GAP

Su Repubblica vengono pubblicati oggi i risultati di uno studio sul gap salariale fra uomini e donne: lo trovate qui. Due risultati fra gli altri: le donne rifuggono dalle professioni a maggior reddito e, in media, guadagnano il 16,4% in meno a parità di ruolo e di orari con i colleghi maschi. Qui il commento di Concita De Gregorio.
E in editoria? Il lavoro di monitoraggio annunciato ad aprile per DICA è già iniziato. Una valorosa scrittrice come Marilù Oliva ha cominciato, per esempio, a intervistare i responsabili dei luoghi della rete dove ci si occupa di letteratura. E io comincio a pubblicare i primi risultati. Qui sotto, le risposte fornite per quanto riguarda SugarPulp e Thriller Magazine.
Giacomo Brunoro per Sugarpulp
1. Quanti redattori/giornalisti/recensori conta la rivista/il blog?
15 (numero un po’ variabile: si parte da 10 collaboratori assidui e si arriva a 20 se si contano quelli meno assidui o quelli saltuari, non conto quelli che scrivono molto raramente o che hanno scritto 1 o 2 pezzi per il sito)
2. Quanti uomini e quante donne (in percentuale)?
85% uomini e 15% donne
3. Come reperite i redattori?
Si è partiti da uno zoccolo duro di persone che si conoscevano personalmente e poi ci si è allargati grazie alla rete entrando in contatto con persone con i medesimi gusti e interessi, di solito è c’è un mix tra autocandidatura e proposta. Le autocandidature spontanee ad oggi sono molto poche, quelle che poi si sono trasformate in un rapporto continuativo sono pochissime.
4. Quante domande ricevete da parte di candidati uomini e di candidate donne?
In tre anni poche dagli uomini, zero dalle donne.
5. Quante recensioni di scrittrici vengono fatte rispetto a quelle di scrittori (sempre in percentuale)?
90% scrittori, 10% scrittrici (numero indicativo).
6. Prendete le ultime venti recensioni fatte a scrittori maschi e le ultime venti fatte a scrittrici femmine. La media del voto (stelline) è la stessa?
Solitamente non assegnamo voti nelle nostre recensioni.
7. Sono più donne, uomini o sono in ugual misura 50% quelli che recensiscono le donne? 60% uomini e 40% donne
Mauro Smocovich per Thriller Magazine
1. Quanti redattori/giornalisti/recensori conta la rivista/il blog?
Una cinquantina.
2. Quanti uomini e quante donne (in percentuale)?
30% donne 70% uomini.
3. Come reperite i redattori? (si autocandidano, vengono segnalati, etc)
All’inizio c’è stata una ricerca presso altri blog e forum, in seguito qualcuno si è candidato, attualmente vengono anche presentati per conoscenza da parte di altri collaboratori, ma non abbiamo mai smesso di cercare
4. Quante domande ricevete da parte di candidati uomini e di candidate donne?
Non molte, 4 o 5 l’anno a parità di sesso
5. Quante recensioni di scrittrici vengono fatte rispetto a quelle di scrittori (sempre in percentuale)?
20% di scrittrici – 80% di scrittori
6.Prendete le ultime venti recensioni fatte a scrittori maschi e le ultime venti fatte a scrittrici femmine. La media del voto (stelline) è la stessa?

7. Sono più donne, uomini o sono in ugual misura 50% quelli che recensiscono le donne?
Sono in egual misura

44 pensieri su “GAP

  1. A me sembra che l’articolo di DeGregorio mischi un po’ le cose: una è la discriminazione salariale sullo stesso ruolo (“…le donne italiane a parità di ruolo e di orario guadagnano mediamente il 16,4 per cento in meno rispetto ai colleghi maschi”). Invece quel 37% di reddito in meno non è dovuto solo alla discriminazione.
    A quanto riferisce lo studio citato da Repubblica, la differenza di reddito tra le donne italiane e i coetanei maschi (di pari classe sociale, capacità e opportunità) deriva anche sostanziosamente e costantemente dal fatto che le femmine a monte scelgono le facoltà che sfociano nei lavori meno pagati ( facoltà umanistiche).
    Ciò che mi pare strano è che tra le ragioni per cui si scelgono le facoltà umanistiche si dice che le femmine sono meno competitive, più altruiste, ma invece non si parli mai dell’immaginario. Su radio 3 in questa trasmissione di aprile
    http://www.radio3.rai.it/dl/radio3/programmi/puntata/ContentItem-44aaf81f-6162-465f-895d-c818bac07f47.html
    si discuteva sulla relazione tra consumo di fiction “scientifica” (libri film serie tv…) e interesse verso la scienza. Vi si parla anche di una ricerca (vado a memoria). che indagava le motivazioni dei neo-iscritti a facoltà scientifiche. Tra le ragazze, risulta che era stata significativa la visione di certi telefilm tipo CSI o NCIS in cui sono presenti in ruoli chiave personaggi femminili scienziati (chimica, fisica, informatica…). Forse se si iniziasse prima, cioè anche nei libri di scuola fossero presenti più ingegnere e scienziate e meno mamme coi biscotti (mi riferisco al libro di Irene Biemmi), se non ci fossero i Lego Friends apposta per le femmine mentre i maschi costruiscono le astronavi… Insomma mi sembra che potrebbe essere una buona occasione per ri-parlare di questi argomenti, per farli entrare nel dibattito pubblico, Loredana, no?

  2. A me l’articolo di De Gregorio non piace per nulla.
    Dire che è provato scientificamente che le donne siano più brave è mistificante. Cosa significa essere più brave nel lavoro? Secondo quali criterî?
    Successivamente, De Gregorio chiarisce che parla dei risultati scolastici. Ma qui si potrebbe tranquillamente obbiettare che la scuola premia di solito gli sgobboni diligenti e anche un po’ asserviti (non so se è proprio così, ma è una facile obiezione).
    E poi questa storia che le donne sono più altruiste! Costringe di nuovo le donne nei ruoli amorosi di cura.
    Nonostante sia completamente d’accordo con le conclusioni dell’articolo (bisogna alzare la voce), non sono per nulla in accordo con l’impostazione.

  3. per smontare in tutti i campi la De Gregorio (operazione molto facile, era riuscita ad Annozero anche la Barbarina Palombelli) è divertente vedere come ne parla Fulvio Abbate sulla mitica Teledurriti.
    Oppure leggere quel che pensa di lei un’altra giornalista all’epoca cacciata da l’Unità: Sandra Amurri.

  4. Quello che dice Francesca è molto interessante.
    Io (sviluppo software) faccio parte di quella generazione cresciuta consumando i prodotti culturali americani di fine ’70 – inizio ’80, che avevano l’evidente scopo di invogliare i giovani agli studi tecnologici e scientifici. Quando parlo coi miei colleghi coetanei, è evidente il ruolo che quella produzione ha avuto, nella nostra scelta di studi e professione.
    In quei prodotti, i tecnici erano quasi sempre maschi, con qualche notevole eccezione, ad esempio Bonnie di supercar, ma anche Uhura di Star Trek.

  5. premesso che da appassionato di serial televisivi penso che il loro scopo primo e ultimo debba essere raccontare belle storie il più possibile credibili e dotate di coerenza interna e appassionare lo spettatore alle suddette storie e ai personaggi (così come per romanzi, film ecc..), devo dire che quando da piccolo guardavo ER-medici in prima linea mi veniva voglia di fare il medico di pronto soccorso ma ho presto capito che non faceva per me: la consapevolezza che un mio eventuale errore avrebbe potuto uccidere qualcuno mi era insopportabile (anche per questo ammiro chi, pur consapevole di questo, fa il medico)..ciò che mi piaceva in realtà erano, per l’appunto, le vicende dei personaggi, e la tecnica “cinematografica” con cui erano raccontate. Questo per dire, che i prodotti culturali possono aiutare, ma se hai una inclinazione per un certo tipo di vita e/o carriera, di qualunque tipo sia, verrà comunque fuori. Così almeno credo io.

  6. poi certamente, un conto è sentirsi portati per certi progetti di vita e/o lavorativi..un altro conto è riuscire a realizzarli. Scusate l’ot

  7. sapevo che qualcuno avrebbe obiettato che l’articolo della de gregorio fosse mal impostato perchè la teoria sottesa ricondurrebbe la donna entro i ruoli esclusivi di amorevole dispensatrice di cure. perchè invece non leggere in quelle parole un’obiettiva, per quanto generalizzante, analisi di quella, secondo me effettiva, mancanza (che non vuol dire “lacuna”; mancanza semplicemente rispetto ad una presenza, che non vuol dire pregio) di competitività intesa al parossismo, vale a dire: sì, si è competitive, ma non fino alla guerra. Sì, mi compiaccio di essere più brava di, ma non arrivo a distruggere il mio avversario. Io non credo affatto sia falso, tutto questo. Anzi. Parlando in prima persona, mi trovo assolutamente ritratta in questo profilo. Non è questione di: che bello essere così; non è questione di: che brutto essere così; è questione di esserlo. Certamente, conosco uomini altrettanto poco competitivi, e donne molto competitive e capaci di “non guardare in faccia niente e nessuno”. A livello statistico, però, secondo me questa analisi spiega bene i perchè le donne, come dire, restano indietro. (Secondo me è questa sorta di incapacità che potrebbe essere mancanza di volontà di sbaragliare l’avversario, che porta le donne, in molti contesti, a rimanere in posizioni sospese e constrastate; che le porta a soffrire per quella sorta di scarsa attitudine allo sferrare il colpo definitivo. Quando ne leggo, con quei toni, ovveri con quelli della de gregorio, che non sono compassionevoli nè volti a farne un ritrattino edificante, tipo: checcarine le femmine, mica sono cattivone come i maschi!, non riesco a pensare che ne esca uno stereotipo, e che quello stereotipo mi voglia incastrare in qualcosa che non sono. Secondo me un’analisi del genere è positiva e come ho detto lo si ricava proprio dal tono; la de gregorio mira ad evidenziare, a sottolineare col pennarello certe dinamiche. Saranno generalizzanti, saranno semplicistiche, ma non sono scorrette.

  8. @Paolo, non dico mica che i telefilm devono essere educativi. Dico che spesso hanno la capacità di intercettare certi umori o cambiamenti della società e riproporli in modo accattivante. Con ciò può succedere che se una ragazzina italiana è brava in scienze o in informatica e vorrebbe farlo come lavoro, può trovare più personaggi in cui identificarsi, e combustibile per la sua immaginazione, in un telefilm (dove c’è la chimica dark e spiritosa, o la nerd estrosa, oltre alla poliziotta tosta) che sui libri di scuola dove le ragazzine come lei, una volta cresciute, fanno perlopiù la mamma o, come mestiere, la professoressa e la segretaria. E ciò è triste.

  9. @ laura
    secondo me il dato di De Gregorio è infondato. È vero che le donne sono meno competitive? È vero che non sono pronte a fare le scarpe al prossimo? È vero che se non fai le scarpe al prossimo non eccelli? Sinceramente, non lo so.
    @ Francesca e Paolo1984
    nel mio campo (matematica) le donne sono in minoranza. Se va bene, 1/3 (in certi settori, ma in altri molto meno!). Eppure le studentesse di matematica sono circa la metà, se non di più. Il punto è che spesso, poi, si danno all’insegnamento, che in fono “è il mestiere ideale per una donna, così puoi seguire la casa e i figli”. O perché, se devi zompettare in giro per l’europa per un po’, è strano che sia invece il fidanzato a casa ad aspettare. E poi, quando trovi un posto fisso, è raro che sia l’uomo a spostarsi per lei (mentre di casi inversi ne conosco parecchi). Questa la mia esperienza…

  10. @ Francesca Bè allora siamo praticamente d’accordo. Quel che mi premeva dire e su cui mi pare concordiamo è che se c’è un’inclinazione (per l’informatica, per la scienza, per l’insegnamento, per la medicina, per l’arte, per la moda o per qualunque altra cosa) pre-esiste alla visione del telefilm

  11. @herato. Capisco, tra l’altro sono figlio di un’insegnante di scuola elementare (che anche ora che è pensionata continua a insegnare italiano agli immigrati, indice di una vera passione, secondo me)..è che io caratterialmente sono poco incline a esprimere pareri sulle decisioni che le persone (in questo caso le donne) prendono riguardo alla vita privata e professionale e alle priorità che si danno, cioè non me la sento di dire che le donne che scelgono di insegnare matematica anche per stare più vicine ai figli o che si trasferiscono per amore, “sbagliano”…ognuno ha le sue priorità e le gestisce come può e ritiene. Certo, per come vedo le cose, credo che sarebbe auspicabile se anche gli uomini dessero priorità alla famiglia (se ne hanno una o se la vogliono) e alla persona amata (se, per l’appunto, la amano davvero) che al lavoro..ma mi piace considerare queste situazioni, caso per caso, senza dare giudizi generale. Per me, posso dire che, (anche se non so se reggerei un “amore a distanza”) non obbligherò mai la persona che amo a rinunciare alla sua carriera per stare con me, ognuno deve decidere cosa in quel momento ritiene meglio per la propria esistenza. Dico banalità, forse ma la penso così

  12. @ Paolo: sì, non è che uno sceglie la facoltà solo in base a un telefilm, immagino. Ma è anche vero che le storie e i personaggi di finzione, dai cartoni ai fumetti alla letteratura, sono uno dei materiali con cui si costruisce e si elabora la propria identità, a cui ci si ispira… Forse io tendo a sopravvalutarle questo fattore perchè nella mia esperienza è stata molto importante la mancanza di personaggi femminili in cui identificarmi durante l’infanzia: i personaggi più ganzi che incontravo, Sandokan e Yanez, Sherlock Holmes, Tom e Huck, Batman e Robin, lo Yankee alla corte di re artù, Topolino, gli eroi di jack London, Lupin, i ragazzi della via pal, il veterinario James Harriot, Indiana Jones, Han Solo e Luke Skywalker…tutti maschi. Persino Cipì era un maschio, che diamine! Le femmine, a parte rare eccezioni come Candy, Lady Oscar e Jo di piccole donne, non facevano mai niente di quello che piaceva a me; questo mi ha portato a lungo a ritenere che essere nata femmina fosse una grandissima sfiga, e ha informato profondamente il mio modo di essere.
    Scusate l’auto-amarcord e l’OT 🙂

  13. @ Paolo1984
    non sto stilando giudizi morali né dicendo cosa andrebbe o non andrebbe fatto.
    Sto solo mostrando quello che a mio avviso è un fattore molto importante che gioca sulle scelte professionali.
    Per quanto riguarda l’insegnamento, poi, conosco molte persone (tra cui care compagne di corso) che l’hanno scelto per passione.

  14. Anch’io alle tue domande rispondo non so, però penso una cosa, ovvero secondo me non è tanto questione di “se non fai le scarpe a qualcuno non eccelli”; cioè, eccellere, è un termine ampio. Magari io sono una persona stupenda, generosa, eticamente giusta; una lavoratrice dedita e impegnata; ma magari nella relazione non la spunto mai; magari sono una che ci crede fino in fondo, ma, come detto sopra, nel momento di “non guardare in faccia a nessuno”, e a non sentirmi in colpa dell’eventuale colpo che accuserà l’avversario, non riesco, desisto. Da qui, apparentemente, ne perdo, non vinco. E secondo me questo anche per quel discorso della responsabilità di cui parla la de gregorio, ovvero il modo diverso di intendere la responsabilità. Ripeto, può essere una generalizzazione, può non valere per tutte, però tendenzialmente secondo me è vero. E corredo il tutto di un esempio estremamente OT, ma che può illustrare meglio il mio pensiero: se una donna deve denunciare un uomo, il più ignobile degli uomini (non parlo di una coppia; parlo ad esempio di una mamma che scopre che qualcuno ha avuto atteggiamenti inopportuni nei confronti del figlio), è possibile che la stessa donna, a prescidere poi dall’esito della decisione finale, si ponga problemi e si faccia scrupoli sulle conseguenze del gesto. Su come quel gesto andrà ad influenzare la vita di quell’uomo, sul grado di sofferenza e scompiglio che quel gesto potrebbe portare nella famiglia di quell’uomo. Non vuol dire essere deboli, vuol dire farsi una serie di problemi rispetto alle implicazioni di certe azioni. Vuol dire consapevolezza della responsabilità di certe azioni. E secondo me questo è un problema che mostra come, banalmente, ci sia sempre qualcuno che si muove in modo “egoistico”, e qualcun altro che tenderà ad accollarsi anche gli eventuali contraccolpi della faccenda (fossero anche contraccolpi esclusivamente “morali”). Non è quindi questione di mancanza di determinazione o di convinzione, è sempre quella questione di come uno è stato educato, e l’esser stati educati a contemplare tutte le conseguenze. Mi viene un altro esempio, semplice semplice: io ho due fratelli per molti versi simili a me; se però a cena la sera c’erano un tot di bruschette che andavano suddivise, se io non mi precipitavo a mangiarle, finivano. Viceversa, io a loro lasciavo sempre il giusto numero di bruschette che a loro sarebbe corrisposto. Più buona io? Non credo proprio. Più educata alla visione d’insieme e a non potermene fregare del mio istinto a prenderle tutte per me? Può darsi. In ogni caso, questa cosa può anche tradursi in esiti positivi. Però, che un sistema intero, che sia una famiglia, che sia un luogo di lavoro, che sia un intero paese, si regga ANCHE su questo non detto ma molto implicito dato di fatto, sinceramente mi offende. Molto. (Non penso sia necessario farne una questione uomo vs donna, penso sia una questione di Potere, di cosa è il potere e di cosa attira, e di cosa produce. Non è che il potere sia maschio per definizione, è la storia che dice che il potere è maschio. Quindi, non per biologia ma per cultura, gli uomini a livello generale si permettono di fregarsene di tutto il resto che gira loro intorno, andando più facilmente dritti alla meta. E sembra che siano più forti. Sembra.).

  15. @francesca (comunque pure la principessa Leia Organa me la ricordo come una tosta), al di là di tutto, per me l’importante è che tu (oltre ad aver cambiato idea sul nascere femmina) ti sia nutrita di mondi, storie e personaggi (maschi o femmine che siano, Indiana Jones o Lady Oscar. i personaggi principali come i comprimari) meravigliosi, appassionanti e ottimamente raccontati e caratterizzati.
    Scusate se continuo l’OT

  16. Aggiungo: Herato, secondo me non c’è nulla di male a concludere che l’insegnamento “sia il mestiere ideale per una donna, così puoi seguire casa e figli”. E’ una osservazione realistica e molto concreta se si è intenzionati a farsi una famiglia, oltre che un’osservazione di lungimiranza e di investimento. E’ chiaro che il primo moto debba provenire dalla passione verso la professione, ma è altrettanto vero che se uno deve scegliere tra l’andare a fare dottorati in giro per il mondo, e un lavoro che si occupi più o meno delle stesse questioni, un lavoro nel pubblico impiego dal contratto invidiabile (parlo ad esempio a nome della mia generazione, ho 29 anni) secondo me non c’è nulla di offensivo rispetto alla categoria. Non lo trovo un ragionamento materialistico. Io spero ad esempio di poter diventare un’insegnante, fermo restando che, ad oggi, non ho figli e non ho intenzione di farli a breve, ma che un giorno, se dovesse succedere, avrei la possibilità di dedicare loro un buon numero di tempo. Nel senso che secondo i figli vanno fatti pure per crescerseli. E non vedere in quell’espressione “ideale per una donna” un fattore di maschilismo, o almeno, valuta bene in base a chi la pronuncia. Se io un giorno vorrò godermi i miei figli, non sarà perchè devo, sarà perchè voglio. E un lavoro che me lo permetterà, sarà, appunto, l’ideale. (Che non vuol dire che fare dottorati è per mamme scriteriate. E’ obiettivamente molto complicato avere un lavoro a tempo pieno, e dedicarsi alla famiglia. E non tutti riescono a gestire il proprio tempo in modo perfetto, e senza uscirne pazzi).

  17. Perché le donne scelgono percorsi di studio che avviano a lavori poco retribuiti, come l’insegnamento? Semplice, perché le famiglie lo permettono loro senza ostacolarle, immaginando che tanto si sposeranno e avranno un marito cui appoggiarsi, e sarà lui a riportare lo stipendio con la s maiuscola. Lo dico con cognizione di causa, perché, da insegnate, vedo che quando è un maschio a voler scegliere, che so, filosofia, lettere moderne, conservazione dei beni culturali, nella maggior parte dei casi viene ostacolato dalle famiglie e ri-orientato verso ingegneria, economia, insomma verso i settori economico-scientifici. Non è che le donne per natura abbiano un’inclinazione maggiore per la filologia: ho alunni bravissimi a tradurre dal greco, che hanno quasi paura di dire ai genitori “voglio studiare lettere classiche”. Invece le femmine raccolgono il plauso: brava, così farai la prof e, lavorando poco, potrai conciliare famiglia e lavoro. Ci sarebbe piuttosto da chiedersi come mai certe professioni siano così sottostimate socialmente e non solo per tendenza dei singoli, ma anche e soprattutto per precise scelte politiche che orientano una collettività. E varrebbe la pena riflettere sull’attuale processo di femminilizzazione del lavoro, di cui si è occupata Cristina Morini in “Per amore o per forza, femminilizzazione del lavoro e biopolitiche del corpo”.
    http://www.ombrecorte.it/more.asp?id=237
    Altro che attitudini, inclinazioni naturali, predisposizioni e passioni. E’ il capitalismo cognitivo, bellezza!

  18. @ laura : fare ricerca e insegnare sono cose diverse. Non ti occupi delle stesse cose, tutt’altro.
    Invece nell'”ideale per una donna” ci vedo proprio del maschilismo. Se invece si dicese “ideale per chi vuole dedicare molto tempo alla famiglia/godersi a lungo i figli” etc., sarei d’accordo. Ma in questa frase già si sottintende che sono desiderî (o obblighi) femminili.

  19. Le passioni e le inclinazioni esistono (naturali o no, chi può saperlo? E poi in quanto esseri umani la cultura assieme alla biologia è parte integrante della nostra “natura”) ma allora il problema sono quelle famiglie che ostacolano le passioni dei figli (quella di un figlio per le lettere classiche o quella di una figlia per l’ingegneria ad esempio ma vale in ogni caso) insieme al problema più generale delle scelte politiche che portano a sottostimare certe professioni importantissime come l’insegnamento (per quanto, nella mia esperienza i primi prof maschi li ho avuti già alle medie inferiori e io ho scelto di studiare Scienze dello Spettacolo dopo la triennale in Progettazione e Gestione di Eventi dell’Arte e dello Spettacolo senza ostacoli da parte dei familiari anche se le prospettive lavorative erano e sono nebulose..e lo dico sperando di sbagliarmi)

  20. @herato
    che fare ricerca e insegnare siano due cose diverse lo immagino. Ma se scelgo di insegnare anzichè fare ricerca, non sto rinunciando alla ricerca per darmi all’imprenditoria, convieni? per “un lavoro che si occupi delle stesse questioni” intendevo se ho studiato lettere per una vita, e voglio che il mio Lavoro riguardi quello che ho studiato, la ricerca e l’insegnamento mi sembrano perfetti. Stesse questioni= letteratura, arte. Non stesse MANSIONI.
    Banalmente, si rinuncia, in molti casi, alla ricerca, e ci si concentra sull’insegnamento, anche perchè in quanto a orari e modalità di lavoro si concilia di più con la famiglia. Ripeto, cosa c’è di maschilista?
    Io ho detto nel mio penultimo post “ideale” non in quanto donna, ideale per me, che avrei voglia, immagino, anche di starmene a casa con i miei figli.
    E’ chiaro che se a pronunciarla è una persona qualunque ed estranea che vuole strumentalizzare la faccenda, è un conto, ma se lo pronuncia una donna, o cmq una persona interessata, nn è detto ci sia della passività e della sottomissione,
    secondo me.

  21. comunque, beninteso, neanch’io penso che solo perchè nasci maschio o femmina devi avere per forza certe inclinazioni e non altre. Io sono maschio e non ho ai avuto nessuna inclinazione per le materie scientifiche, ad esempio

  22. Capisco alcune parti del discorso di Laura. Sarà un caso che alcuni paesi più evoluti lo siano anche dal punto di vista della parità di genere? Ci sono nazioni (non solo persone) che hanno una attitudine ‘femminile’: qualcuno potrebbe dire la Svezia ad esempio.
    Si potrebbe dire cioè che la società svedese applichi un approccio con caratteristiche ‘femminili’, simbolicamente parlando, cioè lungimirante, più evoluta, ecco, anche più intelligente. Se in quella società, nelle aziende (Stefano di congedo parentale docet) il genitore maschio viene considerato affidabile sul lavoro proprio se dimostra la propria responsabilità in famiglia prendendosi il congedo parentale, forse ne consegue che alcuni valori italiani attuali non sono esattamente prova di lungimiranza ed evoluzione. Quindi a mio parere c’è un problema più ampio che non la minore competitività ed aggressività nel lavoro.
    E non riesco a vedere separate le questioni legate a tutta la parità di genere: il carico domestico, i libri di testo nelle scuole, la pubblicità, il welfare, il linguaggio, ecc.

  23. “E’ chiaro che se a pronunciarla è una persona qualunque ed estranea che vuole strumentalizzare la faccenda, è un conto, ma se lo pronuncia una donna, o cmq una persona interessata, nn è detto ci sia della passività e della sottomissione,
    secondo me.” Laura
    Sì penso di condividere, è il contesto in cui certi discorsi vengono fatti, chi è che li fa e con quali fini che fa la differenza.

  24. Sì, certo, quando ti pagano il 30% di uno stipendio di mille e trecento euro voglio proprio vedere se ti puoi permettere il lusso di rimanere a casa con i figli. Se poi non hai un compagno che guadagna decentemente, o se ce l’hai ed è disoccupato e ti tocca mantenere pure lui oltre i figli, hai fatto bingo. E non sto parlando di casi limite, ma della realtà di oggi. Ma lo sapete quanto, in media, guadagna una/un insegnante in età fertile, che coincide con la (lunghissima) fase di precarietà pre-ruolo? Lo sapete quanti chilometri ti tocca fare tra una sede e l’altra, quante ore al giorno stai fuori casa prima che ti venga assegnata l’agognata sede (mai definitiva)? A quel punto sei in menopausa. Per favore, non diciamo castronerie.
    Le insegnanti di oggi non vivono e non lavorano nel contesto di 20/30 anni fa.

  25. @ laura
    “Banalmente, si rinuncia, in molti casi, alla ricerca, e ci si concentra sull’insegnamento, anche perchè in quanto a orari e modalità di lavoro si concilia di più con la famiglia. Ripeto, cosa c’è di maschilista?”
    Assolutamente niente. Maschilista è il discorso di chi dice che queste conciliazioni sono compito e dovere della donna (e non della coppia).

  26. @ laura
    aggiungo inoltre che non ho niente contro chi preferisce insegnare invece che fare ricerca per stare insieme alla famiglia (comunque molti amici che sono andati a lavorare nel privato continuano a fare un lavoro vicino alla ricerca, molto più vicino di quello di molti insegnanti!)
    Voglio solo dire che se spesso in ricerca (soprattutto si parlava di materie scientifiche) ci sono molti uomini, non è secondo me dovuto solo al percorso formativo, ma anche alle scelte che vengono fatte dopo.
    Se vuoi ribaltare la prospettiva, si può dire che gli uomini si sentono più liberi di costruire carriera perché non si sentono in qualche modo vincolati dagli oneri famigliari., anche se magari vogliono una famiglia: conosco molti che girano il mondo per la loro carriera, con moglie e pargoli al seguito.

  27. Sorvolo sull’indagine circa le percentuali di presenza femminile tra recensori e recensiti (che sembra preludere a una nuova versione del Manuale Cencelli) e mi fermerei sull’iponione della De Gregorio (ahi Conchita, un tuo fervido ammiratore è costretto a contraddirti!).
    Cioè che le ragazze siano più brave negli studi. Insegno filosofia e storia da quasi trent’anni, due materie “on the border” tra l’umanistico e lo scientifico. Le ragazze sono certo mediamente più studiose, e ottengono mediamente risultati scolastici migliori. Ma in quello che io considero il livello di eccellenza sono meno presenti. La mia impressione è che siano più metodiche, meno superficiali, ma anche più conservatrici. Il guizzo che spiazza, il controcampo sulla narrazione più tradizionale, è più spesso maschile. Quel che a volte è un limite (l’astrazione dal concreto e dal continuo), altre volte è un pregio.

  28. Manuale Cencelli? Per chi vuole ideologicamente intenderlo così, mio caro Binaghi. Se per te è normale che, fin qui, le scrittrici che vengono recensite sono in numero molto inferiore rispetto agli scrittori, cosa significa? Che sono delle incapaci, che non sono degne o che hanno autorevolezza minore?
    Ps. Un fervido fan dovrebbe sapere che si chiama Concita, senza acca, per dire.

  29. Senza polemica, senza che alcuno o alcuna se ne offenda, leggendo i post ho la strana sensazione che le donne pensino ai figli come a un’impresa tutta loro. E non da condividere col partner.

  30. Loredana, per me sarebbe normale che venissero recensiti solo libri che meritano, non per chi li ha scritti (maschio o femmina), soprattutto non per chi li ha editati (Mondadori o Pincopallo) e nemmeno per la sociologia d’accatto che possono suscitare (il romanzo del precario, il mommy porn ecc). Questo nel mio paese ideale. Dove nemmeno ci si chiede se le donne sono abbastanza recensite, ma solo se lo è chi scrive buoni libri.
    Tu chiami questo ideologia?
    Io lo chiamo ricerca della qualità. Ideologia è l’ugualitarismo a prescindere dalla qualità.
    PS – Concita pardon, ho un figlio con morosa in Spagna, in questo momento, mi sono distratto.

  31. Ma tutto il lungo, interessante e pacato discorso che abbiamo fatto nel post precedente non è servito a nulla? Questo mi sembra l’ideale prosecuzione dell’altro, c’è bisogno di riprendere il discorso dal principio? Invece di fare un passo in avanti, pare che si voglia tornare un attimo indietro e/o non sviluppare e sviscerare ulteriormente la questione. Meno male che sono le ragazze e dunque le “femmine” le più conservatrici. Clinicamente testato.

  32. No, nient’affatto. Perchè poi valgono soprattutto gli altri fattori (il libro chi lo edita, il libro di che parla – orrenda cosa, per chi pretende di recensire letytaratura). Però, perdonami, non mi piace il punto di partenza, cioè la rivendicazione di genere, anche perchè non funziona così. Ho scritto un romanzo che è la storia di un padre e di una figlia. Sai quanti editori mi hanno detto: bellino, scritto bene, ma a noi interessava la narrazione di una “lei”. Parliamoci chiaro, Loredana, negli ultimi anni le autrici sono molto più ricercate degli autori. Certo che se poi il caso letterario al femminile più eclatante è la Silvia Avallone, allora vien da chiedersi se la scrittura femminile non possa fare di meglio. Io dico che questo dovrebbe farvi incazzare: che di molte signore scrittrici che esistono in questo paese, quelle che gli editori (e i promoters) hanno deciso di portare sugli scudi sono Avallone e Melissa P.

  33. @Ovviamente il commento sopra era per Loredana.
    Antonella, io non sono un test INVALSI. Sono un insegnante come te e ho portato una modesta esperienza, non credo viziata da pregiudizi, ma certo con tutti i limiti del caso. Comunque conservatore non è una parolaccia, e chi mi conmosce sa che per me è un’aspetto molto più prezioso del progressismo presunto, che spesso è solo frutto di pigrizia e insofferenza a raccogliere faticose eredità.

  34. Valter, su Facebook sto per l’appunto discutendo su un fatto: quando esce un brutto libro scritto da una donna (nel caso, Cinquanta sfumature di grigio) chissà come mai diventa ancora più brutto. Quando il brutto libro è maschile, in fondo ci si passa sopra. Fissazione? No. Quando, ripeto, le donne recensite sono circa un terzo rispetto agli uomini, e quando nelle antologie, nei festival, nei premi, sono in numero ugualmente minoritario, delle due l’una: o scrivono davvero male, oppure un problema c’è.

  35. @valter
    nemmeno io sono un test Invalsi (e meno male, perché li detesto), però qui non stiamo valutando le competenze di genere e tu mi dovresti capire se parlo in didattichese.Una delle questioni che sta emergendo è che, se pure si cerca un’autrice è perché a lei si assegnano certe tematiche e non altre e non farmi ripetere perché ho già portato esempi concreti. Questo meccanismo, viziato alla fonte, produce distorsioni di cui fa le spese anche un autore, quando presenta un manoscritto in cui narra la storia di un padre e di una figlia e si sente rispondere, tradotto in soldoni : no, grazie, è roba da femmine. Le conseguenze sono pagate dall’intera società e dall’immaginario che la colonizza, un immaginario preconfezionato, deciso dall’alto e dunque imposto, perché non è frutto di una elaborazione comune, ma di una selezione operata a monte. Altra questione, a mio avviso non disgiunta, è quella della innegabile minor incisività delle donne nella produzione culturale e qui ci sono i dati, che tu rubrichi alla voce “manuale cencelli”. Last but no least, quando una donna scrive una cagata, che chissà perché può giungere a essere pubblicata anche da case editrici importanti, è doppiamente cagata: la prima volta per il romanzo in sé, la seconda per l’autrice. Anche in questo caso, l’esempio è già stato fatto e non mi pare si possano muovere grosse obiezioni.

  36. Okay a entrambe. Però non c’è un complotto maschilista condiviso: ci sono dei signori (e signore) con nomi e cognomi, che stanno nelle redazioni di case editrici e giornali e dettano la linea (o quantomeno eseguono). Sono vecchi? Non mi risulta. C’è parecchio TQ in giro, e in nome del “lettore” e del “mercato”, imbandiscono la tavola in questo modo. Perchè prima si dicvhiara di voler spaccare il culo aio passeri, poi quando ci si accomoda si diventa esecutori della necessità. Quante volte l’ho vista questa cosa, cazzo.

  37. la domanda è: a chi fa comodo mantenere questo stato di cose? chi ne trae vantaggio, chi si gode i profitti?dai che non è difficile darsi una risposta.

  38. Valter, non ho mai parlato di complotto maschilista, ti prego. Parlo, semmai, di una visione molto poco esplicitata che considera le donne come adorabili e indispensabili lettrici, ma tende a considerarle meno in quanto scrittrici, salvo (rare) eccezioni. La vera differenza con gli altri paesi è che altrove la questione viene serenamente posta, qui viene considerata fanatismo.

  39. Primo: “O scrivono davvero male, oppure un problema c’è.” E se scrivessero davvero male? Io non mi permetto di sostenerlo, ma è chiaro che dall’altra parte ci si permette di escluderlo categoricamente.
    Il ragionamento ha peraltro una falla tanto colossale quanto evidente, come accade spesso: gli editori vendono libri. Le donne comprano più libri degli uomini. Ergo orientano maggiormente il mercato. Nessun editore si priverebbe di lauti guadagni per misoginia editoriale. Considerando peraltro che invece essere maschi illuminati e femministi è un plus sul piano delle pr.
    Secondo: una frase come “Le donne sono più brave degli uomini” suscita assensi ed applausi. Se qualcuno si permettesse di sostenere pubblicamente che “Gli uomini sono più bravi delle donne” verrebbe crocifisso. Esistono dati che possono confortare la prima asserzione quanto la seconda. Solo che quelli che sostengono la seconda diventano sempre ed automaticamente prove degli ostacoli sociali contro le donne. Se tra le dieci persone più ricche del mondo, i dieci scrittori, i dieci scienziati, sette sono uomini e tre donne è colpa di una società maschilista. Se sette fossero donne e tre uomini sarebbe perché le donne sono più brave.
    Terzo: se le donne fossero davvero tanto più brave e potessero essere pagate mediamente molto meno degli uomini, tutti assumerebbero solo donne. Sia le donne, per la causa del proprio genere. Sia gli uomini per le migliori o peggiori intenzioni.
    Quarto: per la cronaca io penso che tendenzialmente le donne siano, ma soprattutto possano essere meglio degli uomini. Che dietro ad ogni grande uomo (e donna) ci sia una grande donna. Ma, fatalmente, che dietro ad ogni uomo (e donna) mediocre ci sia una donna mediocre. As they say: “With great power comes great responsibility”.
    Quinto e chiudo: quando il maggior numero di morti per violenza sono uomini, quando il maggior numero di morti sul lavoro sono uomini, quando il maggior numero di drogati sono uomini, quando il maggior numero di carcerati sono uomini, quando il maggior numero di suicidi sono uomini, l’idea superficiale e conveniente che la società sia maschilista non può essere sostenuta avendo una limpida onestà intellettuale.

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