A proposito di stereotipi. C’è un libro da procurarsi, e che smonta l’idea degli italiani buonissimi e intimamente distanti dalle politiche fasciste e soprattutto dalle leggi razziali. Si chiama “Il cattivo tedesco e il bravo italiano” e lo ha scritto Filippo Focardi per Laterza. Ieri, su Repubblica, Nello Ajello lo ha recensito così:
L’umanità dei nostri connazionali – benché fascisti – e la bruta violenza degli scherani di Hitler: assoluzione da un lato, demonizzazione dall’altro. È questo stereotipo, legato alla seconda guerra mondiale, che lo storico Filippo Focardi affronta nel libro che ha firmato per Laterza,Il cattivo tedesco e il bravo italiano.
Una simile generalizzazione – che pure contiene “un forte nucleo di verità” – è servita a rimuovere tante nostre colpe. Un elenco nel quale figurano i crimini dell’imperialismo fascista, la guerra di aggressione contro le “potenze democratiche”, la persecuzione antisemita (non sempre, si precisa, “imposta da Berlino”) e le violenze commesse ai danni di “nazioni inermi” sottomesse all’Asse. Al seguito del proprio assunto l’autore percorre ampi sentieri del Novecento, dagli anni Trenta e Quaranta, esaminando i commenti di osservatori ed esponenti politici non soltanto italiani. A partire dal giudizio emesso da Winston Churchill nel dicembre 1940: l’entrata in guerra dell’Italia fu l’errore di un “uomo solo”, Mussolini.
A questo autorevole precedente si collega, in gran parte, quella distinzione fra italiani e fascismo che ispirerà l’Intelligence e il giornalismo anglosassone: si ricordino, ad esempio, le trasmissioni-radio del “colonnello Stevens”, cui qui da noi arrise durante il conflitto un notevole, quanto clandestino, ascolto. Non meno recise erano le perorazioni propagandistiche che rivolgeva agli italiani, dalla stessa Radio Londra, l’antifascista esule Umberto Calosso.
La requisitoria di Focardi è severa. L’itinerario che egli compie, in cerca di testimonianze, fra discorsi, giornali e riviste, rende vivaci molte pagine del libro, salvandole dalle strettoie di una ricerca accademica. Spicca, tra i personaggi evocati, quel Benedetto Croce che richiamò l’attenzione dei vincitori sull’avversione dei suoi connazionali al regime littorio, e alla «guerra empia accanto alla Germania». Un’oratoria più colorita adoperava Carlo Sforza, nel riferirsi alla «vera Italia silente sotto la pazzesca imbavagliatura del fascismo».
A una visione della Resistenza come “lavacro” di ogni indegnità pregressa si è poi attenuta la sinistra nostrana. Esemplari, in campo azionista, furono Piero Calamandrei – che, nel giudicare
impensabile, anche in futuro, la cessazione dell’ostilità mentale fra italiani e tedeschi – definì questi ultimi «Unni calati dai paesi della barbarie», mentre Francesco Flora li qualificava «biechi figlioli d’Arminio e del Barbarossa». Assai più attento di quanti non fossero gli esponenti del partito d’Azione, al tema della “riconquista”, in un domani, dei fascisti pentiti, Palmiro Togliatti si era richiamato fin dal 1942, dai microfoni di Radio Mosca, alle tradizioni di libertà del Risorgimento – da Mazzini a Garibaldi – invitando il popolo italiano, a partire dagli “ufficiali del regio esercito” a «rivoltarsi contro Mussolini, a chiedere la pace, a porre fine alle angherie tedesche».
L’evocazione del Risorgimento sarà poi assai invasiva nella propaganda del Pci, sulle ali di un patriottismo giudicato di sicuro impatto popolare.
Gli antifascisti di destra come Croce, dunque, e quelli di sinistra. A queste categorie, Focardi ne aggiunge una terza: quella degli anti-antifascisti, assai diffusa, nel nostro dopoguerra, fra i conservatori. A capo della consorteria, che farà numerosi proseliti fra gli adepti – illustri e meno illustri – del “revisionismo”, viene eletto Indro Montanelli. Fu lui a inventare l’espressione «il buonuomo Mussolini». (è questo il titolo di un suo saggio del ’47), nella quale si compendiava il senso di una dittatura «all’acqua di rose, roboante ma non crudele », a differenza di quella nazista. Un’invenzione che sarebbe stata adottata con fortuna da certi rotocalchi a forte tiratura.
Sono le varie facce dei quella nostra supposta innocenza storica, che Focardi giudica «un mito autogratificante e consolatorio ». E perciò da rimuovere. Ma forse, a differenza che in Germania, un’elaborazione meno illusoria del nostro passato non sembra, a molti, né opportuna né utile.
Sì, questa è una storia che in Italia si racconta poco. C’è stato un meccanismo di rimozione da una parte, di interramento della verità dall’altra. Venni ad impattare con questi temi vedendo un vecchio film di Zurlini, “Le soldatesse”, che raccontava le sciagurate azioni delle camicie nere nei Balcani. Ma l’immagine che ha vinto (anche grazie a Montanelli?) è quella di “Mediterraneo”.
Purtroppo quando il mito incontra la realtà, solitamente vince il mito. E sarà difficile scardinare le menzogne e disseppellire un racconto storico più vicino al vero.
Noi Italiani manchiamo di nerbo, nel bene e nel male. Però la faccenda del cattivo tedesco e del buon italiano non mi convince per niente. La differenza non è quella, ma è che noi siamo più furbi, nel senso deteriore del termine, siamo in grado di fare buon viso anche al gioco più cattivo possibile, guerra compresa. Non abbiamo nerbo nè identità omogenea, dunque qualche furbastro ha avuto buon gioco a farci amare modelli come il nazismo tedesco o il comunismo sovietico. Nessun paese europeo ci è cascato così tanto dentro gli estremismi, come noi. Ma non ci appertengono. E non siamo nemmeno capaci di essere anti-fascisti o anti-comunisti per davvero. L’italiano medio non c’entra niente con tali ideologie, però, se conviene, se fa comodo, se fa fico…
Siamo pure diventati europeisti, noi che come indole assomigliamo molto di più a chi vive sulle sponde del Mediterraneo, quella meridionale più che altro. Per effetto trascinamento siamo in Europa. Scimmiottiamo e ci lasciamo sodomizzare da chi è veramente europeo e ha nerbo sul serio. La storia si ripete.
“A capo della consorteria, che farà numerosi proseliti fra gli adepti – illustri e meno illustri – del “revisionismo”, viene eletto Indro Montanelli. Fu lui a inventare l’espressione «il buonuomo Mussolini». (è questo il titolo di un suo saggio del ’47), nella quale si compendiava il senso di una dittatura «all’acqua di rose, roboante ma non crudele », a differenza di quella nazista. Un’invenzione che sarebbe stata adottata con fortuna da certi rotocalchi a forte tiratura.”
Su questi argomenti: un bell’articolo (pdf da scaricare) dello storico Mimmo Franzinelli
http://www.mimmofranzinelli.it/tool/home.php?s=0,1,55,57,102
L’anonimo qui sopra sono io
Segnalo il libro di Barbara Raggi, che racconta nel dettaglio e con dati alla mano, l’allegro rientro di tutti gli accademici che fiancheggiarono le leggi razziali e le aiutarono nella loro pratica universitaria, poco dopo la fine della guerra. Il libro si chiama “Baroni di razza” ed è uscito con editori riuniti. Dice molte cose sull’autoctona vocazione al fascismo de noantro – per conto mio.
Mi permetto di ricordare anche i libri di Angelo Del Boca, dove si sfata il mito dell’Italia colonialista “morbida” e umana, ad esempio “Italiani, brava gente?” http://www.neripozza.it/collane_dett.php?id_coll=4&id_lib=471
Il mito degli “italiani brava gente” potremmo provare a raccontarlo a quelli di cui non sapremo mai il numero, i fantasmi che hanno concluso in fondo al mare il loro viaggio verso la speranza su gommoni che molti invitavano a prendere a cannonate o, più bonariamente, ad andarsene “foera di ball”. Oppure a quell’indiano dato alle fiamme ad Anzio, un paio d’anni fa, di cui più nulla si è saputo svanita l’emozione della notizia. O anche ai braccianti braccati a Rosarno dai camorristi e da una popolazione intera. Potremmo provare a raccontarla, questa favola, ai rom di quel campo assaltato di notte a Napoli con le bombe incendiarie, o anche a parecchi nostri connazionali: quei bimbi che il sindaco di Adro lascia fuori dalla mensa scolastica perché i genitori non hanno i soldi per pagarla, per esempio. Al fantasma del ragazzo suicidatosi forse perché gay, ma anche no, come si sbracciano a segnalare i suoi compagni di classe e i suoi insegnanti. Raccontiamola alla ragazzina coperta di insulti invidiosi su FB perché ha vinto un viaggio per conoscere il suo gruppo rock preferito. O magari a tutti quei gay che devono vivere se stessi in silenzio per sfuggire a bullismo e a discriminazione. Raccontiamocela tra noi, che forse è meglio. Magari qualcuno qui ci crede ancora. Tutti quelli di cui abbiamo detto sopra, non credo proprio.
tendenzialmente il pragmatismo è l’origine del marcio. E sto pensando come esempio a quando gli Usa presero le distanze da Trotsky che denunciava gli orrori di Stalin perché in quel frangente conveniva avere quest’ultimo buon alleato in quanto occorreva arginare la follia del mostro sanguinario di Berlino
io per esempio sono dovuta venire in Olanda per apprendere quanto le nostre eroiche guerre coloniali fossero andate avanti a forza di gas nervino e altre piacevolezze non contemplate dalla convenzione di Ginevra. Quanluno in Italia ne ha mai letto in qualche testo scolastico di storia?
un’ altra cosa che ho notato è quanto si conosca, si mandi in TV, si veda, un film come “Una giornata particolare” qui, e quanto poco in Italia. Solo per i due idoli del pubblico olandese Loren e Mastroianni, o anche perché l’ immagine degli italiani che escono in massa di casa per andare alla parata di Mussolini e Hitler a Roma, e con quanta gioia e soddisfazione ci vanno e con quanta delusione restano a casa se non possono, è quella che in fondo è passata oltre le Alpi? istruttivo a questo proposito sarebbe leggersi Alameni di Caccia Dominioni, o Le memorie di un fuoruscito di Salvemini.
Lo si racconta poco, non è che non lo si racconti. In realtà il “poco” non è dovuto allo scarso lavoro di storici e autori di manuali, quanto alla forza dello stereotipo “italiani brava gente”.
Lo racconta benissimo Renato Sarti nel suo lavoro teatrale “Mai morti”, che su youtube è presente sia recitato dall’autore, sia nella recitazione (straordinaria) di Bebo Storti (di ambedue le versioni s’è perso qualcosa, nello spezzettamento in puntate, ma con un po’ di buona volontà, saltando dall’una all’altra, lo si vede per intero). Non è un caso che questo lavoro teatrale sia stato oggetto di aggressioni, riuscite o sventate, da parte dei fascisti: che se la vendono come fascisti del terzo millennio, ma alla prova dei fatti dimostrano che esiste un solo e unico fascismo.
Grazie Girolamo, me lo vado a cercare.
Concordo con Girolamo: non avevi nessun bisogno di andartene fino ad Amestardam, se non altro perché, per esempio, i libri di Del Boca sul colonialismo li ha editati mondadori, non esattamente un editore di nicchia. E sì qualcosa c’è anche sui manuali che, tuttavia, non ce la fanno ad esaurire l’esauribile. A noi italiani ci è piaciuto moltissimo avere un alleato così cattivo su cui scaricare tutte le responsabilità. Del resto lo stesso hanno fatto i polacchi, i lituani e una serie di paesi la cui storia è rimossa. Sarà una deformazione professionale però la responsabilità della stereopizzazione del buon italiano è più di matrice giornalista che storica. Gli storici il loro mestiere lo hanno fatto per bene. Montanelli ha santificato Mussolini e il buon italiano, la sinistra ha messo sull’altare Montanelli dimentica di come negli anni Cinquanta giocasse al golpe sulle pagine del Borghese e a casa dell’ambasciatrice Luce.
Parliamo di quel Montanelli che negò l’uso italiano del gas in Africa, per poi uscirsene candido con un “mi sono sbagliato” messo di fronte a schiaccianti evidenze?