso che vada rispettata la libertà di scelta, e che non ho bisogno di essere difesa o protetta dalle istituzioni. Personalmente, non ho simpatia per il paternalismo in tutte le sue forme.
    .
    Ho guardato le prime due edizioni del GF con le mie nipoti, commentando i personaggi e le dinamiche. Ridendone, anche, insieme. Siamo uscite indenni da questa esperienza. Se poi ci sono contesti in cui certi programmi (o certe sostanze o qualsiasi altra cosa) hanno un impatto diverso, credo che si dovrebbe intervenire sul contesto, non con la censura del programma o il giudizio su chi lo guarda. Certamente, se vogliamo scendere sul piano del giudizio psico-socio-pedagogico, tra GF e un talkshow politico mi sembra più diseducativo il secondo.

  20. Dati o non dati, quello che impoverisce lo spirito non è mai una partecipazione o un’astensione da un media, ma l’adozione esclusiva di una sintassi rudimentale. Un conto è aprirsi un profilo su facebook a trent’anni e accettare per gioco di esprimersi a ke ed emoticons, dopo avere imparato altrove a leggere Dante e a scrivere un curriculum, un conto è esordire in ambito comunicativo con quello e mantenere quello come punto di riferimento. Ma saniddio è possibile che non si veda la differenza?
    In secondo luogo, la sintassi non è solo un’opzione comunicativa, ma è l’ordine del discorso, cioè la realtà del Potere di porre e disporre nominando o occultando e soprattutto connettendo o disconnettendo. Assumere in modo esclusivo una sintassi impoverita è obbedire esclusivamente a quella declinazione di realtà.
    A Marotta vorrei ricordare che la civiltà occidentale l’hanno salvata i monaci che copiavano manoscritti in silenzio, non gente che berciava per strada. Se il discorso pubblico è egemonizzato da una sintassi alienante, la prima cosa è sottrarvisi.

  21. @ Diana.
    sono d’accordo ma non parlo di paternalismo ma di un attività precisa di educazione e creazione di valore sociale.
    Stiamo scoprendo a nostre spese che una nazione, un popolo non sono dati ad un certo livello di sapere e sentire ma vanno alimentati con una flusso continuo di contenuti identitari e valoriali al di fuori del mercato e il cui compito è specificatamente istituzionale.
    Bastano cento anni per far piazza pulita dell’umanità e avere una bella tabula rasa di memoria e valori di prima mano.
    @ Binaghi
    La civiltà occidentale non credo sia stata salvata. Si copiavano manoscritti e si decapitavano centinaia di barbari per far convertire i loro popoli (Vedi carlo magno).
    E poi salvare da cosa?
    Binaghi si legga la storia del cammello che passa per la cruna dell’ago per capire che i monaci hanno fatto un po’ come potevano, bontà loro.
    kamìlos ‘grossa fune’ è stata tradotta dal monaco con kamèlos cammello, rendendo il modo di dire evangelico squisitamente surreale.
    In ogni caso.
    Le generazione si adattano al loro tempo e trattengono le nozioni e le informazioni più utili a vivere nel proprio ambiente, scartando le cose non utili all’adattamento.
    Magari la realtà vera è diversa da quello che vorremmo o che immaginiamo?
    Dopotutto abbiamo un presente in cui non conoscere garibaldi, leopardi o michelangelo è assolutamente indifferente.
    Se sbagli un congiuntivo nessuno se ne accorge. (Anzi la lingua evolve in direzione dell’inglese semplificando le specificazioni linguistiche).
    Mi chiedo,è possibile che il presente non richieda, di fatto, come strategia di vivere comune, un grado di alfabetizzazione medio alto?
    Chi ha successo, stabilità e sicurezza, oggi in Italia, di quali contenuti necessita?
    Se non prendiamo in considerazione le cose concrete è inutile indignarsi.
    Penso all’episodio del film con Alberto Sordi del Dentone al provino/esame per diventare lettore del telegiornale.
    Oggi nemmeno per andare sulla luna ci sono esami così duri.
    Se oggettivamente la cultura generale e grammaticale non servono all’economia concreta e sociale di un individuo, coltivarla resta un hobby o una fortuna ereditaria e familiare.
    D.

  22. Un gigantesco e generale blob mediatico in cui tutto si confonde e si fonde in chiacchiericcio,e a cui tutti partecipano come attori,anche quelli che credon d’esserne fuori.Todos caballeros!

  23. @Marotta
    Come immaginavo, la tua finisce coll’essere una divinizzazione dell’esistente. Lo spirito del tempo ha sempre una necessità, ergo ogni critica è nostalgia o delirio, entrambi inutili.
    I danni di un progressismo avvitato su se stesso.

  24. No no. Ferma tutto.
    Tutto utile se lo scopo è creare valore.
    Critica, contatto nostalgia e delirio, ma anche di più, rivoluzione e rifondazione.
    Ma sempre nella sintesi e nella comprensione.
    Non blob ma brodo.
    Perché se non leggi il presente, se non ci affondi le mani, hai voglia a criticare e a delirare ma si finisce sempre con lo scivolare sulla calotta del pregiudizio e dell’ignoranza che ci mette sul livello di chi celebra l’ampolla del po, o di chi si commuove con biutiful e prende l’autobus in pellegrinaggio da una santa mediatica come la povera Sarah Scazzi.
    Ignoranza e pregiudizio.
    Come sempre voglio sostenere che il pop è storia, è accademia, è roba di cinquanta anni fa.
    Wharol vaticinava il nostro presente già quaranta anni fa.
    Oggi i luoghi di culto sono i supermercati, il tabù è andare alla Pam con la borsa di tela della Coop e viceversa..
    O noi assimiliamo il presente e accettiamo che una boiata condivisa da milioni di persone non è più una boiata, ma un qualcosa che ha forza, che segna il tempo e va preso seriamente in considerazione, oppure continueremo a stare sul fico a borbottare senza sapere cosa accade davvero e ancora più grave, senza potere sul presente.
    D:

  25. perché divinizzazione? Io credo di aver capito che Marotta dice che perdiamo qualcosa ma anche guadagniamo qualcosa, altrimenti non sopravviveremmo in una società così complessa. E’ una semplice presa d’atto che indietro non si torna. E che c’è molto di buono e utile da coltivare e sperabilmente migliorare. Questo non significa divinizzare il passato, ma puntare – se mai – sulle potenzialità del presente. Almeno per come la vedo io.
    .
    personalmente, quando vedevo mia nipote quattordicenne spendere interi pomeriggi (disperati!) sulle versioni di greco, pensavo che davvero, quel tempo lo avrebbe impiegato meglio facendo e studiando altro, e in un altro modo.

  26. @daniele e diana
    Per come la vedo io, il vero problema è una visione bidimensionale del tempo, come una linea dove si può solo andare avanti, sostare o tornare indietro. In realtà quella linea potrebbe essere un circolo.
    Meglio ancora, ogni punto l’intersezione con un’altra linea.
    Ma verrebbe fuori un discorsone, lasciamo perdere.
    Vado a cena con un gruppo di amici adesso, mi hanno chiesto di portare la chitarra. Non la porto perchè so che a un certo punto vien fuori “La locomotiva” di Guccini. Neanche a me piacciono le nostalgie d’antan.

  27. esatto,
    dico che parliamo ma non sappiamo cosa sta succedendo in giro,
    vorrei che la parte di popolazione che non sa più leggere si mischiasse con quella che sa iper-leggere e che non possiamo aspettare che la televisione e il mercato si estinguano perché non succederà.
    Anzi dico che la televisione è la nostra mamma e il mercato è il nostro papà.
    che siamo in questo tempo e ci dobbiamo fare i conti.
    che quello che non si conosce o condivide non è per forza peggiore di quello che si ama.
    bisogna conoscere il presente, viverlo e capirlo se no non ci possiamo mettere le mani per cambiarlo.
    e in ultima istanza sostengo che illudersi stare fuori dalla cultura pop e dal consumismo è una fuga da una parte di sé.
    Secondo me il grande fratello è Brecht, è teatro dell’assurdo, ma una forma di teatro mutante dove approdano soggetti che erano già scritti e artefatti già da casa. Un mutante, in parte persona vera e in parte personaggio, con copioni scritti da sé per recitare una parte televisiva e con quella sfondare,.
    Tutti siamo, alla fin fine, performer navigati, maschere che hanno ucciso l’attore, non sappiamo la sintassi ma siamo esperti della grammatica dell’apparire, poeti del protagonismo e del nascondere la realtà di sé, dal presidente del consiglio all’ultimo provinante del grande fratello.
    I personaggi di alberto sordi sono vivi e abitano le nostre giornate, in politica e alla tele.
    Dove è la persona e dove il personaggio?
    Questo è il nostro presente,
    cosa è autentico e cosa prodotto artificiale?
    gli adolescenti copiano gli adulti o è il contrario?
    Se non entriamo in questa dimensione assurda e se non ci sforziamo a capire dall’interno senza difenderci, perdiamo la presa sul presente e arriveremo sempre in ritardo sulla realtà. The show must go on.
    D.

  28. @marotta
    “Dov’è la persona e dov’è il personaggio?”
    Al di là di ogni dotta analisi,tutto si riduce a questa domanda.
    O meglio,a chi sa dare una risposta.
    Si può solo notare che maschere e abiti di scena appartengono a molti guardaroba.

  29. @Diana
    Hurt (nella versione di Cash) la faccio nel mio ultimo reading. E Mercy seat, e One, e Solitary man.
    La versione di Cash è un po’ come la versione di Barney.
    Ma è proprio questo il punto.
    Voce e chitarra nude, per guadare il millennio.
    Cash insegna: la soluzione è spoliazione, andare all’essenziale.
    Anche un buon editing è fatto così: asciugare un testo, togliere il superfluo, le strizzatine d’occhio.
    Vorrei dire, anche a Daniele, quello che non va nella cultura di massa non è che è semplice (e il mio non è snobismo), è che è carica d’inutile, di puramente ornamentale. Se togli il superfluo resta il vuoto.

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