Ieri sera su Facebook ho scritto questo:
“Nella vicenda Gozzini/Meloni non è il sessismo a inquietarmi (o non soltanto: non è solo politicamente scorretto dare della vacca e della scrofa a un’antagonista, è vergognoso, e non c’è altro da dire).
In primo luogo, c’è la sorpresa e la tristezza nell’ascoltare uno studioso squisito e i suoi due interlocutori, due intellettuali altrettanto squisiti come Raffaele Palumbo e Giorgio Van Straten, discutere a Controradio come tre amici al bar, o comunque come se i microfoni fossero chiusi.
In secondo luogo, quel che mi turba è il tono: la gomitatina al maschile. Ma sì, siamo tra noi. Purtroppo.
Quel che mi turba ancor di più è vederli caduti in quel vortice che proprio un certo tipo di politica, come quella perseguita dall’oggetto del discorso, ha incrementato. Parlacomemangi. Offendi. Denigra.
E non perché i discorsi dei politici dovrebbero essere alati come quelli di Aldo Moro. Pertini, per dire, colpiva la pancia: ma sempre avendo presente il peso della parola pubblica.
Lo ripeto: il peso della parola pubblica.
Che è indispensabile mantenere, sempre, in una radio o qui sopra, ed è cosa che a quanto pare sfugge da tutte le parti, nelle gomitate al maschile e anche nelle risate maligne al femminile quando si tratta di commentare la chirurgia estetica sbagliata di un’altra (appena letto, sulla bacheca di una scrittrice, peraltro, che le parole dovrebbe saperle usare).
Io mi intristisco come non mai in questi casi. Perdere consapevolezza, credere di poter dire qualunque cosa perché “è mio diritto” fa venir giù tutto, ed è la cosa peggiore che possiamo fare. E’ smantellare il pensiero. E’ come ripetere, all’infinito, parole prive di senso.
Chips chips chips
Du du du du du
Ci bum ci bum bum
Ma quello, almeno, era Paolo Conte.”
Ora, perché mi sta a cuore questa faccenda? Perché in tutti questi anni non si riesce, proprio non si riesce, da politici, osservatori, commentatori, scrittori, semplici presenze sui social (semplici mica tanto) a capire che o si cambia linguaggio e non si usa quello degli avversari, o si perde. E non si perde da soli, peraltro. Dunque, lunedì pedagogico. Riposto qui un’intervista vecchia di ben undici anni. E’ apparsa nel febbraio del 2010 su Comunicazione politica. Stefano Di Pietro è a colloquio con George Lakoff. Magari serve. Magari
George Lakoff, professore di linguistica a Berkeley, ha pubblicato nel settembre del 2004 Don’t think of an elephant, una sorta di messaggio al mondo progressista focalizzato sullo studio dei meccanismi della comunicazione politica. Il libro è presto diventato un best-seller negli Stati Uniti e altrove (anche la traduzione italiana – ed. Fusi Orari, pref. di F. De Bortoli – ha fatto discutere) e non è difficile comprendere perché. Pur essendo scritto con uno stile giornalistico in modo da raggiungere il grande pubblico, il lavoro è il risultato di un interessante connubio tra filosofia, politica, linguistica e scienze cognitive. Una delle sue idee-forza è che le recenti scoperte sulla mente mettono in una nuova luce il potenziale di influenza della comunicazione politica. Il frame – in breve, lo schema concettuale che utilizziamo per organizzare l’esperienza – è una struttura centrale per la comprensione di qualsiasi forma di comunicazione, e per quella politica in particolare, riveste un ruolo decisivo. Attraverso i frames, le metafore e le narrazioni culturali nella nostra mente si crea un canale privilegiato di lettura e comprensione degli avvenimenti tale da influenzare l’intera nostra percezione della realtà, degli scambi informativi e ovviamente anche le dinamiche di voto. Su questi e altri temi ho avuto l’occasione di discutere a Berkeley, nel dicembre del 2009, con George Lakoff.
Di Pietro: Una questione di forte interesse nel dibattito politico contemporaneo è quella dell’etica della comunicazione politica. In Europa un’ampia parte dei partiti di sinistra sembra sostenere l’idea che utilizzare una determinata strategia di comunicazione, come i partiti di destra normalmente fanno, possa essere considerato immorale. Cosa ne pensa? Potrebbe spiegare il suo punto di vista su questo argomento?
Lakoff: La stessa cosa accade negli Stati Uniti per i Democratici Liberali contro i Conservatori, e per spiegare questo fenomeno è importante comprendere la differenza di background culturale dei Conservatori e dei Democratici in America. I Conservatori, che spesso vengono dal mondo del business, conoscono molto bene il marketing e sanno come mettere le loro idee sul mercato e venderle. Ora, molti Democratici Liberali considerano il marketing delle idee immorale. Perché?
Invece di studiare marketing i Democratici Liberali hanno studiato scienze politiche, economia e giurisprudenza. Tutte queste materie sono guidate dalla «Ragione illuminista». Bene, la Ragione illuminista ha determinate caratteristiche, che sono state dimostrate false empiricamente dalle scienze cognitive e della mente. La Ragione illuminista, infatti, ha dei falsi assunti riguardo alcune proprietà peculiari della mente umana.
Innanzitutto la Ragione illuminista sostiene che il pensiero è totalmente conscio e cioè che si ha coscienza di tutto ciò che si pensa. In realtà circa il 98% del pensiero è inconscio, anche se è possibile attraverso lo studio delle scienze cognitive rendere in parte conscio ciò che è inconscio, e questo è parte di quello che riguarda lo studio del framing. In seconda battuta, è assunto come un fatto che la Ragione illuminista sia scevra da emozioni e che le emozioni si interpongano nella strada della ragione e la corrompano. È vero il contrario. È stato scoperto (penso al libro di Damasio, L’errore di Cartesio) che se qualcuno è affetto da una malattia mentale o da una lesione che gli impedisce di provare emozioni, non riesce ad essere razionale. Il motivo è che, in questi casi, queste persone non riescono a prendere una qualsiasi decisione, perché non sanno se a loro qualcosa piace o no. Se non si hanno emozioni, non si ha nozione di cosa sia «il piacere/non piacere» qualcosa. E non si saprà neanche se le altre persone apprezzeranno o no le tue azioni. Dunque possiamo dire che le persone che hanno una malattia mentale o una lesione, che non permette loro di provare emozioni, non saranno ultrarazionali ma irrazionali, perché non sapranno assolutamente in che modo prendere una decisione.
Da ultimo, è un assunto della Ragione illuminista che la razionalità sia guidata dalla logica, ovvero che funzioni seguendo i parametri della logica matematica: anche questo è stato dimostrato non vero. È stato scoperto che le persone pensano in termini di frames, prototipi, metafore e «narrazioni [narratives]culturali». È vero che esiste una logica dei frames, dei prototipi, delle metafore e delle narrative culturali, ma non è quella che si trova nella logica matematica.Oltre a questo, ed è forse il nodo cruciale di questa problematica, nella Ragione illuminista è assunto come certo che si possa ragionare direttamente sul mondo e quindi che il pensiero rifletta il mondo in sé; ma questo è impossibile, perché si ragiona con la mente e quest’ultima non riflette direttamente il mondo in sé. La mente infatti è strutturata per operare con un corpo, deve passare attraverso di esso, non è oggettiva e non riflette il mondo in sé, ma lo riflette nel modo in cui la nostra esperienza di vita, necessariamente corporea, è strutturata nella nostra mente. La mente funziona in questo modo ed è strutturata in termini di frames, prototipi, metafore e narrazioni culturali. Se una persona crede nella Ragione illuminista avrà una visione erronea di come funziona la mente, e una determinata concezione della mente influenzerà fortemente il suo modo di ragionare e di vedere il mondo.
Di Pietro: Una visione errata della mente può quindi avere conseguenze negative anche sul tipo di comunicazione politica adottata? Pensa che le analisi statistiche possano essere determinanti al fine di individuare le preferenze dell’elettorato in modo da poter parlare all’interesse delle persone?
Lakoff: Vi è una marcata distinzione tra la «Ragione illuminista» e la «Ragione reale». Inoltre c’è un elemento ulteriore: la tradizionale Ragione illuminista ritiene che la ragione abbia il fine di servire il proprio interesse e i propri scopi. In realtà gran parte della ragione ha a che fare con l’empatia, ovvero con il fatto che siamo connessi con le altre persone attraverso i neuroni-specchio. Questa è stata una grande scoperta poiché ha dimostrato che noi possediamo dei particolari tipi di neuroni, che ci mettono fisicamente in contatto con le altre persone e con il mondo fisico circostante. Gran parte del nostro ragionare attiene alla modalità con cui ci relazioniamo emotivamente con le altre persone, piuttosto che a semplici fatti oggettivi, al funzionamento della logica matematica o al calcolo della probabilità ecc. Questo concetto è molto importante e i Conservatori che hanno studiato marketing ne sono a conoscenza, dato che le persone che insegnano marketing lo hanno studiato a loro volta. Ma se entri in politica, attraverso lo studio di discipline come scienze politiche, giurisprudenza, sociologia e così via, non avrai studiato le scienze cognitive e della mente e il risultato è quello di averne una conoscenza erronea. Una delle cose che si assume per vera è che, dicendo la verità alle persone, si permetterà alla loro ragione di arrivare alla conclusione giusta: ciò in base al principio che tutti gli individui sono esseri razionali, che possiedono una Ragione illuminista e che dunque, date certe premesse, non possono non pervenire a corrette deduzioni. Se questo fosse vero, basterebbe effettivamente dire alle persone la verità per farle arrivare con il ragionamento alla conclusione migliore; ma in realtà le cose non vanno in questo modo. Se la gente ha in mente un frame che non rispecchia lo stato delle cose, possiamo anche dirle «la verità»: questa non sarà compresa, o verrà ignorata. Il frame prevarrà, perché è fisicamente presente nella mente, e i fatti saranno narcotizzati.
Dunque usare la Ragione reale nella comunicazione è tutto tranne che immorale, dato che si tratta di comunicare con le persone in un modo corrispondente a come la mente realmente funziona. Questo è qualcosa che i Democratici Liberali devono comprendere. Essi dicono che rispettano la scienza, e va benissimo; debbono dunque capire che la Ragione illuminista è empiricamente falsa, che è questa la conclusione delle scienze cognitive più aggiornate; se i Democratici Liberali ne prendessero atto comprenderebbero che vi è qualcosa di fondamentalmente errato nel modo in cui sono stati istruiti a pensare. Ma questo rappresenta una difficoltà, poiché essi lavorano ogni giorno utilizzando la metodologia che gli è stato detto di usare. Ad esempio molti leader politici in Europa provengono da studi politologici, e credono quindi nella Ragione illuminista e in un modello dell’attore razionale e in simili idee basate su una falsa teoria della ragione, ma non ne sono consapevoli. Ogni giorno utilizzano una falsa teoria della ragione e il risultato è che di ciò si avvantaggiano i Conservatori che utilizzano invece la Ragione reale, adeguando il loro sistema comunicativo al modo in cui le persone effettivamente ragionano. Dunque il risultato è che i Democratici Liberali non sanno come comunicare quello in cui veramente credono. Quando si utilizza la Ragione reale non necessariamente si cerca di ingannare le persone o di fare propaganda. Quello che invece si può fare è esprimere le proprie profonde convinzioni, di cui non si ha spesso totale coscienza. Si potrebbe cominciare a comprendere quello in cui si crede veramente, e si potrebbe dire la verità in questo senso. Lo si può fare efficacemente utilizzando narrazioni che le persone possano comprendere o metafore che le persone possano capire. Quello che si vuole fare è comunicare la verità in cui realmente si crede, e farlo da una prospettiva morale. E questo, infatti, è un altro punto importante. I Conservatori sanno che la politica riguarda la moralità stessa, molti Democratici Liberali pensano invece che la politica inerisca unicamente il mondo materiale, ma in realtà riguarda fondamentalmente la sfera morale. Ciascun leader politico che si candidi per una carica, quando fa una proposta, viene appoggiato da tutti i suoi colleghi di partito, nessuno si oppone (cosa che invece dovrebbe essere fatta), e tutti concordano e assumono automaticamente che la posizione da lui sostenuta sia anche moralmente valida. Invece sono i valori e i principi morali che vengono prima e sono più importanti: non si tratta solo di bilanciare una probabilità di gradimento o guardare all’analisi costi/benefici per poi aggregare al conto un discorso sui valori. Troppi Democratici Liberali non comprendono nemmeno l’importanza della prospettiva morale nella comunicazione politica. Pensano che la scelta di cosa va comunicato debba essere la conseguenza di un’analisi costi/benefici e che si debba sostanzialmente parlare all’interesse personale della gente. Assolutamente no. La gente è interessata a cosa il candidato pensa sia giusto o sbagliato dal punto di vista dei valori più generali e pensa a come questo possa ricadere sulle persone, a come possa coinvolgere le loro famiglie e la comunità in cui vivono, tanto quanto tocca loro individualmente. Vi è un notevole divario tra la realtà della mente umana da una parte e la politica liberale dall’altra.
Di Pietro: Trovo estremamente interessante l’idea che non esista una prospettiva morale universale e che questa non si possa quindi neanche veicolare attraverso la comunicazione in maniera efficace. Che sia in altre parole impossibile avere una prospettiva morale condivisa da tutti. Vorrei dunque chiederle, anche in relazione alla sua risposta precedente, quand’è che la comunicazione politica diventa «immorale»?
Lakoff: Bene, anzitutto ciò che è interessante in politica è che essa non è fondata su un concetto di morale universale, perché non esiste una morale che sia «neutrale». Ci sono differenti forme di moralità che si scoprono quando la si studia: persone diverse vedono in maniera diversa cosa sia morale o immorale. Intendiamo la morale in maniere totalmente diverse; alcuni ritengono che la moralità coincida con l’obbedienza, altri pensano che sia una questione di scambio, e cioè un equilibrio tra azioni positive che redimono e azioni negative che rendono colpevoli. Alcuni pensano ad esempio che moralità riguardi il prendersi cura degli altri e cose del genere,e, appunto, io credo che i progressisti pensino alla moralità in termini di «cura». Una volta compreso ciò, concludiamo che, alla domanda se esista una politica basata su una teoria morale neutrale, la risposta è no. Non esiste una politica neutrale, né una teoria morale siffatta. Non esiste una teoria morale semplicemente neutrale che sia trasversale. Questo significa che non è possibile avere alcuna idea politica che sia avvertita come giusta dall’intera popolazione. Bisogna piuttosto chiedersi: «Che cosa tu, come individuo, credi sia morale?». In tal senso, una delle cose interessanti è quella che io chiamo bi-concettualismo, ovvero l’idea che un singolo individuo possa avere più di un sistema morale e usarlo in diverse aree della vita. Un esempio potrebbe essere la «morale del sabato sera» in contrapposizione con quella della «domenica mattina», insomma due modelli di morale estremamente differenti in diversi contesti; e lo stesso è vero riguardo alle idee liberali e conservatrici. La stessa persona può avere idee liberali su un certo argomento e conservatrici su un altro, e
potrebbe trattarsi delle cose più differenti. La domanda diventa dunque: «Che tipo di interazioni ci sono, nello stesso individuo o gruppo di individui, tra la visione liberale e quella conservatrice?». Ma non esiste una morale che sia neutrale, né universale.
Di Pietro: Forse a questo punto si può dire che il termine «moralità», nella sua accezione tradizionale, nasconda in qualche modo la complessa struttura della moralità stessa, una morale «monolitica» non riflette la complessità della natura umana, perché affermare cosa è giusto o sbagliato universalmente è in contraddizione con la nostra Ragione reale e con la capacità di concettualizzazione delle nostre esperienze.
Lakoff: La mia personale morale ha a che fare con l’empatia, col preoccuparsi l’uno dell’altro, e col prendersi le responsabilità per l’altro. Dunque questa visione morale in alcuni casi non determina una reazione positiva, ci sono paradossi in ogni teoria morale, ma io ne ho una in cui credo e altre persone ne hanno altre. Quindi, per rispondere alla sua domanda di prima, vi sono certamente cose immorali nella comunicazione politica; ad esempio, credo sia immorale mentire su qualcosa, nella misura in cui questo possa danneggiare molte persone. Credo che la menzogna politica, utilizzata per ottenere un vantaggio per la propria ideologia politica, a dispetto del danneggiamento di molte persone, sia senza dubbio immorale. Vi sono molte persone che non la pensano così, ma io ne sono convinto. Ed io ho una certa visione di cosa sia un comportamento politico immorale.
Di Pietro: Vorrei chiederle, alla luce della sua idea della mente, quali sono gli elementi che ritiene influenti per un elettorato. Perché un politico diventa presidente e ottiene voti, quali sono gli elementi che fanno la differenza al di là delle argomentazioni razionali usate in campagna elettorale?
Lakoff: Molte cose sono importanti, innanzitutto l’identità. Ovvero, ogni persona ha il suo specifico sistema morale, dunque i valori sono importanti. In secondo luogo, ciò che conta in politica è l’autenticità, nel senso che alla gente non piace sentirsi dire delle falsità, è estremamente importante avere consapevolezza che qualcuno ti stia dicendo la verità soprattutto se questo valore è rilevante per quell’individuo. Terzo elemento importante è rappresentato dalla capacità di stabilire una connessione con le persone, di sentire un legame fra il politico e te. La comunicazione è importante e comprendere le parole di un leader politico è di estrema rilevanza. Al di là di questo, se condividi i valori di qualcun altro e sei convinto che ti sta dicendo la verità e riesci a stabilire un contatto con lui e comprenderlo, dunque puoi credergli, e credere è il fulcro della politica. Se tu non puoi fidarti di quel qualcuno diventa difficile votarlo. Dunque uno dei modi per attaccare qualcuno è dire che non è credibile. Infine vi è l’identità, tu credi che quel particolare leader politico rifletta o sia simile a te come persona? Quel politico condivide i tuoi stessi valori? Puoi fidarti di lui? Puoi entrare in connessione con lui? Lo comprendi?
Queste sono le cose che sono più importanti nelle elezioni. Inoltre una questione che emerge è: quanto sono rilevanti i fatti? Ovviamente lo sono, quando sono comprensibili e quando combaciano con i tuoi valori e quando sono determinanti per capire se un politico è affidabile o no. Limitarsi a riportare i fatti non è abbastanza. I fatti sono importanti solamente se ci sono tutte queste altre cose alla base.
Di Pietro: I fatti potrebbero essere celati intenzionalmente da un preciso «framing» che potrebbe essere creato «ad hoc» da un partito politico?
Lakoff: Certo, poiché i frames possono nascondere fatti, è molto importante in politica – per le persone che cercano di ingannare altre persone – trasmettere un frame di una situazione determinata, che nasconda o mistifichi i fatti rilevanti.
Di Pietro: Adesso che il presidente Bush e i Repubblicani conservatori sono stati sconfitti alle elezioni, cosa pensa che ci insegni la vittoria di Obama dal punto di vista della comunicazione politica?
Lakoff: Penso prima di tutto che si debba separare la vittoria di Obama alle elezioni dalla sua inabilità a governare efficacemente dopo. In campagna elettorale Obama ha fatto un ottimo framing, era molto chiaro nel far comprendere ed argomentare il concetto di democrazia in termini di empatia, utilizzando frames efficaci. Era riuscito non solo a esprimere le idee in maniera facilmente comprensibile ma anche a farlo utilizzando frames morali durante la campagna, evitando dunque di fare semplicemente una lista di proposte e programmi. Questo è stato molto efficace e ha funzionato molto bene. Durante la campagna elettorale Obama è riuscito a fare in venti mesi solamente cinque errori dal punto di vista della comunicazione e questo è straordinario. Il framing ha contribuito molto alla vittoria. Dopo essere stato eletto, però, ha preso delle decisioni diverse, ha assunto Rahm Emanuel come capo dello staff e ha adottato una linea politica cosiddetta «pragmatista», che consiste fondamentalmente nell’adottare una visione di destra riguardo al mercato, le relazioni con le aziende ecc. Questo è ciò di cui Emanuel si occupa: era nell’amministrazione Clinton, ed è ciò che in America viene chiamato un «centrista», ovvero un «democratico corporativista». Insieme a questa amministrazione Obama ha deciso di fare quello che lui ha chiamato «dire la verità», cercando di convincere le persone a votare per la riforma del sistema sanitario sulla base della lista delle sue proposte. Aveva circa due dozzine di proposte e nessuno è riuscito a capirle a fondo.
Di Pietro: Dunque, a suo giudizio, Obama è stato molto abile in campagna elettorale perché è riuscito a portare al centro del dibattito politico le questioni morali e a fare un buon «framing» mentre ora ha cambiato la sua linea politica in particolare dal punto di vista della comunicazione e come risultato starebbe perdendo il consenso. E i Repubblicani conservatori? Che strategia di comunicazione hanno utilizzato per contrastarlo?
Lakoff: Lo hanno attaccato dalla loro prospettiva morale. I Conservatori vedevano la riforma del sistema sanitario come una questione strettamente legata alla libertà. Quindi hanno parlato di «presa di potere del governo» nei confronti del sistema sanitario e di questioni di bioetica, parlando della pena di morte e dell’aborto. Hanno cercato di trasmettere l’idea che la posizione di Obama sulla riforma del sistema sanitario fosse immorale, al contrario della loro, che invece lo era. Hanno avuto un grande successo. Non è ancora finita: al momento in cui noi stiamo facendo questa intervista è ancora possibile per Obama portare i Democratici a una «riconciliazione» e far approvare un disegno di legge sul sistema sanitario, ma sarà veramente poco rispetto a ciò che è necessario e non si avvicinerà neanche a quello che era stato proposto all’inizio. I Conservatori lo hanno fondamentalmente fermato, in gran parte. Manca una settimana al voto e lui sta ancora mandando messaggi in cui vengono descritti i fatti e il suo programma, senza esprimere nessuna posizione morale o argomenti forti a sostegno delle sue proposte. Quello che ha fatto molto bene durante le elezioni lo sta sbagliando invece da quando è al governo. I Conservatori, che hanno un sistema di comunicazione più strutturato e più efficace, stanno guadagnando terreno su Obama anche riguardo al «riscaldamento globale», alla politica estera e altre questioni importanti. Obama sta utilizzando la Ragione illuminista dicendo alle persone i soli fatti, e questo sta causando la sua sconfitta su ogni questione importante, non solo per quanto riguarda la riforma del sistema sanitario.
Di Pietro: Pensa che qualcosa sia realmente cambiato nella «mente politica» del popolo americano rispetto a quando è stato eletto Bush nel 2004?
Lakoff: Qualcosa era certamente cambiato durante la campagna di Obama e durante i primi due mesi. C’era una mentalità veramente diversa e uno spirito di rinnovamento in America. Le persone erano ottimiste, erano ansiose di vedere le cose migliorare, ma poi c’è stata la durissima crisi economica, provocata dall’amministrazione Bush, che ha causato la recessione, perdita di posti di lavoro ecc. Obama si è comportato come se ciò fosse un semplice dato di fatto. Non ha illustrato le responsabilità dell’amministrazione Bush e della politica del Partito conservatore e come risultato le cose sono iniziate ad andare sempre peggio. Adesso la popolarità di Obama è al di sotto del 50%, mentre all’inizio era intorno al 70%. C’è una situazione molto negativa in America, le persone non hanno speranze per il futuro e i Conservatori guadagnano consensi, in particolare i Conservatori populisti: alludo al Tea Party, un partito di estrema destra supportato da Conservatori molto ricchi, che sostiene di essere una specie di movimento rivoluzionario popolare. Obama non è riuscito a comprendere come funziona il populismo conservatore che sta avendo un’influenza molto forte sulla popolazione e non sa come fronteggiarlo.
Di Pietro: Dinanzi a questi errori di comunicazione di Obama, pensa che sia meglio adottare una strategia di comunicazione che trasmetta speranza alle persone rispetto a una che tenda ad individuare le cose che oggettivamente non funzionano, magari con il rischio di seminare pessimismo?
Lakoff: Sa, Obama sta dicendo più o meno: «Le cose andranno bene in futuro, abbiamo speranza e questa è la lista dei nostri programmi»; dovrebbe piuttosto comunicare il suo programma spiegando ciò che lui crede sia giusto o sbagliato da un punto di vista morale. È solamente ritornando alla base morale del paese che le cose miglioreranno. Non si tratta solamente di trasmettere una speranza poco sorretta dai dati, ma di proporre speranza sulla base di ciò che si crede sia giusto, e ciò partendo dalla situazione reale. È possibile che Obama possa fare meglio, ma la strada è lunga e difficile, perché siamo davvero in una brutta recessione e le persone rimarranno senza lavoro per molto tempo.
Di Pietro: Ha detto che il «framing» efficace ha contribuito fortemente alla vittoria elettorale di Obama anche se poi durante il governo questo è in partevenuto a mancare. Pensa che Obama abbia il potenziale per migliorare il «framing» nel futuro?
Lakoff: Adesso credo di no. L’attuale capo del suo staff, Rahm Emanuel, e la sua amministrazione non comprendono l’importanza del punto che cerco di sollevare. La maggior parte delle persone a capo delle segreterie dei vari dipartimenti e coloro che fanno le leggi hanno solamente una comprensione minima del framing. Lo staff di Obama durante la campagna elettorale era composto da persone diverse, che avevano una buona comprensione dell’argomento, ma quelli che ci sono ora lo ignorano del tutto.
Per insultare in rete persone a noi invise senza fare figuracce o incorrere in antipatiche reprimende è sufficiente dare loro del TROLL (o trollone o trollona) rinunciando a epiteti irricevibili quali frocio, vacca, scrofa, merda umana & company). TROLL è polivalente, vuol dire tutto e niente, si adatta a qualunque circostanza e non suscita scandalo. A me è dagli anni Novanta che danno del troll e sono ancora qua che trolleggio come se niente fosse…
Buongiorno Loredana,
E’ vero; è un articolo di difficile – ma non impossibile – lettura e rilettura
(che ritengo anche di aver compreso). Ma ne è valsa la pena; perlomeno
per giungere alla mia personale conclusione che – in questo caso, nel
“frame” limitato di una intervista – il pensiero del Prof. George Lakoff è
assai primitivo e non connesso alle precendenti e conclamate scoperte
etiche, morali e manipolatorie di Vance Packard e Burrhus Skinner, per
restare in ambiente anglosassone. Che poi tale Lakoff-iano pensiero di
10 anni fa (ad oggi), si sia esteso a una sua trasformazione maschilista
(termine che ricordo, è un insulto), mi porta solo a concludere che, alcune
volte, si è iconoclasti di sè stessi.
Alf
Trovo le sue considerazioni introduttive, che pur condivido, un poco fuori fuoco. Credo sia già stato detto da molti – non frequento molto i social, a dire il vero, ma è un’opinione che ho già sentito – comunque: mi pare che il punto principale della questione, o almeno quello che più mi ha colpito, non sia il sessismo, come lei dice, ma nemmeno il linguaggio (che pur è importante); piuttosto, un odioso classismo che considera subumano e indegno di fare politica, ma in generale di essere preso in considerazione, chi non ha un titolo di studio. È un discorso che ho sentito decine di volte da sedicenti progressisti, sedicenti democratici, sedicenti di sinistra, che trovo repellente.
Davvero illuminante: se il campo progressista vuol tornare a fare proseliti e a non subìre un conservatorismo via via sempre più chiuso, escludente, violento e maggioritario, deve mettersi a studiare marketing da una prospettiva “morale”. Ovvero, scevra dalle considerazioni sull’uso che commercialmente si fa del marketing stesso. Perché solo così potrà comunicare le proprie visioni morali sul mondo: condividendole empaticamente.
Poi, certo, bisogna anche essere preparati perché quelle visioni possono nascere solo da nuove consapevolezze e da nuove scoperte; per usare la Madre di tutti i marketing (la Religione), si potrebbe riassumere questo articolo col concetto biblico secondo cui “la Parola deve farsi Carne” per poter agire: mi vien da dire che troppi progressisti curano a dismisura la parola senza però farla diventare carne, mentre in campo conservatore si bada poco a ciò che sta dietro (e davanti) la parola perché sono tutti concentrati sugli effetti che essa ha sulla carne, supportati spesso dai riscontri immediati di questa pratica e da un “framing” che vuole il futuro come una immutabile riproposizione di cose passate. Certo, per chi vuol vedere oltre è un esercizio immensamente più faticoso e più rischioso, ma temo sia l’unica strada per coinvolgere (e convincere) gli altri a fare sostanzialmente più fatica: trattenere è sempre più facile e consolatorio (anche se non meno faticoso) del costruire o ricostruire ex-novo, spesso in ambienti mai esplorati. Ma forse il motore potrebbe essere proprio -basicamente- il gusto di farlo per il gusto di farlo: e allora perché non trasmetterlo, questo gusto? Perché non imparare a saperlo fare?