GLI ANNI DI BENIAMINO

Ogni tanto, quando si discute di televisione e pubblicità, è bello rileggere Beniamino Placido. Nel caso, in un articolo del 12 giugno 1985.
Tutti ci siamo accorti che la vecchia guerra non dichiarata fra Nord e Sud si è riaccesa. E riemerge con le sue fiamme nei punti più impensati. Per esempio, in televisione. Più precisamente, intorno al varietà televisivo. Qui si stanno definendo e contrapponendo due schieramenti. I “sudisti”, che prediligono “Quelli della notte”. I “nordisti” che preferiscono “Drive in”. Come sempre accade in tutti i conflitti, sono gli intellettuali a mettersi alla testa delle truppe (che magari apprezzerebbero una tregua d’ armi) per rifornirle di munizioni e di motivazioni. Ha cominciato il poeta milanese Giovanni Raboni con un articolo esplicito “Arbore giù, Drive in su” nell’ “Europeo” del 1 giugno. Ha incalzato lo scrittore Mario Soldati, che in una dichiarazione alla scrittrice Francesca Duranti per “il Giornale” ha salutato in “Drive in” l’ “aria del nord, finalmente entrata fra i nostri comici a spazzare via il romanesco”. Hanno continuato (e continuano) in tanti altri. Sicchè domenica sera mi sono armato di carta, penna, generi di primo conforto e mi sono accinto a vedere “Drive in” (Italia 1, ore 20,30). I generi di conforto (viveri, caffè, sigarette) mi parevano indispensabili perchè “Drive in” è un varietà che dura due ore. Devo riconoscere che queste preoccupazioni si sono rivelate eccessive. “Drive in” dura sì due ore circa, ma inframmezzate da sostanziose interruzioni pubblicitarie. E fin qui, niente di male. Non siamo mica di fronte a un film di Bergman. Che venga pure, la pubblicità. Ci consentirà di correre in cucina ad accendere (o spegnere) sotto il bricco del latte. Senonchè “Drive in” di domenica sera (fra parentesi, una delle migliori edizioni che mi sia capitato di vedere) si era aperto con un eloquente “numero” del capocomico Gianfranco D’ Angelo (con lui ci sono Enrico Beruschi e Lory Del Santo) contro la pubblicità: “che non è l’ anima del commercio, è il commercio dell’ anima”. Senonchè, nelle stesse sostanziose interruzioni pubblicitarie che dovrebbero interrompere il programma si ritrovano a volte gli stessi attori del programma (per intenderci: come se una trasmissione di Pippo Baudo venisse interrotta da uno spot pubblicitario in cui c’ è Pippo Baudo; come se una trasmissione di Mike Bongiorno venisse interrotta da uno spot pubblicitario recitato da Mike Bongiorno, ecc.). Senonchè, alcune delle stesse scenette comiche di “Drive in” cominciano in modo innocente – come i vecchi Caroselli – e si risolvono alla fine in una pubblicità esplicita, dichiarata: di una certa automobile, o di una certa carne in scatola. Posti in una situazione del genere (che può essere, ripeto, perfettamente legittima) come se la sarebbero cavata “Quelli della notte”? Se la sarebbero cavata – mi immagino – ironizzando su se stessi. Ma guardate che guitti, che cialtroni che siamo. Facciamo grandi discorsoni umoristici sulla pubblicità, mentre andiamo in giro carichi di messaggi pubblicitari: come il dinamitardo “Pierrot le fou” (quello di Godard) andava in giro carico di dinamite. Quelli di “Drive in” invece fanno tutto questo con faccia seria. Devo immaginarmi tuttavia che sia questo effetto (involontariamente) comico a far ridere il poeta Raboni e lo scrittore Soldati. Altrimenti, davvero non so che cosa immaginare. “Drive in” è un programma di varietà fatto di tante scenette brevi (domenica sera ne ho contate trenta) che si inseguono a grande velocità, e senza soluzioni di continuità (a parte la pubblicità). L’ intenzione di fare uno spettacolo deliberatamente incoerente e surreale, un “Hellzapoppin” milanese, è evidente. E sono certo che quelli di “Drive in” presto o tardi ci riusciranno: se lavoreranno sodo. Ma per ora siamo piuttosto lontani da un risultato accettabile. Le scenette sono spesso ben preparate, le battute sono spesso ben costruite. Ma poi si ha proprio l’ impressione che un diavoletto cattivo intervenga a portarsi via la “chiusura”, la conclusione. Per cui a volte si sorride. Assai più raramente si ride. A meno che uno non si metta davanti al televisore così deciso a ridere da scoppiare in una risata irrefrenabile anche di fronte a battute come: “altro che karatè, questo è un povero me”; “Ischia e capretti” (invece che “Ischia e Capri”); “non cercate il pelo nella macchina” (invece che “non cercate il pelo nell’ uovo”). Di che cosa ridono allora lo scrittore Soldati, il poeta Raboni e gli altri bellicosi intellettuali del Nord? Ho fatto un’ ipotesi. Siccome le scenette di “Drive in” cominciano bene, ma difettano in “chiusura”, Soldati e Raboni – che sono uomini di immenso talento – nelle loro notti insonni le ripensano, queste scenette di “Drive in”, le rielaborano e le concludono con battute fulminanti. Come sarebbe bello, come sarebbe generoso da parte loro se la mattina al risveglio le trascrivessero su un pezzo di carta e ce le mandassero. Così potremmo farci qualche buona risata anche noi, che viviamo al di sotto della Linea Gotica e soffriamo di un certo ritardo culturale – confessiamolo – nei confronti del surrealismo pubblicitario.

20 pensieri su “GLI ANNI DI BENIAMINO

  1. I grandi intellettuali però hanno il coraggio di ricredersi. Guardate cosa scriveva Placido due anni dopo:
    SMETTETE DI FUMARE IL SIGARO O VI QUERELO
    La Repubblica, 10 marzo 1987 — pagina 27
    “HABEMUS confitentem reum”: ma che fai? Questo è latino. E scrivi su un giornale. Affrettati a tradurre, immediatamente. “Minime”: non mi passa nemmeno per la testa. Non tradurrò. “Nemmeno per idea”. Se lo facessi offenderei tutti coloro che negli anni appena passati hanno prosperato leggendo, comprendendo e citando testi ben più difficili del latino. Quelli di Lacan, per esempio. O quelli del professor Armando Verdiglione, assurto agli onori delle cronache giudiziarie e giornalistiche recenti per essere stato accusato (“plagio”, “circonvenzione di incapace”) e parzialmente condannato. E’ PROPRIO AL PROFESSOR VERDIGLIONE che quella frase – latina – si riferisce. Ed a “Drive in”, la scatenata trasmissione di Italia 1 (una trasmissione alla quale mi sono affezionato lentamente – lo confesso – ma stabilmente) che dal professor Armando Verdiglione è stata formalmente diffidata, a termini di legge. Smettetela, o vi querelo. Vi faccio pagare danni e interessi. SMETTETELA DI FARE CHE COSA? Smettetela, dice il professor Armando Verdiglione (e per lui il suo legale: l’ avvocato Vittorio Virga di Roma) di consentire al comico Ezio Greggio di imitarmi: insultandomi. Sta di fatto che Greggio ha inventato – e proposto domenica scorsa per la seconda volta – la figura di “Vermilione, psicologo e santone” che veste di gessato (come un gangster), fuma il sigaro (come un gangster) e pratica non già la psicanalisi, bensì lo “psicanaleasing”. Si fa pagare profumatamente, anche a rate (come nella pratica commerciale del “leasing”) dai suoi pazienti, che libera in compenso (meglio: dietro congruo compenso, anche rateale) da ogni complesso. L’ altra sera ha liberato un povero disperato paziente, afflitto da un noioso “tic”. Che era poi un “tic-tac”. Staccandogli dal polso – a suon di martellate – un prezioso orologio che faceva per l’ appunto: “tic-tac”. SE POTESSI DARE UN CONSIGLIO disinteressato, al professor Verdiglione gli direi: non insista. Se porterà Ezio Greggio e “Drive in” in tribunale, il giudice gli darà torto. Perchè di che cosa mai potrà accusare il comico, e i comici di “Drive in”? Vestire di gessato non è un reato. Fumare il sigaro, neanche (non ancora, fortunatamente). Essere psicanalista, nemmeno. E poi il prof. Armando Verdiglione ha sempre negato di esserlo. Definendosi invece, mi pare, operatore culturale. Che è forse peggio, ma non di fronte alla legge. Farsi pagare, poi, dai pazienti in analisi è cosa che gli psicanalisti hanno sempre raccomandato – a se stessi e agli altri -: se no quelli, i pazienti, non prendono l’ “analisi” sul serio. E DUNQUE, DI COSA SI DUOLE, o si querela, il professor Armando Verdiglione? Se si duole – o peggio ancora, se si querela – se porta in tribunale quelli di “Drive in”, allora confessa – seppure involontariamente (tanto peggio!)/che nel fumare il sigaro nel vestire di gessato, parlando come parla (perchè dovrà pur parlare davanti al giudice) nel togliere di tasca i “complessi” ai pazienti c’ è – ci può essere – qualcosa di male. Se il professor Armando Verdiglione porterà Ezio Greggio e i suoi compagni di “Drive in” in tribunale, allora si confesserà implicitamente colpevole. E si sa (fra operatori culturali): “confessio est regina probationum”. Che vuol dire: “la confessione è la regina delle prove”. “Abbiamo il reo confesso”, ci costringerà a dire il professor Armando Verdiglione. Ovvero, e per l’ appunto, “habemus confitentem reum”. Aspettiamo con ansia la prossima puntata (Domenica, Italia 1 alle ore 20,30) di “Drive in”. Vogliamo proprio vedere-e sapere-come andrà a finire. – di BENIAMINO PLACIDO
    http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1987/03/10/smettete-di-fumare-il-sigaro-vi-querelo.html

  2. They are back 😀
    (celia a parte, il primo intervento era sulla struttura di un programma e sul rapporto con la pubblicità, il secondo su un episodio specifico. Dal momento che non voglio ricevere altre telefonate all’ora di cena, come capita ed è capitato a una mole impressionante di scrittori e giornalisti e saggisti, specifico che in questo caso è quel rapporto che mi interessa, non il curriculum del telefonatore)

  3. Erano gli anni in cui la pubblicità, tramite la tv, diventava pervasiva. Molti dei comici di quella compagine “milanese” si affermarono infiorettando i jingle e i tormentoni degli spot pubblicitari, cioè divenendone amplificatori – come notava Beniamino Placido – molto più che detournatori situazionistici. E’ in effetti un tratto distintivo di una parte di quella generazione di cabarettisti. Ed è vero che non facevano tanto ridere, ma piuttosto sorridere, con l’aiuto delle “sbellicate” risate registrate (importate dalle sit com americane) e del pubblico di figuranti che si spanciavano a pagamento. Effetto e reazione erano amplificati e indotti: la trasmissione era un lungo spot di se stessa.

  4. Vedevo ambedue le trasmissioni, la meneghina in maniera, confesso, pruriginosa (chiedo venia, ero giovanetto assai).
    La trasmissione arboriana invece fu l’unica, nella mia piccola e mai abbastanza breve storia di telespettatore, a farmi andare a letto soddisfatto nonché impaziente di vedere la successiva puntata, come mai mi era capitato e come mai mi sarebbe più accaduto.
    Sudista quindi (e fesso, ma nel senso di onesto, come dal titolo della trasmssione di Placido e Montanelli “Italiani: furbi o fessi?”).
    Sicuramente esagero nell’accostare la TV all’energia nucleare, ma ho “come l’impressione” che entrambe siano “invenzioni” il cui uso maldestro (o prettamente mercantilistico) provochino danni che sfuggono, evidentemente, anche alle menti più raffinate.
    Come Raboni e Soldati per Drive in e, scendendo in raffinatezza, come quel dirigente di Italia 1 che alla domanda sul perchè mediaset non facesse TV di qualità rispose piccato: “Ma come! Noi facciamo TV di qualità! Abbiamo Zelig!” (Questa fa il pari con quella del dirigente publitalia che, nel ’94, non riusciva a capire, di fronte ad un Santoro allibito, cosa ci fosse di sbagliato e conflittuale nel fondare un partito partendo da un’azienda pubblicitaria). Amen.

  5. GRANDI VARIETA’ PICCOLE NOVITA’
    La Repubblica, 15 ottobre 1985 — pagina 31 sezione: RADIO E TELEVISIONE
    AH, il Varietà di una volta! Rassicuratevi, non sto per sciogliere un inno al grande Varietà di altri tempi – della Osiris e di Totò, di Marisa Maresca e di Rascel – per paragonarlo alla modestia del Varietà televisivo di oggi. No; sto emendando un sospiro di nostalgia a distanza ravvicinata: per quella grande – anche se involontaria – trasmissione di Varietà che la Rai-Tv ha mandato in onda nei mesi scorsi e che nessuno ha poi ripreso. Nessuno, nei cinque varietà televisivi che vanno attualmente in onda, si è fatto venire un’ idea veramente nuova. Non “Premiatissima” (Canale 5, venerdì) condotta da un Johnny Dorelli sempre più pallido, smorto, incipriato. Non “W le donne” (Retequattro, venerdì) condotta da un Andrea Giordana che sembra un nobile decaduto, perduto nella contemplazione di quel bene supremo che è la sua bellezza, continuamente ricordata e commemorata da tutti quelli che gli girano intorno. Non “Grand Hotel” (di cui si è vista la prima puntata sabato sera su Canale 5) dove c’ è un Alain Delon mezzo vecchio e mezzo giovane che dovrebbe aggirarsi per le stanze e i corridoi di questo grande albergo (i cui portieri sono Ciccio e Franco, i direttori Gigi e Andrea) per farsi concupire da donnine perennemente in agguato. Ma è spaesato il povero Delon giovane-vecchio. Non sa cosa fare. Non sa cosa gli accade. Non “Fantastico” (RaiUno, sabato) condotto da Pippo Baudo e fondato sulle seguenti idee nuove, già ampiamente strombazzate: è in diretta (mamma mia che impressione); è aperto ai giovani (adesso che Pertini non c’ è più tutti ad imitarlo), che suonano il pianoforte, il violoncello o fanno danza classica (mamma mia che emozione). Ognuno di questi spettacoli di Varietà ha qualcosa di buono: “Premiatissima” ha gli interventi di Nino Manfredi; “W le donne” ha i testi – spesso azzeccati – di Umberto Simonetta; “Grand Hotel” ha Paolo Villaggio travestito da protofemminista; “Fantastico” ha la conduzione di Baudo: ordinata, impeccabile. Quello che manca in questi spettacoli di Varietà è la varietà, la novità. Forse un vero, nuovo spettacolo di Varietà oggi può nascere solo per caso, all’ insaputa dei suoi stessi autori. Più ci penso, più mi persuado che il vero grande originale spettacolo di Varietà lanciato dalla nostra televisione ultimamente – che tutti abbiamo visto, di cui tutti abbiamo discusso – è stato “Mister O”, l’ esilarante trasmissione di parapsicologia che ci ha portato in casa i più grandi – e spudorati – maghi del paranormale. Che ci ha fatto conoscere – spettacolo nello spettacolo – quegli ineffabili scienziati che davanti agli esperimenti più inauditi scuotevano gravemente il capo dicendo: non si sa mai. Come i sovversivi di provincia di una volta che si professavano, sì, atei ma passando davanti alla Chiesa Madre prudentemente si segnavano: non si sa mai. Quello sì che era uno spettacolo: altro che “W le donne”; o “Premiatissima”, o “Fantastico”, o “Grand Hotel”. Dimenticavo “Drive in” (Italia 1, domenica) che di tutti gli spettacoli di varietà sulla scena è indubbiamente il più sperimentale. Ed anche il più spericolato: una sventagliata di battute, un fuoco di artificio di trovate. Senonchè non sempre le pallottole esplodono: a volte fanno cilecca. A volte, i fuochi di artificio rimangono inerti per terra, a volte scoppiano addirittura in mano agli artificieri (Giancarlo D’ Angelo ed Enrico Beruschi). A partire da domenica sera, “Drive in” ha messo in canna una pallottola nuova, che dovrebbe esplodere ogni volta. E’ Bobo il personaggio dei fumetti di Staino, interpretato qui da Paolo Pietrangeli. Bobo è il comunista – o ex-comunista, o ex-extraparlamentare: non fa differenza – non tanto pentito (non ha mai fatto nulla di male) quanto disincantato: nei confronti del vecchio stalinismo come dell’ ultimo “modernismo” alla moda. Il mondo non è cambiato, dal ‘ 68 ad oggi: semmai è cambiato in peggio. Ma non per questo Bobo si pente di aver desiderato cambiarlo. Semplicemente: non lo prende più sul serio, lo prende in giro. E giacchè ci siamo, prende in giro sè stesso, i compagni e gli ex compagni. Interpretato da Paolo Pietrangeli – il regista di “Porci con le ali”, il cantautore di “Contessa”, il regista-sceneggiatore di “Orazio” (Canale 5, domenica pomeriggio), – il Bobo di Staino ha fatto la sua apparizione in “Drive in” domenica sera, in due brevissime “vignette”. Poche ore prima si era concluso a Milano l’ animato convegno sui roventi anni settanta. E a nessuno forse è venuto in mente che c’ è stato anche questo modo per uscire dignitosamente dagli anni di piombo. Non solo il pentimento, o lo spegnimento nell’ inerzia, o il frettoloso ammodernamento. Questo modo civilissimo – indicato da Bobo – di rivolgere la propria ironica irriverente insofferente irrispettosità a sè stessi e al mondo. Che forse non si può cambiare. Ma si può dileggiare. Il modo gentile e garbato in cui Bobo-Pietrangeli – enorme nella sua canottiera bianca – si è espresso, presentandosi, domenica sera: “ma che ci faccio io qui, in questa trasmissione leggerina, che poi non è nemmeno della Rai-Tv?”. Giusta domanda. Che si può anche rigirare. Cosa ha fatto la Rai-Tv nazionale – questa grande scopritrice di talenti che ogni anno scopre, ad anni alterni, per fare il Varietà, Baudo o la Carrà – per scoprire e utilizzare la grande varietà di umori, di energie, di talenti che è uscita da quei difficili anni? – di BENIAMINO PLACIDO
    http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1985/10/15/grandi-varieta-piccole-novita.html
    PER FAVORE FINGETE DI NON SAPER TUTTO
    La Repubblica, 05 marzo 1986 — pagina 25
    sezione: RADIO E TELEVISIONE
    E MENO male che c’ è “Drive in” che qualche volta ci dà una mano. Come ha fatto domenica sera (“Drive in” va in onda – ma lo sanno tutti – la domenica sera alle 20,30 su “Italia 1”). Ma allora è vero che “Drive in” sta migliorando? Direi proprio di sì. Più asciutto, più veloce, più stringato. E più spregiudicato, anche. Domenica sera i ragazzacci di “Drive in” hanno preso in giro niente di meno che Arrigo Levi, che lavora proprio sulla rete accanto. Su “Canale 5”, anch’ esso – come “Italia 1” – proprietà di Berlusconi. Arrigo Levi – hanno osato dire quelli di “Drive in” – è “il più grande monologhista della televisione. Lui non fa le domande. Lui fa le risposte”. Questa frase impertinente ma puntuta mi incoraggia a fare un discorsetto piccolo, accorato (e spero non inutile) su Arrigo Levi e sugli altri grandi giornalisti che lavorano – con grande impegno, e con buoni risultati, qualche volta – per la catena televisiva berlusconiana. Mi riferisco, oltre che a Levi, a Guglielmo Zucconi, che presenta ogni domenica sera il suo “Monitor” alle 22,30 su “Canale 5”, ed a Jas Gawronsky che – sempre su “Canale 5” – presenta ogni mercoledì sera alle 22,30 il suo settimanale scientifico “Big Bang”. Vale per loro, con le opportune varianti, lo stesso discorsetto che sto per fare per Arrigo Levi, se mi regge il coraggio. Perchè coraggio? Perchè si tratta di giornalisti di grande prestigio. Quando li leggiamo, impariamo sempre qualcosa. Nessuno ha voglia di mettersi a fare con loro la parte del Grillo Parlante. Ma perchè quando li seguiamo in televisione qualche volta ci annoiano? PERCHE’ FANNO – O QUANTO MENO HANNO GIA’ IN MENTE – LE RISPOSTE, mentre fanno le domande, come insinuano gli irrispettosi giovanotti di “Drive in”? Per questo e per altro. Come mi è parso di aver capito seguendo con attenzione e con rispetto (lo faccio sempre, quando posso) Arrigo Levi che presentava e festeggiava il 60 numero del suo “Punto 7” domenica sera, pochi minuti dopo che era calato il sipario sulle monellerie di “Drive in”. A “Punto 7” – che va in onda ogni domenica mattina alle 12,20 su “Canale 5”, e viene replicato la stessa sera, sulla stessa rete, alle 23,30, – a “Punto 7”, dicevo, Arrigo Levi aveva l’ altr’ ieri tre personaggi di non comune rilievo fra i tanti che fanno o analizzano la politica: il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giuliano Amato, il senatore cattolico indipendente Pietro Scoppola, e il politologo Giorgio Galli. I tre dovevano parlare della situazione politica attuale, della probabile “verifica”, della eventuale “crisi” di governo: e lo hanno lucidamente fatto, davanti ad una platea di telespettatori fiorentini, presenti in studio. Che cosa non ha funzionato, o ha funzionato poco, in questa puntata di “Punto 7” rendendola qualche volta inspiegabilmente noiosa? Certo, gli “spot” pubblicitari, che l’ hanno come al solito troppo spesso interrotta. Certo, gli interventi dei telespettatori fiorentini in studio, che prima di formulare la domanda recitavano il “fondo” politico articolato e complesso che avevano preparato e mandato a memoria la mattina presto. TUTTO QUESTO, CERTO, MA SOPRATTUTTO ARRIGO LEVI. Non perchè fornisse le risposte alle domande che lui stesso aveva posto (come insinuerebbero quei ragazzacci impertinenti e impenitenti di “Drive in”. Ma sono proprio dei bei mascalzoni, quelli!). No, non solo per questo. Ma anche – e soprattutto – perchè Arrigo Levi fa lo stesso errore che fanno i romanzieri quando si rivelano più intelligenti dei loro personaggi. Imperdonabile errore. Flaubert diceva che il grande narratore deve essere un po’ “bte”. Che non significa: un po’ stupido, un po’ scemo. No, la questione è stata appassionatamente studiata ed è risultata filologicamente un po’ più complessa. Flaubert voleva dire che il grande romanziere dev’ essere un po’ “innocente”. Si deve far sorprendere dai personaggi e dagli avvenimenti che lui stesso ha inventato. Arrigo Levi non si fa mai sorprendere. Si vede, si sente che sapeva già in anticipo tutto quello che sarebbe accaduto in studio, tutto quello che sarebbe stato detto. E se non si sorprende lui, che è il conduttore, perchè dovrei sorprendermi e interessarmi io, che sono un semplice spettatore? Mi sia consentito, dunque, con l’ autorizzazione che mi deriva dalla spregiudicata presa in giro di “Drive in” (se non l’ ho già consumata tutta) di dare un piccolo, piccolissimo suggerimento ad Arrigo Levi. IL SUGGERIMENTO DI FINGERE. Di praticare un po’ di quella saggia, indispensabile “Dissimulazione onesta” che predicavano i trattatisti del Seicento. Di fingere di essere un po’ ingenuo anche lui. Di non aver già capito, di non conoscere già in anticipo ciò che diranno Giuliano Amato, Giorgio Galli, Pietro Scoppola, e i telespettatori di Firenze. E giacchè ci sono (l’ impertinenza ormai l’ ho commessa) rivolgo lo stesso suggerimento – con le opportune varianti – a Guglielmo Zucconi ed a Jas Gawronsky. A Guglielmo Zucconi: perchè non prenda per scontato ciò che sta per accadere nella sua stessa trasmissione. A Jas Gawronsky: perchè finga – finga per favore – di avere un po’ di interesse (almeno un pochino) per quella scienza che ci presenta a “Big Bang” che pare lo interessi pressappoco quanto interessa a me la tecnica di coltivazione del granturco: cioè, niente. E MONTANELLI? IL CASO DI MONTANELLI E’ DIVERSO. Innanzitutto, per il ruolo. Montanelli “firma” la trasmissione giornalistica “Controcorrente” che va in onda ogni lunedì sera, alle 22,30, su “Italia 1”. Ma non è lui che la presenta. La presenta, con elegante disinvoltura, Paolo Granzotto. In questa trasmissione, Montanelli appare in video solo per pochi minuti; ma come intervistato, non come intervistatore. Per dare la “pagella” al personaggio politico della settimana. Lo fa con la consueta rapidità, con la consueta incisività, con la consueta bravura. E con la consueta drammatica caduta, provocata dall’ intromissione del diavoletto. Sia ben chiaro: al diavolo non ci credo. Ma ai diavoletti, sì. E Montanelli ne ha uno attorno, un perfido diavoletto reazionario, che lo perseguita da tempo, direi da sempre. Lunedì sera, per esempio, Montanelli ha assegnato una bella pagella: 10 con lode a Cory Aquino, che ha sconfitto Marcos, nelle Filippine. Pagella più che opportuna: civile e democratica. In effetti, Indro Montanelli vorrebbe sempre fare un discorso democratico compiuto e coerente. Come noi tutti del resto, che ben sappiamo quanto il discorso conservatore che tante volte ci tenta – il mondo è sempre uguale, non cambia mai niente, gli uomini sono incorreggibili – sia un discorso intellettualmente scadente, persino volgare. Anche lunedì sera Indro Montanelli ci ha provato a fare un discorso compiutamente democratico su Cory Aquino, definendola donna coraggiosa e politicamente avveduta. Poi però il diavoletto ci ha messo la coda e lo ha fatto inciampare tre volte. La prima volta quando gli ha fatto dire: “mai fidarsi delle donne piccole e fragili” (dove si sentiva la voglia di dire: mai fidarsi delle donne, tout court). La seconda volta quando gli ha fatto dire che è difficile abbattere un dittatore, ma è ancora più difficile sostituirlo (come a dire: ma cosa li abbattiamo a fare, i dittatori?). La terza volta quando gli ha strappato il microfono di mano (l’ ho visto io con i miei occhi) e gli ha suggerito di dire: “Marcos era un furfante, come tutti i dittatori, ma forse operava in un Paese che richiede la dittatura”. La cosa straordinaria non è che il diavoletto abbia osato suggerire questa frase. E’ che Montanelli – ubbidiente – l’ ha detta. Così come l’ ho riferita, testuale. L’ ho sentita io, lo giuro, con le mie orecchie. – di BENIAMINO PLACIDO
    http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1986/03/05/per-favore-fingete-di-non-saper-tutto.html
    PANNELLA? RECITA BENE ANZI, TROPPO BENE
    La Repubblica, 28 ottobre 1986 — pagina 29 sezione: TELEVISIONE
    CURIOSA impressione ha destato la partecipazione di Marco Pannella a “Drive in” domenica sera. Non si è trattato della solita partecipazione televisiva, ormai consueta, convenzionale, cui tutti gli uomini politici ci hanno abituato (e si sono abituati). Pannella ha recitato. Ha scambiato battute con D’ Angelo e Greggio; ha costruito scenette (sia pure brevi e sempre finalizzate alla presentazione del caso del Partito Radicale che non si vuole sciogliere, e forse deve) con Lori del Santo e le altre accattivanti ragazze di “Drive in”. IL FATTO E’ CHE HA RECITATO BENISSIMO. La sua “maschera” è risultata all’ altezza delle nuove grandi “maschere” che “Drive in” (di cui sono uno spettatore abituale, ma non voglio che si sappia) ha presentato quest’ anno: la Monaca, il Vigilante, il Sardo che dice “cappito mi hai?”. Faceva irresistibilmente pensare – Marco Pannella su quel palcoscenico – al “Capitano Fracassa”. Al Sire di Sigognac, protagonista dell’ appassionato romanzo di Thèophile Gauthier – castellano malinconico, spadaccino micidiale – che si unisce alla compagnia di comici girovaghi di passaggio dal suo castello, per amore della bella Isabella. IL GUAIO E’ CHE HA RECITATO BENISSIMO, Marco Pannella. E questo, a parte il suo successo personale e – come dire? – professionale, di domenica sera può aver prodotto – temo – le seguenti conseguenze negative: SE QUESTO PANNELLA RECITA COSI’ BENE, chi mi garantisce che non reciti altrettanto bene quando fa la faccia seria – anzi drammatica -: per la fame nel mondo, per il dilagare della droga, per la crisi delle istituzioni? SE QUESTO PANNELLA RECITA COSI’ BENE, non reciterà (bene) anche quando parla della congiura del silenzio che avrebbero organizzato, del bavaglio che gli avrebbero applicato sulla bocca i grandi mezzi di comunicazione di massa? Altro che silenzio, avranno pensato i comici di “Drive in”. Marco Pannella è qui con noi questa sera (benvenuto! benvenuto!) ma era giovedì sera da Mike Bongiorno, e l’ intero stato maggiore del Partito radicale ha passato buona parte di questo pomeriggio domenicale nella trasmissione di Maurizio Costanzo. Mi sto inventando i pensieri segreti di quelli di “Drive in”? Forse no. C’ è stato, ad un certo punto, il seguente scambio di battute, provocato da Lori del Santo. Domanda: “Lo sai che i radicali si stanno per sciogliere?”. Risposta: “Non sapevo che li avessero legati”. Anche noi, in realtà: non ci risulta che li abbiamo mai legati. SE QUESTO PANNELLA RECITA COSI’ BENE, avranno continuato a pensare quelli (e quelle) di “Drive in”, si capisce la simpatia unanime che lo circonda; si capisce l’ unanime coro di sospiri di rammarico esalati all’ unisono da Piccoli e da Natta, per il temuto scioglimento del Partito radicale. Però noi comici di “Drive in”; noi che siamo le nuove maschere della Commedia dell’ Arte (se ne sono accorti tutti, adesso, persino quel Placido…) noi lo sappiamo bene che per avere il successo unanime a cui tutti i comici legittimamente aspirano non bisogna far politica. Bisogna fare una specie di antipolitica. Giocare su quei temi di innocente satira che trovano – o mettono – facilmente tutti d’ accordo: De Mita parla con accento dialettale, Spadolini è grasso, eccetera. Un po’ come la fame nel mondo (che deve cessare, assolutamente); la decadenza delle istituzioni (che bisogna contrastare); la qualità della vita (che deve, ovviamente, migliorare). Tutti d’ accordo, naturalmente. Ma sui problemi politici più modesti, più vicini? P.S. SEMPRE DOMENICA. Alla prima “Domenica in…” è andato il Presidente della Confindustria Luigi Lucchini. Alla seconda è andato un operaio per contestare alcune delle affermazioni fatte da Lucchini. Alla terza (l’ ultima) è arrivata una lettera dell’ industria presso la quale l’ operaio Mario Varianti lavora, per contestare tutte le affermazioni da lui fatte: in merito alla paga, all’ assistenza sanitaria, alle condizioni di vita nelle fabbriche. Ecco il tipo di realtà, di conflitto, di controversia su cui “Drive in” (comprensibilmente, per motivi di “genere letterario”), e Pannella (meno comprensibilmente: per motivi d’ altro genere) raramente si esprime. – di BENIAMINO PLACIDO
    http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1986/10/28/pannella-recita-bene-anzi-troppo-bene.html
    E’ SICURO A PRIMAVERA L’ AIDS SCOMPARIRA’
    La Repubblica, 06 marzo 1987 — pagina 33 sezione: RADIO E TELEVISIONE
    QUANTE sorprese si trovano al ritorno a casa, dopo qualche giorno o qualche settimana di assenza! (punto esclamativo). Quante sorprese televisive si trovano, quante? (punto interrogativo). Almeno cinque. PRIMA BELLA SORPRESA. Il ritorno al grande varietà di Raimondo Vianello e Sandra Mondaini (“SandraRaimondo Show”, il sabato sera su Canale 5). Come sono diversi questi “vecchi” mat tatori del piccolo schermo dai nuovi (punto interrogativo o esclamativo, a scelta). Ecco, per esempio: all’ inizio di questa stagione televisiva, Raffaella Carrà stabilì pubblicamente di essere “ironica”. Lo disse in tutte le interviste. Lo fece stampare sui biglietti da visita. Sandra Mondaini e Raimondo Vianello non hanno bisogno del biglietto da visita. Sono due signori smaliziati, divertenti, intelligenti. Ironici e autoironici. Nella loro “piccola posta”, sabato sera, si sono fatti dire da un telespettatore immaginario: “siete due vecchi cretinetti”. E ci hanno scherzato sopra amabilmente. Non sono nè vecchi nè cretinetti. Sono bravissimi e civilissimi. Non ci stancheremo di cercarli, ogni sabato sera. E, intanto, grazie. SECONDA BELLA SORPRESA: il ritorno di “Drive In” (la domenica sera, su Italia Uno). Con due nuove e promettenti invenzioni. Il Ministro De Michelis, che sostituisce Spadolini nelle imitazioni di Gianfranco D’ Angelo. E il professor Vermiglione, psicologo-santone, nell’ imitazione di Enzo Greggio. Adesso potranno anche venir giù dalle Gallie altri dodici filosofi francesi – giovani e cretinetti – a difenderlo: ma il professor Vermiglione (psicologo e santone) è sistemato: una volta per sempre. TERZA BELLA SORPRESA. Il ritorno di Enzo Biagi (con “Il Caso”, RaiUno, martedì sera). Ritorno che ci ha fatto piacere per due ragioni. Perchè si è trattato – come sempre con Biagi – di una trasmissione ricca, efficace, a volte drammatica (si parlava di quella ormai famosa sindrome da deficienza immunitaria che si chiama Aids). E poi perchè abbiamo pensato, mentre la seguivamo, con interesse: meno quattro, meno tre, meno due, meno uno: quasi ci siamo. Mino Damato ha fatto la sua trasmissione su l’ Aids. Arrigo Levi ha fatto la sua trasmissione sull’ Aids. Guglielmo Zucconi ha fatto la sua trasmissione sull’ Aids. E anche Biagi adesso ha fatto la sua trasmissione sull’ Aids. Ma sì, quasi ci siamo. Mancano ancora a occhio e croce “La Domenica sportiva” (l’ Aids fra i calciatori) e “Linea verde” trasmissione di agricoltura (l’ Aids fra le piante). E poi avremo terminato. E pensare che ancora tre mesi fa l’ Aids non esisteva in Italia. Nessuno se ne ammalava. Nessuno si suicidava. Nessuno ne parlava. Sia consentito pensare (e temere) che fra qualche mese dell’ Aids non si parlerà più: sostituito da qualche altro argomento (che cosa me lo fa pensare? vedrete). QUARTA BELLA SORPRESA: “Colpire al cuore” di Gianni Amelio (RaiUno, martedì sera). E’ il più bel film che sia stato fatto sul terrorismo, in Italia e altrove. Delicato e avvincente. Con una intelligente intuizione anticipatrice: in questo film sono i figli patologicamente “normali” che sospettano e denunciano i padri per terrorismo. Ma è un film, si dirà. La Rai non ha fatto che trasmetterlo. No, la Rai lo ha anche prodotto. Ai tempi di Paolo Valmarana (un amico che non si riesce a dimenticare). La Rai dovrebbe riprendere a produrre film di questo genere. Anche se non hanno venti milioni di spettatori. Soprattutto se non hanno venti milioni di spettatori. QUINTA BELLA SORPRESA: film in originale, sottotitolati. Si possono vedere su Italia Uno (il lunedì sera: l’ ultima volta “Staying alive”) e su RaiDue (il sabato mattina: domattina “Legittima difesa” di Clouzot). Per carità, non facciamo gli schizzinosi. Non diciamo che “L’ oro del Reno” si può sentire solo a Bayreuth, in tedesco, diretto personalmente da Wagner. E che la Bibbia si deve leggere solo nell’ originale ebraico. Si può apprezzare Wagner anche su dischi, e la Bibbia – per definizione intraducibile – non ha mai smesso di influenzare l’ umanità, anche nelle peggiori traduzioni. Quindi si possono vedere i film anche doppiati. E tuttavia, sentire la voce autentica degli attori è bello. Non foss’ altro perchè di noi stessi possiamo trasformare tutto. Anche la faccia (con la plastica facciale). Ma la voce no (lo sanno bene i mafiosi e le spie). Quella rimane inesorabilmente la stessa. Che cosa sarebbe un film di Alberto Sordi senza la voce di Alberto Sordi? E CHE COSA SAREBBE un telegiornale condotto da Claudio Angelini senza la voce di Claudio Angelini? Una voce sempre compiaciuta e composta, finchè non si parla di premi letterari. Allora quella stessa voce televisiva si fa trepidante. Conviene che cominciamo a trepidare anche noi. La cronaca letteraria (più precisamente: il bollettino della casa editrice Bompiani) annuncia che “aprendo un’ altra parentesi (un’ altra?) nella sua attività al Quirinale e al Telegiornale”, il nostro Angelini ha scritto un altro romanzo (un altro?). Trama. L’ Aids è stato debellato (ve lo dicevo io, prima?) ma per essere sostituito da un nuovo e terribile male “l’ Sdb che colpisce e distrugge coloro che si amano, proprio a livello dei sentimenti” (notare la finezza dell’ espressione: “a livello dei sentimenti”). Contro questo male parte lancia in resta chi? Ma un giornalista, evidentemente. Televisivo, probabilmente che “si preoccupa di salvare l’ umanità” (lo dicevo io che “lassù qualcuno ci ama”, lassù al Telegiornale). Riferisce ancora la cronaca letteraria che questo romanzo uscirà il 13 marzo. Possiamo fare dunque una facile previsione. A partire dal 14, l’ autore – veloce e contagioso come l’ Aids – chiederà alla Rai – per cui lavora – di andare in tutte le trasmissioni-contenitore a presentarlo. E la Rai, che è totalmente priva – in questi casi, in queste cose – delle più elementari difese immunitarie, glielo consentirà. Dunque, in primavera, l’ Aids scomparirà: dalla scena televisiva. Ma per essere sostituito (ve lo dicevo io) da qualcosa di peggio. – di BENIAMINO PLACIDO
    http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1987/03/06/sicuro-primavera-aids-scomparira.html
    MA IN TV ‘LO SCIALO’ E’ A SANGUE FREDDO…
    La Repubblica, 03 maggio 1987 — pagina 25 sezione: RADIO E TELEVISIONE
    QUESTA è una polemica letteraria. Si scansi chi può. Voleranno colpi, e parole grosse. Forse ci sarà un duello (a debita distanza, s’ intende). Ce l’ ho con Giovanni Raboni: a proposito di questo “Scialo”, sceneggiato televisivo in quattro puntate che va in onda su Raidue. Mercoledì e giovedì sera abbiamo visto le prime due puntate. Il poeta – e critico e traduttore e acuto osservatore (anche di televisione) – Giovanni Raboni ha sostenuto (l’ “Europeo”, 4 aprile) che l’ omonimo romanzo, dal quale il lavoro televisivo è tratto, è il migliore di quanti ne abbia scritti Vasco Pratolini. E TUTTO QUESTO SOLO PERCH la critica letteraria ha sempre detto il contrario, fin dall’ apparizione del libro (1960): definendolo macchinoso, faticoso, prolisso. Ma da qualche tempo Giovanni Raboni si è messo in testa di dire sempre e soltanto cose “originali”. E quindi: “Lo Scialo mi sembra il più bel romanzo di Vasco Pratolini, e in assoluto un risultato di grande rilievo nell’ ambito della narrativa italiana degli ultimi decenni”. NON VERO. Intendo dire: non è vero che Raboni lo pensi sul serio. Tant’ è vero che non è vero che non più tardi di qualche mese fa (ottobre 1986) abbiamo trovato – allegato all’ “Europeo” – un divertente volumetto dal titolo “I centi romanzi italiani del Novecento”. A cura dello stesso Giovanni Raboni. Il quale fra i cento romanzi importanti del Novecento italiano ne indica (mi pare giusto) anche uno di Pratolini. Ma non è “Lo Scialo”. E’ “Il Quartiere”: come dicono anche gli altri critici letterari, meno periodicamente “originali” di Raboni. IL QUALE INSISTE. Rivendica nell’ ultimo “Europeo” in edicola (n. 19) il merito di aver scoperto “Drive in”. Ed ha ragione. Gliene sono grato. Devo a Raboni (anche a Raboni) se ho imparato ad apprezzare “Drive in” e che se anche stasera, come ogni domenica sera, lo cercherò: (su Italia 1, alle 20,30). Ma Raboni non ci sarà. Perchè, ha dichiarato: “come succede talvolta ai precursori, il mio interesse s’ è nel frattempo alquanto affievolito”. BISOGNA PROPRIO CONVENIRNE: questo è il massimo dell’ originalità. Purtroppo è anche il minimo (dell’ originalità, sempre). E’ l’ “originalità” facile, che consiste nel farsi piacere le cose che non piacciono agli altri, quando non piacciono agli altri. Se Raboni sapesse quanto lo apprezziamo, da queste parti; quanto lo ammiriamo (siamo in tanti) allorquando “si limita” a dispiegare la sua intelligenza critica pacata, elegante, penetrante, ci risparmierebbe (si risparmierebbe) qualcuna almeno di queste estemporanee “originalità”. FINE DELLA POLEMICA. E inizio della riflessione critica su “Lo Scialo”. Che non è il più bel romanzo di Pratolini. E’ il più lungo. I due volumi mondadoriani che ho tirato giù dagli scaffali (il romanzo sta per riapparire negli “Oscar”) danno un ammontare complessivo (705+638) di 1343 pagine. E’ il più ingombro di fatti e di personaggi. Contiene un bel pezzo di storia italiana, a cominciare dai primi decenni del secolo: con gli anarchici, i socialisti, i benpensanti, i fascisti. Baroni fiorentini e contadini toscani. Famiglie contrapposte e intrecciate (i Vegni, i Corsini). Uomini trepidanti e donne capricciose. Una poi Ninì, interpretata da una stupenda Marisa Berenson, capricciosissima. Anzi quasi protofemminista, nel suo praticare (più che predicare) l’ indipendenza anche sessuale della donna. E’ quello che ha avuto il cammino più travagliato, verso la trascrizione cinematografico-televisiva. Ci avevano messo le mani Valerio Zurlini e Ugo Liberatore, una dozzina d’ anni fa. Poi il povero Zurlini morì. Quindi ci hanno rimesso le mani Franco Rossi (regista) e Ottavio Alessi che hanno portato a termine la fatica. E COM’ , COM’ questo “Scialo” televisivo? Dirò la verità (ci provo sempre). Quando si apre un romanzo di Pratolini – anche questo – ciò che colpisce e piace è la vitalità. Il senso che la vita – anche nelle sue forme socialmente più modeste – pulsa forte. Il sangue urge nelle vene. Accende i sensi. Accende i pensieri. E’ questa vitalità febbrile, formicolante che dà senso al contrapposto fenomeno dello “scialo”, della fatale dispersione e consumazione di tutte le cose, di tutte le vite. Proprio come nei versi di Montale, ai quali il titolo del romanzo (e dello sceneggiato televisivo) si ispira: “La vita è questo scialo / di triti fatti, vano / più che crudele. / E la vita è crudele più che vana”. Bisogna che ci sia, come nella poesia di Montale, un meriggiare pieno, assolato perchè l’ inevitabile tramonto prenda il suo malinconico senso. Altrimenti che scialo è? Altrimenti tutto diventa sciapo. E CI SIAMO. CIO NO, NON CI SIAMO. Mentre il romanzo di Pratolini è un giardino rigoglioso, popolato di animali a sangue caldo, lo “Scialo” televisivo di Zurlini-Rossi, ecc. è – o mi sembra – popolato di animali a sangue freddo. Anche se la sceneggiatura è impeccabile; il dialogo accettabile; la scenografia accurata; la fotografia perfetta. Anche se sono dei bellissimi “animali” – benchè a sangue freddo – tutti gli attori: da Massimo Ranieri a Eleonora Giorgi e Marisa Berenson. Di quest’ ultima (non si è già capito?) mi sono follemente innamorato. Ma nelle prossime due puntate (giovedì 7 e giovedì 14 maggio) lei non sarà più tanto disponibile, purtroppo. E’ andata, di testa. Non sarà più la stessa. Ha avuto un brutto colpo, assistendo ad una spedizione punitiva dei suoi amici fascisti (mi succede sempre così, sono sfortunato). ADESSO ELEONORA GIORGI si offenderà, per questa mia innocente preferenza. Si rassicuri, signora. Non appena Raboni se ne accorgerà, dirà che la vera rivelazione – come attrice, come donna – di questo “Scialo” televisivo è lei, non la Berenson. E lei ci guadagna, mi creda. Perchè Raboni ha anche una sua originale prestanza. E’ barbuto e bello. Fine del duello. – di BENIAMINO PLACIDO
    http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1987/05/03/ma-in-tv-lo-scialo-sangue.html

  6. Accidenti che batteria!
    Ma non potevano evidenziare e inviare solo alcuni pezzi?? Non è difficile da fare… ;-/

  7. Se avessi saputo che per fare una scorpacciata di Beniamino Placido bastava rivolgersi all’ufficio stampa di Striscia la notizia l’ avrei fatto molto prima. Anche se preferirei lo facessero su un loro sito o blog, invece di prendersi tanto spazio su quello degli altri.

  8. Beh, sì, gli ci vorranno chili di buon anti-acido.
    No, Non ci credo… è ridicolo, è come un bambino incazzato che rovescia tutto per terra!

  9. se avessero affrontato il potere vero con questa puntigliosità(magari lavorando un po di sottrazione,certo) forse le cose non sarebbero andate così in merda.Peccato

  10. Dunque, Beniamino Placido sembra dire che “si è affezionato a Drive in lentamente ma stabilmente”.
    A leggerla così sembra un’ affermazione generale, e non riferita ad un episodio specifico.
    Dice anche che “di tutti gli spettacoli di varietà sulla scena è indubbiamente il più sperimentale… e anche il più spericolato: una sventagliata di battute…”. A quanto pare anche questi sono enunciati come meriti.
    La mia personale preferenza andava a “Quelli della notte”, ma se Beniamino Placido si unisce al parere consolidato del nostro massimo critico televisivo, Aldo Grasso, forse bisogna tenerne conto senza fare gli struzzi.
    In fondo per tenerne conto basta disgiungere il lato estetico dal resto. Non so perchè ma a molti questa operazione sembra dare l’ orticaria.

  11. Uaaaaaaaaaaaahahahahahah
    E’ la prima volta che Stricia la Notzia e Drive in mi fan ridere di gusto!
    Adesso pulisco i vetri dalle manate dell’arrampicata selvaggia… del resto c’è un bel sole oggi, giornata ideale!

  12. in questo thread, però, forse sarebbe più appropriato fare un confronto tra lo stile ‘critico’ di Placido e quello di Grasso, se mai. E per quanto mi riguarda vince l’ironia moderata di Placido. Anche se ogni tanto Grasso ha qualche buona uscita. Poi è un patito di “The Wire”, già membro dei “Wireists Anonymous”, con Nick Hornby e tanti altri.

  13. Non per una superficiale connessione causa-effetto, ma perché a mio personalissimo giudizio si accostano, commentandoli, a tutti gli interventi di Beniamino Placido qui citati, riporto due paragrafi di un articolo di Barbara Spinelli che ho trovato su Repubblica oggi. Nemmeno per dire che “è tutta colpa di Drive In”. E’ che è andata e sta andando così, e oggi io sono portata a leggere quel che succede, e la sua genealogia culturale, diversamente, con meno leggerezza, di come leggeva Placido. Con l’ovvio vantaggio (per così dire) di conoscere quel che è venuto dopo.

    “Ha un suo sogno ridicolo e non sottile, l’uomo Berlusconi, ma c’è del metodo e anche una cinica conoscenza delle cose, nel suo architettare villaggi finti: c’è la rappresentazione di una gioventù scombussolata da lavori senza futuro, e di un’Italia ridanciana, indifferente alle leggi perché dalle leggi non protetta. Un’Italia con la quale Ubu s’identifica, e che s’identifica con Ubu. Basta divenire padrone delle parole e delle leggi, per storcere gli eventi e capovolgerli. Risultato: quello di oggi non è un processo per concussione e minorenni prostituite. È un monumentale processo al desiderio, alla simpatia, alla leggerezza, alle risate. L’ironia, la più eccelsa delle arti, è usata come arma micidiale che sminuzza i fatti e li rende irriconoscibili. Niente mi minaccia, se ci rido sopra. Niente m’insidia, se come Napoleone m’impossesso dei sogni di soldati ed elettori. È il sotterfugio offerto sin dall’inizio dalle sue tv, tramite le quali conquistò le menti e l’etere. Lui ri-crea un mondo ma frantumato, e nel frammento vivi bene perché non vedi il tutto, non connetti i fatti tra loro sicché li scordi presto. Robin Lakoff, denunciando i nuovi demagoghi delle destre americane, parla di agenda dell’ignoranza.
    […]
    Resta la stranezza, il mistero. Perché tanto ridacchiare, alla vigilia del processo Ruby e di altri procedimenti? Quale spettacolo sta mandando in onda, di cui noi non siamo che ignoranti comparse? Quali leggi e stratagemmi inventerà Ubu perché ogni processo si spenga? L’obiettivo è la negazione del reale, ma c’è un più di violenza, c’è una tattica bellica preventiva presa in prestito dallo Spirito dei Tempi. Tutto è annuncio preventivo, prima che il reale si avveri, ne abbiamo conferma proprio in questi giorni nella guerra di Libia: anche qui viviamo eventi senza conoscerli, che paiono escrescenze delle tv commerciali. Ci sono stati certamente massacri, da parte di Gheddafi. Ma quanti e dove? I cronisti dicono che ci sono stati, ma non visti perché mancavano le telecamere. La tv commerciale fa legge, prima ancora che le cose avvengano: “Lo dice la televisione”, e performativamente il fatto esiste. In un blog intitolato Una Storia Noiosa 1 leggo: “Il fact finding/checking viene sostituito da immagini che non esistono, ma che se esistessero testimonierebbero indubitabilmente la realtà di questi fatti, di cui peraltro il giornalista non è testimone diretto. Vertiginoso. Nasce il genere del “reportage preventivo”. Non so dire se siamo al funerale dell’immagine o al suo trionfo: l’immagine può permettersi di non esistere fisicamente, tanto tutti diamo per buono che rappresenterebbe fedelmente quella che già sappiamo essere la realtà”.”
    http://www.repubblica.it/politica/2011/04/06/news/operazione_banalit-14556686/?ref=HRER3-1

  14. A parte la ‘quantità’ dell’ufficio stampa di Striscia…
    La critica ironica e chirurgica di Placido manca in questo periodo buio della storia socio-politica e culturale italiana e mancano anche la sua ‘ingenuità’ e il suo candore da osservatore: trovo stupendo il sottolineare la pubblicità fatta dai presentatori… Oggi è la regola.
    Beniamino Placido aveva la capacità di accostare il trash televisivo quotidiano alla (ri)lettura dei classici (cinematografici e letterari) – mettendo in risalto lo squallore del primo – senza mai essere inutilmente distruttivo o sgarbato.
    Altro che gli ‘intellettuali’ faine che si aggirano nei pollai televisivi di questa nostra televisione che spegne cervelli!

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