Anche oggi in corsa, rimedio con la recensione, uscita a ottobre su Linus, de Gli uomini di Sandra Newman.
Cosa accadrebbe se tutte le donne, o tutti gli uomini, sparissero? Se insomma rimanesse sulla terra un solo genere sessuale? Ci sarebbe sollievo o rimpianto? E come si prefigurerebbe il futuro? Nel 2017, Stephen King immaginò che fossero le donne a finire in un’altra dimensione: Era in Sleeping Beauties, King scritto con il figlio Owen. Per la cronaca, fu uno dei casi in cui lo scrittore venne attaccato da centinaia di lettori, e di critici, con l’accusa di aver abdicato al politicamente corretto o di essersi trasformato in “suffragetta invasata”.
Si trattava ovviamente di una distopia: a Dooling, West Virginia, nel carcere femminile arriva una nuova ospite, Evie Black, un sorriso terribile e allegro come quello del demone Randall Flagg ne L’ombra dello scorpione, lunghi capelli, una conoscenza del mondo ancora più lunga. Con la venuta della Prima Donna e del suo corteo di falene, tutte le sue discendenti si addormentano di un sonno non umano. Quando cedono (e molte resisteranno disperatamente) e abbassano le palpebre, filamenti bianchi escono dai loro corpi e le chiudono in un bozzolo. Svegliarle comporta la morte per chi si azzarda a farlo. Alcuni, sulla spinta degli inevitabili gruppi Facebook complottisti, decidono che è meglio bruciarle.
Ma come sarebbe un mondo senza donne? E quale altro mondo potrebbero creare le donne stesse se attraverso il sonno giungessero in una sorta di Gilania, l’arcana società neolitica che precedeva il patriarcato e dove l’uguaglianza fra i sessi era normalità? Gilania, qui, si chiama il Nostro Posto, e vi si accede nel sonno, guidate da animali sacri (una tigre bianca, un serpente rosso, un pavone e una volpe che fa da tramite impersonando una delle voci narranti) e attraverso un Albero Madre. Le donne che vi giungono, tutte giustamente imperfette, hanno la possibilità di farne non un Eden, ma un luogo migliore del mondo che si sono lasciate alle spalle e dove si spara, si picchia, si uccide. Un mondo senza uomini, ma non perché ai maschi appartenga la colpa originale, sembra sottintendere King: perché, semmai, l’organizzazione sociale che si sono dati nei millenni non prevede alternative a quella patriarcale. Occorrerà una scelta, da parte delle belle addormentate: restare o tornare dai propri figli e compagni, che spesso sono generosi ed empatici, come lo psichiatra del carcere Clint Norcross, marito della sceriffa Lila, e altre volte sono troppo ossessionati dal possesso per non essere violenti, come il quasi-antagonista Frank Geary? Su quella scelta non potrà intervenire neanche la Prima Donna, quella Evie che, come tutte le divinità, giunge in una città tranquilla per portare scompiglio: la scelta si fonda sull’amore e sulla speranza, ed è di questo, non di guerra fra i sessi, che King ha sempre parlato.
Oggi Sandra Newman ripropone una distopia molto simile in Gli uomini (Ponte alle Grazie, traduzione di Claudia Durastanti). Newman, già autrice del bellissimo I cieli, immagina che in un tardo pomeriggio tutti i maschi spariscano, inclusi i bambini, persino i feti nel ventre delle madri. All’inizio, frammisto al dolore, c’è un vergognoso sollievo: “Le voci dei maschi da vivi, aspre e profonde. Il suono di un uomo dall’altra parte della casa. Suoni mascolini sullo sfondo, dimentichi di sé. Tutto via. (…) Non ci sono abbastanza donne in questo comitato. Un altro consiglio di amministrazione senza donne. I diritti dei maschi: tutto via. (…) La messinscena della ragazza. Che fa una voce da bambina. Che indossa scarpe rasoterra per assicurarsi che lui sia più alto. La sensazione soffocata di sentirsi parlare sopra. Un uomo che usa il falsetto per prenderti in giro. (…) Lui che inizia a far paura. Lui che prende a pugni il muro. Testa bassa e lascia che passi. Ti vergogni di averlo provocato. Tutto via”.
La società si riorganizza: ci sono centri di raccolta e di primo soccorso, di pulizia e di riattivazione dei servizi. Accadeva, come ha ricordato Newman, nella fantascienza scritta fra gli anni Settanta e gli anni Ottanta: “Un tempo”, ha scritto su The Guardian, “era così popolare da essere quasi sinonimo di fantascienza femminista. Nel 1995, quando l’Otherwise Award, un premio letterario per “opere di fantascienza o fantasy che espandono o esplorano la comprensione del genere”, assegnò cinque premi retrospettivi, quattro delle opere erano ambientate in tali mondi: Motherlines e Walk to the End of the World di Suzy McKee Charnas. The Female Man e When It Changed di Joanna Russ. Il quinto è stato La mano sinistra delle tenebre di Ursula K Le Guin”. E in mezzo ci fu il racconto di Alice Sheldon/James Tiptree jr del 1976, Houston, Houston, ci sentite?, dove tre astronauti tornano sulla Terra dopo centinaia di anni, scoprono che i maschi sono tutti i morti e immaginano un mondo dove potranno essere gli idoli, e i predatori, delle donne. Quando le donne stesse li mettono alla prova con dei farmaci disinibitori e constatano le loro fantasie di stupro, li informano che verranno sottoposti ad eutanasia: “Semplicemente non abbiamo strutture per le persone con i vostri problemi emotivi”.
Ma questo dominio femminile, immaginato già da Christine de Pizan nel 1405, pone oggi altre problematiche. Se gli uomini muoiono, o scompaiono nello stesso momento, o vengono uccisi, che tipo di mondo si prefigura?
Infatti, Newman non immagina questo: nell’incrociare i destini delle donne che attraversano il dopo, mette in scena il rimpianto, il dolore, l’amore. Jane Pearson, che avverte la stessa vibrazione delle altre donne nel momento della sparizione, perde il figlio di cinque anni, Benjamin, e il marito Leo, con cui aveva trovato una stabilità dopo un’atroce vicenda in cui era stata indotta a trasformarsi in molestatrice di minorenni. Ji-Won, un’artista solitaria e infelice, perde il suo migliore amico senza il quale si sente perduta perché è l’unico che le ha dimostrato affetto, la giovanissima Blanca si risveglia da una difficile operazione senza il padre, altre sono lacerate dalla perdita di fratelli e figli. Così, una larga parte di loro si ritroverà a guardare misteriosi video dove gli uomini appaiono in marcia in un luogo irreale, sperando di ritrovare i loro. E quando si prospetterà la possibilità di avere una donna alla guida del paese, non è detto che venga colta, non è detto che non si voglia tornare indietro. Insomma, dice Newman, nei fatti quell’utopia femminista che sognava un mondo senza uomini non è rosea come si immaginava allora, fermo restando quel sollievo iniziale relativo a problemi spaventosi. Non il dogma, insomma, ma il dubbio: quello di “presentare al lettore scelte impossibili: tra accettare gli abusi e diventare un mostro altrettanto grande quanto gli abusatori; tra stupro e genocidio”. Sappiamo che il patriarcato non solo non ha mollato la presa, ma è diventato più feroce: ma la strada, sembra dire Newman, deve essere un’altra. Un’altra utopia, non così semplice, neanche in un (bellissimo) romanzo.