ESCHE

Se siete a Roma, fate un salto al convegno di questo pomeriggio sulla ricerca “La donna usata nella pubblicità televisiva”. Già che ci sono, vi anticipo qui un frammento della prefazione di Adriano Zanacchi. alla ricerca che sarà presentata oggi, condotta da Paola Panarese.
In sintesi: la ricerca ha consentito di accertare che la pubblicità televisiva replica, in larga misura, i trend di raffigurazione dei generi tipici della pubblicità sulla stampa e riproduce gli stessi “vizi“ registrati da vecchie analisi come quella di Goffman, «contribuendo a diffondere immagini di donne pubblicitarie ipersemplificate e stereotipiche». Il che, riferito alla platea dell’ascolto televisivo, assume una rilevanza del tutto particolare in ordine alle sue possibili conseguenze.
In particolare è emerso che «gli spot sono popolati più da donne che da uomini, sebbene lo scarto sia di soli 4 punti percentuali. È decisamente interessante il fatto che le figure femminili prevalgano tra i personaggi protagonisti e tra quelli rilevanti, mentre gli uomini tra i secondari o di sfondo (…). Le donne, poi, sono molto più numerose tra i primi personaggi in ordine di apparizione, quelli che hanno la funzione di introdurre e contestualizzare la narrazione pubblicitaria». Inoltre le “signore della pubblicità“ «non hanno tanto un ruolo privilegiato rispetto agli uomini, quanto piuttosto una funzione di valorizzazione di alcune tipologie di prodotti (per l’igiene della persona, della casa, l’arredamento, il cibo, ecc.) di cui sono considerate consumatrici o responsabili dell’acquisto. Spesso hanno una funzione di accompagnamento delle immagini, quasi a voler decorare il contesto, soprattutto quando la loro presenza è associata a prodotti indirizzati a target maschili, come le automobili o l’elettronica di consumo. In ogni caso, il fatto che siano più spesso presenti e protagoniste degli spot va letto insieme al dato che le vede comunque guidate, in molte circostanze, da voci off maschili».
Colpisce inoltre la constatazione che, «se è vero che le donne sono più numerose tra i testimonial di vari prodotti, è altrettanto vero che lo sono anche tra i personaggi comuni, ma non lo sono affatto tra gli autorevoli. Meno del 15% del gruppo di dentisti, medici o ricercatori che compaiono in tv con una funzione di garanti della qualità di un prodotto è composto da donne. Ciò sembra dimostrare che i personaggi femminili in pubblicità possono essere comuni consumatrici o testimonial selezionate per bellezza, ma non professionisti esperti e competenti».
I personaggi femminili della pubblicità sono tendenzialmente più giovani di quelli maschili. E ciò, se appare in contrasto con l’asserita necessità di rappresentare fedelmente i target di riferimento, denota chiaramente il ricorso alla figura femminile in ragione della sua bellezza ancorata all’età giovanile, quindi della sua avvenenza come fattore di richiamo e non certo di informazione e di aiuto alla razionalizzazione degli acquisti e dei consumi.
Tra i risultati della ricerca emerge anche la constatazione che le donne pubblicitarie continuano ad avere, come era emerso dalle ricerche degli anni Settanta, «un ruolo ancillare rispetto all’uomo e una funzione prevalente di esche comunicative». E quando non sono rappresentate in contesti domestici e nel ruolo di mamme/mogli/casalinghe e “consumatrici medie“, sono usate negli spot come testimonial famose e provocanti, mostrate anche “a pezzi“, enfatizzate nei dettagli del loro corpo.
Gli spot che presentano un maggiore tasso di volgarità sono quelli che maggiormente suscitano reazioni più che giustificate. Ma non devono distogliere l’attenzione dalla rappresentazione complessiva della donna, dalla sua riduzione stereotipata che finisce per proporre una strisciante proposta della figura femminile a una o, tutt’al più, a due dimensioni. Sempre una riduzione, comunque, quindi una deformazione, una svalutazione della sua figura complessiva, della sua dignità”.

26 pensieri su “ESCHE

  1. Dati interessanti davvero – tornano a pensarci ma io di questi gap non sapevo in effetti. Lo potevo però immaginare. Alcune osservazioni.
    1.Interpreterei alcuni dati con ulteriori considerazioni, che afferiscono alla strutturazione dei valori di fondo e ai processi di identificazione del target di riferimento. La giovinezza è un valore sociale – poi se non ci piace è altra questione – e le donne non si identificano per somiglianza totale ma per somiglianze parziali. Deve essere come me ma un pocherello meglio giammai un pocherello peggio. Il valore sociale del maschio è la maturità.
    Non sono neanche convinta che in pubblicità le femmine mezze nude ritratte accanto al prodotto – siano a scopo unicamente decorativo. La decorazione tout court non ha semantica, e questo da una parte è semplicemente impossibile dall’altra è un poco troppo poco remunerativo. Thorstein Veblen insegnava che l’abito delle donne era il segno dello status sociale di chi le sceglieva, i loro cappelli alle feste degli occidentali equivalevano al numero di piume sulla testa di un capo tribù delle indie occidentali. La donna ritratta qualifica un target e lo fa perchè è posta implicitamente come suggerimento riguardo al prodotto. “Consumami” dice – e “consumalo”. Non è una cosa carina.
    2. Tuttavia di questo parliamo sempre. Il problema a monte però è nel rapporto tra etica e marketing tra comunicazione progressista e meccanismi psicologici che per loro natura tendono a essere reazionari in un paese di per se reazionario. Quello su cui ci si scontra nonostante l’ipocrisia di molti pubblicitari quando partecipano a questi dibattiti è nella eventuale mancata convenienza di una pubblicità etica.

  2. Sul fatto che rapprensentazione della donna nella pubblicita’ sia “falsata” e stereotipata posso concordare, mi domando quando si porra’ il problema del fatto che e’ esattamente vero per gli uomini….

  3. Simone, non so se sei un lettore di questo blog, in cui la questione è già stata ampiamente affrontata.
    Nel caso fossi un nuovo arrivato provo a dire un paio di cose sulla tua riflessione.
    I modelli maschili rappresentati nella pubblicità sono decisamente più variegati di quelli femminili, costretti in due-tre cliché ricorrenti.
    Ma non è solo un problema quantitativo, anzi, è soprattutto di qualità.
    Infatti gli uomini sono spesso rappresentati come soggetti attivi, pensanti (a meno che non si tratti di pubblicità che reclamizzano prodotti per le pulizie domestiche; allora vengono dipinti come degli incapaci…ma più che altro, il messaggio che passa è che in fondo le donne sono “portate” a rassettare, e gli uomini a dedicarsi ad altro), di successo, liberi e intraprendenti.
    Per carità, sempre di stereotipi si tratta, ma il danno che producono a livello dell’immaginario collettivo, con ovvie ricadute sociali, non è paragonabile a quello che avviene per le donne: casalinghe, madri, oggetti (in quanto assumono ruoli passivi) sessuali.
    Ecco perché le indagini e gli studi prendono soprattutto in esame questi ultimi.
    Per non parlare delle pubblicità destinate alle bambine; ritratte di solito in luoghi chiusi, alle prese con elettrodomestici in miniatura, passeggini e biberon, ipersessualizzate, e funzionali all’accudimento.
    I bambini? Sognatori in spazi aperti, pronti all’avventura e alla scoperta, proiettati verso la costruzione del proprio io. Purtroppo, al contrario degli spot per bambine, in cui ogni parvenza di sana aggressività viene repressa in favore della docilità, gli spot per bambini stimolano eccessivamente questo aspetto (battaglie, guerre, spari, sopraffazione, combattimenti), comprimendo invece la sfera emotiva.
    Se t’ interessa l’argomento della pubblicità e degli stereotipi al maschile, la semiologa Giovanna Cosenza sul suo blog invita a segnalarli e a discuterne; finora ne sono emersi pochi. Sia perché effettivamente non sono numericamente rilevanti, sia perché gli uomini stessi non sembrano porsi il problema o accusarne il disagio.

  4. Pubblicitari e pubblicità hanno ampiamente rotto il bip; imparassero a descrivere i prodotti invece di proporre storielle stucchevoli di corredo… Perché se vogliamo parlare di etica ed evoluzione della società imho questo s’ha da fare, e in maniera radicale appunto. Certo è fin che c’ingegniamo per trovare storielle più accettabili in luogo di quelle supposte (lol) sessiste o volgari… Come se lo spottino educato stile vecchio Carosello fosse essenziale per l’umano del XXI secolo. Possibile? Lo chiedo agli esperti tipo Giovanna Cosenza e altri/e.

  5. Visto il ricarico sul prezzo del prodotto che la pubblicità implica, l’economia che dovremmo pretendere è quella in cui la pubblicità non si fa più.
    Tutto ai prezzi del discount e affanculo i pubblicitari.

  6. @ Elisabetta:
    Ma dove avrei detto che l´effetto della stereotipizzazione e’ lo stesso per le donne e per gli uomini?
    Gli stereotipi maschili “non sono numericamente rilevanti”? Permettimi di dubitare: quanti spot rappresentano la paternita’, per esempio, in modo anche vagamente rispondente alla realta’ sociale?

  7. @Simone, non l’hai detto esplicitamente infatti; ma il tuo post, che non analizza minimamente il tema proposto da Lipperini, e invece cerca di spostare l’attenzione sugli stereotipi maschili (di cui comunque io ho parlato rilevandone le ripercussioni, soprattutto per quel che riguarda i bambini, nella mia prima risposta) sottintendendo che si trovino sul medesimo piano di quelli femminili, l’ha comunque fatto pensare. Almeno a me.
    Il tuo secondo post ribatte sullo stesso tasto off topic, poiché si stava parlando, o si voleva parlare, della “donna usata nella pubblicità” e della prefazione alla ricerca che presenta dati interessanti che tu sembri non voler prendere in considerazione.
    Comunque, lo stereotipo prevalente del papà che si limita a giocare con i piccoli, accompagnarli a scuola (nel migliore dei casi) o aiutarli a fare i compiti ha l’effetto deleterio di consolidare un ruolo marginale nella genitorialità, ma fortunatamente non impedisce agli uomini che sentono la necessità di essere molto di più per i propri figli ad esserlo.
    Contrariamente, lo stereotipo della mamma che deve esclusivamente accudire, nutrire, e provvedere alle necessità pratiche di tutta la famiglia, e rimarcando la positività di tale impostazione (se lo fai sei una brava mamma, altrimenti no), induce sensi di colpa e rafforza il pensiero che la donna debba rivestire principalmente un ruolo di cura ed accudimento.

  8. Cultura reazionaria o simbologie antiche? La donna è fascino, affettività, e lo è per fattori intrinseci al suo essere donna, cioè madre, cioè colei nel cui ventre si viene al mondo. Di qui, saranno tante le conseguenze psicologiche, e non solo culturali, che la portano a essere messa al centro di queste dinamiche che coinvolgono psicologia, educazione e cultura di tutta l’umanità di tutti i tempi.
    L’inconscio e il subconscio sono “reazionari”, cioè neri, oscuri, per antonomasia. Non credo esista una differenza tra paese e paese.
    Mi pare che queste analisi andrebbero affrontate un po’più “scientificamente” e con meno “presupposizioni”.

  9. L’inconscio e’ reazionario? Perche’ adesso la psicanalisi e’ una scienza dura, con enunciati predittivi e falsificabili? Non mi risulta.

  10. @ Elisabetta: evidentemente io devo parlare una lingua sconosciuta.
    Il fatto che la pubblicita veicoli una immagine stereotipa della donna con le ripercussioni che tu giustamente ricodi (che io non ho mai negato) non implica il fatto che nella stessa pubblicita’ veicoli una altrettanto steoreotipata figura maschile che lo stesso effetto deleterio sia sui bambini che sulle bambine. Ora se a te interessa solo la rappresentazione delle donne e il loro effetto sulle bambine liberissima, ma si da’ il caso che il mondo sia fatto sia di uomini che di donne.

  11. A proposito di stereotipi di genere, condizionanti anche bambine e bambini, ce ne sono stati diversi su questo blog, con tanto di commenti, e di uomini e di donne. Oggi era stato proposto un argomento ben preciso, ma vedo che non ci si vuole concentrare sul problema, proponendone un altro (di cui tra l’altro Simone, che sembra avere tanto da dire, non ha detto nulla, a dispetto di me).
    Io ho molti interessi, ma ho letto il titolo e il contenuto di questo post e a quelli mi sono attenuta.
    L’intervento di Gino, dopo tutto il lavoro di riflessione collettiva svolto in questo luogo, è al limite del flaming.

  12. Poi c’è la possibilità che il prodotto venduto e l’immagine pubblicitaria appartengono allo stesso “frame”. Quindi sarebbe impossibile chiedere una ridefinizione del messaggio, un’altra sceneggiatura. Per esempio un prodotto associato alla seduzione sessuale (tipo un profumo, che è diverso da un deodorante per ambienti) esige un seduttore e un seducibile.
    Insomma, l’aspetto “feticistico” di una merce richiede un simbolismo obbligato.

  13. @ Elisabetta:
    interessante il fatto che il commento e´pertinente solo se e´di suo gusto. Mi spiace ma non funziona cosi il mondo: se non le piace o non lo trova pertinente non lo legga. Ora il punto che volevo sostenere quando si passa un’immagine stereotipata di un genere si influenzano sia i bambinI che le bambinE: quindi occuparsi solo dell’ effetto sulle bambinE e’ oltremodo ingiusto, ma certo a lei puo´interessare solo quello che accede alle bambinE, ma il problema e´che quelle bambinE diventeranno donne che dovranno interagire con quei bambinI che saranno diventati uomini. Inoltre molto spesso lo stereotipo di un genere implica in maniera piu o m meno implicita lo stereotipo opposto sull´altro: se vedo sempre le donne fare le pulizie di casa questo implica sia che si creda che sia compito delle donne farle ma anche che non sia consono per un uomo farlo.

  14. Devo dire che sotto un post che si chiama “Esche”, i commenti off topic sono particolarmente azzeccati. Una domanda: perché chi si preoccupa tanto di analoghi problemi per il genere maschile non si fa un bel blog e ne parla? Non vedo link pertinenti nei nomi e nei commenti; forse non c’è abbastanza spazio, nel web? Perché questi difensori della parità degli affari propri lasciano commenti qui invece di scrivere nei loro spazi dotti e documentati post? Invece vengono qui a far vedere la loro scontata tecnica retorica buona solo a rivoltare le frittate. Complimenti.
    P.S. Mi scuso in anticipo con i difensori dei diritti di parità sociale delle frittate.

  15. @Lorenzo Gasparri
    Interessante la sua argomentazione. Lei sta dicendo che questo è uno spazio motivazionale, alla stessa stregua dell’anonima alcolisti, e perciò chiunque si opponga alla narrazione che lo connòta non sarà che uno sgradevole importuno. Spazio motivazionale in cui la critica (che è sempre mettere in crisi, altrimenti che critica è?) è fastidiosa perché rischia di demotivare le truppe cammellate. Il problema è che esistono prima i fatti e le interpretazioni di questi fatti. Perciò ogni narrazione non è arbitraria bensì ha un vincolo con la fattualità. Il numero di sciocchezze che vengono scritte in questo blog è decismanete superiore alla media e questo perché l’opera di selezione, attraverso l’uso della smodata moderazione da parte di Loredana Lipperini e che finisce per distillare i più allineati integralisti alla sua tesi se confrontati con la varietà delle opinioni pertinenti.

  16. Simone. Allora, invece di giocare al “disturbo il manovratore perché fa figo”, faccia una cosa. Gliela sto chiedendo molto seriamente. Cominci. Io sto chiedendo da anni che un uomo si occupi di stereotipi di genere maschile. Fin qui si sono sottratti tutti. Se lei è interessato, io sono felice di offrirle uno spazio fisso sul blog dedicato al “Dalla parte dei bambini”.

  17. Ma perche’ mai deve essere un uomo ad occuparsi di stereotipi maschili? Ma non sarebbe il caso che il femminismo si rendesse conto che essere donna non impedisce di dire qualcosa di sensato sugli uomini?

  18. Si parla di pubblicità, che con la psiche deve farci fa i conti. Quindi, scienza molle o dura che sia, la psicanalisi è lo strumento che viene utilizzato. E ha delle risposte.

  19. Loredana, la richiesta è apprezzabile, anche se dei “meccanismi” con cui è cresciuto l’uomo italiano andrebbe chiesto conto anche alle mamme italiane.
    Comunque:
    1) Cultura del fare produttivo e non del raccontare (esattamente il contrario delle ragazze, molto più disponibili a prendere coscienza dei propri sentimenti)
    2) Agonismo. Il primo vince, il secondo è comunque un perdente
    3) Sopportare il dolore e la frustrazione (lamentarsi e recriminare è da “femminucce”)
    4) Materialismo crasso e pragmatismo (la fantasia e la religione son roba da donne)
    5) Spazi pubblici e politici son cose da uomini (le femmine sono per l’intimità)
    6) Prima il dovere e poi il piacere (magari debordando nel secondo causa le frustrazioni accumulate nel primo)
    7) Detestata ma obbediente emulazione del padre, ricorso all’onniprovvida poppa materna per la consolazione compensatoria.
    Indsomma, l’anticamera della dissociazione.
    Questo per la nostra (della mia generazione) infanzia. Ma poi noi negli anni settanta queste cose le abbiamo buttate a mare. Oggi mi pare che le famiglie italiane priducano maschi piuttosto diversi. Che dici?

  20. “solo un uomo può ragionare sui meccanismi in cui è cresciuto, direi”
    glielo ricordero’ quando giudichera’ qualche comportamento maschile che non la aggrada. Saro’ un povero scientista ma ancora penso che possa esiste un sapere intersoggettivo che prescinde dal genere.

  21. @simone se il problema è la proprietaria del blog scrivigli in privato che a noi lettori non ce ne frega niente. Oppure accetta la proposta di scrivere sul tema, sarebbe più stimolante per tutti.

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