LE PAROLE PER DIRLO

Sabato ero a Napoli, a un incontro organizzato dall’Associazione Pulitzer su Donne e media: particolarmente bello e particolarmente vivo.
E significativo. Per l’assenza della più volte annunciata assessora alle Pari Opportunità del Comune di Napoli. Per lo sbrigativo saluto della rappresentante Assostampa che ha detto, in sostanza, che nel mondo dell’informazione regna sovrana la triade sesso-soldi-sangue (così è e così sarà, rassegnatevi, ha detto anche) e che il giornalismo italiano ha il codice deontologico più bello del mondo (per poi alzarsi e andarsene).
Ma è stato significativo anche in un altro senso: per la possibilità di mettere in comune idee e analisi sulla narrazione della violenza e delle donne, per esempio. Dallo studio di Femminismo a Sud (e finalmente ho incontrato di persona Enza Panebianco!) emerge con chiarezza estrema che quella narrazione è falsata e insiste quasi esclusivamente su una  sequenza di attribuzioni femminili (le donne sono forti, materne, amorevoli, pazienti, angelicate, pudiche, hanno attitudine alla cura) che va a inchiodarle al ruolo di “psicofarmaco sociale”  che non corrisponde alla realtà ma che è funzionale a una realtà che si vorrebbe in quanto utilissima (perché il welfare italiano si fonda sul volontariato femminile).
Ancora, dalle parole della linguista Francesca Dovetto ho appreso quanto si sta facendo nel settore: leggete l’intervista a Cecilia Robustelli per capire che usare un linguaggio rispettoso è possibile.  Insomma, avremo anche il codice deontologico più bello del mondo, ma l’impulso a scrivere la prima cosa che ci passa per la testa (o quella che siamo abituati a scrivere) resta.  Così come resta la delicatezza di un argomento che va trattato con consapevolezza. Valga, a margine dell’incontro, quel che avveniva contemporaneamente in rete fra Michela Murgia e la 27ma ora.
Trovare le parole non è affatto impresa semplice:  però, a volte, mi sembra che cominciare a porsi il problema di come trovarle sarebbe un bel passo avanti.

18 pensieri su “LE PAROLE PER DIRLO

  1. Urka, quanti argomenti. Quello linguistico (M vs F) mi ricorda una recente discussione sul blog della Zanardo (“di Zanardo” non mi piace all’orecchio mio, al limite scrivo “di Lorella Zanardo”; ma possiamo parlarne anche subito); da quella discussione prendevo atto che spesso si esagera e si producono termini come “presidenta” (cfr. un recente post della Terragni) o ancora si insiste con quel “poetesse vs poete”, Alma Sabatini nonostante… (Zanardo stessa in un altro post); poi l’amica (tale considero chi si occupa di musica, a prescindere…) Renata(tatina) mi sparò un freccia avveletata su “Maestro” (musicista) vs l’ignota (si dice) “Maestra” (musicista… e come per magia tutto s’appiana) e io lì a spiegarle che di “maestre” siam pieni nelle scuole elementari e d’infanzia per cui spesso è un problema di “piani di percezione” (checchè se ne dica ci vuole tempo perché il sentire collettivo identifichi “Maestra” con l’eccellenza artistica invece che con la pur brava “maestra” delle elementari; il “maestro” omologo è quasi estinto, ergo…); piani di percezione che sono direttamente collegati col grado di cultura del luogo che accoglie l’eloquio o la scrittura: un giornale quotidiano cos’é? Meglio tacere. E la tv? Lol!
    Faccio un esempio e poi chiudo. Le amiche musiciste sapranno del legame “Vivaldi/donne” (cioè dell’orchestra femminile del compositore veneziano) dunque cito da un libro datato 1978: « E’ comunque certo che non poche di queste ragazze erano realmente superiori quanto a versatilità al comune virtuoso [ndr “virtuoso” maschile generico]. La celebre Anna Maria della Pietà […] 1712,1720 (epoca in cui era già “maestra”) […] » come si vede l’uso del termine non è ripudiato a prescindere ma arriva puntuale quando la necessità lo richiede (e siamo nel 1978: Talbot, Vivaldi, EDT, Torino, 1978 appunto, p.27). Ora, venendo al pratico, il libro di Alma Sabatini è esaurito da tempo: se il problema è sentito perché le femministe non ne producono un pdf?

  2. Luz, immagino per problemi di diritti editoriali. Nel frattempo in molte stanno adoperandosi per condensare e divulgare le raccomandazioni in questione, in vari ambiti.

  3. Per F-M ci rifletto spesso.
    A prescindere dalle etimologie e/o dalla correttezza grammaticale e formale secondo me semplificherebbe molto provare ad imporre che il femminile di TUTTO ciò che finisce in -o fosse reso in -a, e che TUTTO quello che finisce in -a o in -e andasse bene così com’è, solo con l’articolo appropriato, sia per m che per f. Questo, soprattutto per evitare quelle forme in -essa e in -trice – che nella maggior parte dei casi, nella comune accezione, continueranno ad avere connotazioni discriminanti.
    Purtroppo, però, ci sarà sempre da fare i conti con il diverso significato nell’uso comune per il maschile e il femminile di alcuni vocaboli (sopra si diceva “Maestro” e “Maestra”. Ma anche “segretaria” e “segretario”, per esempio, a tutt’oggi vengono spesso usati per indicare lavori completamente diversi): un retaggio che sarà difficile ma indispensabile scardinare. Bisogna parlarne.

  4. Sulle questioni di diritti editoriali “si passa oltre”: con tutto il rispetto per le regole e le leggi che regolano non mi farei infinocchiare a oltranza da un sistema reazionario che non ripubblicando detiene diritti e veti su opere di elevato interesse sociale e culturale, consegnandole nei fatti all’oblio, opere e tematiche comprese (anche queste sono forme di censura ideologica; se non ristampi i diritti le perdi, questa dovrebbe essere la logica, pardon l’etica); certo ci sono le biblioteche: facendo una rapida ricerca sull’opac sbn notiamo tre edizioni, 1986, 93 e 99 (peraltro stiamo parlando dell’istituto poligrafico dello stato…), dopo il 99 l’oblio (sarà un caso?); senza contare infine che si tratta di libri di consultazione, quindi da possedere. Se fosse rimasto invenduto si troverebbe facilmente, come accade con molte altri vecchi libri pur ristampati ciclicamente. Ma basta parlare di libri qui – lol

  5. A proposito di donne e media, di attribuzioni femminili prodotte anche dalle donne al fine di costruire una realtà che si vorrebbe porre in atto, segnalo un articolo di oggi apparso sulla 27ora dal titolo “Uncinetto soluzione anticrisi”. L’ho riletto più di una volta, per assicurarmi che non fosse uno scherzo, prima di postarlo qui e su FAS
    http://27esimaora.corriere.it/articolo/uncinetto-soluzione-anticrisia-me-ha-cambiato-la-vita-e-a-voi/
    Trovare le parole non è affatto semplice e può risultare impresa titanica se queste sono il prodotto di un immaginario come quello descritto nell’articolo.

  6. vabbe’ non entro nelle questioni editoriali di cui non sono esperta: ma mi pare che l’importante sia che il pensiero dell’autrice venga studiato, sviluppato e divulgato. Perché fissarsi sulla riedizione sì o no?
    A Firenze pochi giorni fa è stato presentato il progetto Genere e linguaggio a cura del Comitato Pari Opportunità insieme all’Accademia della Crusca, e lì Cecilia Robustelli ha parlato a lungo. Il progetto, che all’interno del Comune si è concretizzato tra l’altro in una serie di linee guida per adeguare alla differenza di genere il linguaggio amministrativo, ha coinvolto uomini e donne, e chi all’inizio mostrava scetticismo ha dovuto ricredersi.

  7. … ma perché, laura a., la ristampa di un libro è il mezzo più efficace per far si che il pensiero in esso contenuto arrivi alle nuove generazioni (e anche alle vecchie che ancora non lo conoscono); lo studioso fa parte di una elite (pure io vado in biblioteca a procurarmi i libri fuori catalogo, ma non è che sia una cosa così agevole, specie quando si tratta di fare 70 km per trovare il dato libro, oppure procedere attraverso il prestito interbiblio); oggi per curiosità ho risondato il web: ne avevo trovato una copia su maremagnum ma mi hanno prontamente risposto che non era più disponibile. Ciò significa che il libro della Sabatini non è rimasto invenduto neanche dopo tre edizioni, altrimenti si troverebbe assai più facilmente (senza contare i casi in cui migliaia di copie rimangono stipate nei magazzini degli editori, così, per sport…).

  8. L’attenzione ad un uso non sessista del linguaggio da anni è questione centrale anche nel mondo delle e degli attivisti LGBT. La rigidità del concetto maschio/femmina esclude e non include, non considera sovrapposizione di sesso biologico/genere/orientamento/ruolo tagliando fuori una bella fetta di umanità che non si riconosce nel concetto di maschile o di femminile “tradizionalmente” inteso.
    La battaglia sul linguaggio è una battaglia di liberta’ per tutt@
    non solo per “donne vs uomini”
    L’uso dell’@ o dell’* (asterisco) nella declinazione delle parole è una pratica (non da tutti è vero) adottata da alcuni anni.
    Il linguaggio non veicola solo sessismo ma anche pregiudizi razziali, religiosi , a tal proposito linko un’intervista al Prof. Tullio del Mauro tratta dal sito di Pasquale Quaranta
    http://www.p40.it/omosessualita-media-de-mauro

  9. l’uso della @ e dell’* nella declinazione delle parole è una pratica adottata da alcuni anni, è vero.
    E per me è una pratica ridicola, pietosa, stupida, da fanatici inconcludenti (attenzione: mi sto riferendo alla pratica, in un discorso generale, quindi nessuno si senta offeso o insultato per favore).
    Non è certo con le chiocciole e gli asterischi che si combatte il sessismo e neanche col trastullarsi a chiedersi se sia meglio dire avvocatessa o avvocata o scemenze del genere.
    Mi pare che siano ancora e sempre le donne, le mamme a occuparsi principalmente dell’educazione dei figli e i risultati li vediamo …
    Dunque a cosa serve star qui TUTTI I SANTI GIORNI a parlare SOLO (o QUASI) di donne, di violenza sulle donne, di femminicidio, di discriminazioni di genere, di aborto, di quanto sono cattivi gli uomini, di quanto sono migliori le donne, ecc..!
    E lasciamo stare l’ottimo De Mauro che è una persona seria!
    P.S. certo che sto blog è proprio fuori dal mondo: potrebbe scoppiare un’altra atomica, che qua si continuerebbe a parlare sempre delle stesse cose di cui sopra.

  10. Rita, infatti 🙂 ci sono tanti blog su cui commentare. Quello che scrivo qui, se permetti, attiene alle mie scelte personali, visto che è un gesto volontario e gratuito. Nessuno ti vieta di leggerne altri, mi sembra, no? Ciao ciao!

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