GLI STANDARD DI COMUNITA': CENSURARE RACCONTI SU FACEBOOK.

Facebook si può usare in molti modi, naturalmente. Per tenere un diario di bordo della propria vita e della propria attività lavorativa, per costruire un album dei ricordi, per fermare il tempo o per ignorarlo, per rintracciare vecchi amici o spiare le vite degli altri. Per i gattini e per i meme con frasi toccanti, e in genere false, attribuite a Jim Morrison. Per sfogarsi. Per crearsi nemici. Per vendicarsi dei presunti nemici. Per farsi consolare. Per consolare. Per niente di tutto questo. Per scrivere.
Conosco molti scrittori che usano Facebook come un quaderno di appunti, come sperimentazione narrativa. Alcuni di questi, peraltro, da Facebook sono stati chiamati per raccogliere in libro quello che hanno scritto, e non c’è male alcuno. Ma la domanda, a questo punto, riguarda il contenuto di quella narrazione. Perché se sono quadretti di vita, storielle amabili e candide, o lacrimose, o altro, va tutto bene. Quando si sperimenta qualcosa d’altro, non con l’idea di farne un libro, ma per puro piacere di narrazione, cala la mannaia.
In particolare è calata su Giovanni Arduino, che come molti sanno è mio socio di scrittura in due libri, oltre che amico carissimo (e, al solito, tocca ribadire che si è amici perché ci si stima, e non viceversa, e già doverlo precisare ogni volta per evitare il controstatus malevolo è esasperante: ma questo viviamo, e pazienza). Giovanni scrive raccontini, con cadenza non regolare. Raccontini visionari, poetici, sanguinosi, crudeli, anche. Dolcemente crudeli. Il filone non è nuovo. Nel 1981, per dire, Max Aub scrisse Delitti esemplari, e non mi sembra che sia stata invocata la censura come nel caso dei racconti di Giovanni, segnalati dal solito miserabile ignoto in quanto “inadatti a Facebook”. Uno in particolare è stato censurato. Questo:
“Eleonora cominciò a tagliarsi non appena lui se ne andò, un colpo di bisturi al giorno, dal basso verso l’alto, dalle dita dei piedi alle caviglie, dai polpacci alle ginocchia, dalle cosce alle anche, dalla pancia al seno, dalle spalle al collo, e quando al terzo mese raggiunse le guance, di lei non era rimasto più molto da tagliare”.
L’autolesionismo non si può raccontare? Davvero? Ne ho letti tanti, di racconti sull’autolesionismo, su carta, senza che nessuno si attaccasse alle tende. Dipende, sempre, da come racconti e cosa racconti. Tanto per preservare memoria, qui sotto ripropongo anche alcuni degli altri racconti di Giovanni pubblicati in aprile. Sottolineando che Facebook ospita quotidianamente minacce di stupro, minacce di morte, insulti alle donne, cachinni contro le femministe bigotte, volontà di sodomizzare le suddette femministe con una Barbie (è capitato a me, presente!). E inoltre: fotografie di bambini ammazzati, scherno collettivo di ragazzine incontrate per caso, gruppi interi di cosiddetto black humour che fanno scempio di chiunque capiti a tiro, profili di odiatori di donne, profili fascisti, profili razzisti, eccetera. Che continuano indisturbati in quella che non è narrativa: è, nella loro testa, realtà. E se vengono segnalati, Facebook risponde sollecito che quanto sopra rientra nei propri standard di comunità.
“Da mesi Federica si alza con la certezza che qualcuno le sia penetrato in camera. I genitori le assicurano di no, ma lei si sveglia alle quattro del mattino zuppa di sudore con i crampi al basso ventre e tanti lividi blu sulle cosce, segni non di mani ma più lunghi e sottili, come di funi o tentacoli. Non li ha mai mostrati a papà e mamma. Se ci provasse, ha paura che il visitatore delle quattro, lei l’ha soprannominato così, non si limiterebbe più a fare qualsiasi cosa faccia, ma forse la ucciderebbe. Così Federica si addormenta ogni sera, la testa affondata nel cuscino e Lana Del Rey nelle cuffiette, serrando gli occhi e in parte sperando che prima o poi il visitatore delle quattro smetta di fare qualsiasi cosa faccia, che sparisca come qualsiasi suo altro incubo da tredicenne”.
“Il cuore di Daniela era una bomba a mano carica di odio. Infilò le dita tra le costole, affondandole nella carne, se lo strappò via e lo gettò contro quelli che le avevano fatto del male, disintegrandoli, polverizzandoli. Solo dopo crollò a terra, gli occhi che le brillavano felici, tanto felici”.
“Cristina continuò a guardare il tramonto. Non aveva mai visto colori simili. Il viola era intenso, stupendo. Sembrava vivo. Una volta lo avrebbe fotografato con l’iPhone. Una volta, non adesso. La faccia le bruciava, la pelle a sollevarsi in tante vesciche, ma non ci fece caso, restò immobile e non chiese aiuto. Non che avesse scelta. Ormai era rimasta da sola. Respirò a fondo con i polmoni doloranti mentre, in lontananza, una seconda bomba illuminava un cielo radioattivo”.
“”Dai, smettiamola di litigare. Facciamo la pace. Forza, un bel sorriso.”
Beatrice gli avvicinò il capo al collo, allargò allargò allargò la bocca, poi la richiuse di scatto e con un morso gli recise la giugulare.
“Pace fatta”, tornò a sorridergli ancora più smagliante.”
“Adele, mentre fuggiva dall’ombra nera nera nella notte buia buia, cercò di scavalcare un cancello e finì impalata sulla cima. L’ombra nera nera si fermò a guardarla dimenarsi, sfoderò denti brillanti da cane nella notte buia buia e iniziò a lappare il sangue che colava dalle punte di ferro arrugginito.
Da bambina ce l’avrei fatta, gorgogliò Adele prima di arrendersi al nulla e al rumore melmoso della lingua contro il cancello. Non vide l’ombra nera nera svanire nella notte buia buia come se non ci fosse mai stata.
Anzi, in realtà non c’era mai stata davvero.”
“Chiara solleva le palpebre, vede i corvi e vede la chiave.
“Apri la porta! Apri la porta nascosta dai fiori!” gracchiano i corvi.
Chiara obbedisce. Al di là della porta, una stanza d’ospedale con una vecchia rattrappita su un letto e una flebo attaccata a un braccio. Un acchiappasogni penzola dal muro bianco.
“Sei tu! Sei tu adesso! Proprio adesso!” riprendono i corvi.
Chiara capisce. Gli occhi le pizzicano. L’acchiappasogni l’ha catturata e portata lì. Fissa la vecchia magra, così magra, e si chiede: tra quanto non esisterò più? Tra quanto sparirò dal mio cervello da vecchia? Quel cervello che sogna me da giovane per consolarsi? Per dimenticare una malattia che divora e annulla?
Chiara non lo sa e aspetta. Una lacrima le riga la faccia. I corvi continuano a gracchiare.”
“Piera odia tutto. Piera odia tutti. Piera è sicura che nessuno la noterà anche se ha una maschera da coniglio. Piera sa che in questa domenica di festa ci saranno un sacco di conigli, di conigli e di uova pitturate. Piera ha tanto ma tanto esplosivo al plastico sotto il vestitino da bimba. Piera mormora un lungo buuuuum avvicinando l’indice al detonatore. Piera ha tredici anni e non ne avrà mai quattordici.”

4 pensieri su “GLI STANDARD DI COMUNITA': CENSURARE RACCONTI SU FACEBOOK.

  1. Grazie, che grande sensibilità che coraggiosa acutezza ! Giovanni Arduino non gira la testa, non chiude gli occhi. Ma ascolta e guarda e ci racconta l’oscurità, il dolore, il terrore, la solitudine di donne in tutti i tempi delle loro vite.

  2. Grazie, che grande sensibilità che coraggiosa acutezza ! Giovanni Arduino non gira la testa, non chiude gli occhi. Ma ascolta e guarda e ci racconta l’oscurità, il dolore, il terrore, la solitudine di donne in tutti i tempi delle loro vite. Forse è troppo scabrosa questa visione del femminile crudamente affettuosa?

  3. Perché meravigliarsi di cotanta censura? Non è la stessa che si acanisce su certe opere d’arte “tralasciando” bellamente certo “trash” estremo? La differenza sta proprio nel fatto che l’arte disturba, il trash rassicura.

  4. Perché meravigliarsi di cotanta censura? Non è la stessa che si accanisce su certe opere d’arte “tralasciando” bellamente certo “trash” estremo? La differenza sta proprio nel fatto che l’arte disturba, il trash rassicura.

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