GUAI GROSSI PER CHI LEGGE, E PER CHI SCRIVE

Tra le pile di libri su vari tavoli, che somigliano ormai a plastici del Grand Canyon, ci sono quelli che aspettavo e volevo leggere (e voglio leggere) ma non sono ancora riuscita ad aprire. In ordine sparso, Alma di Federica Manzon, Marabbecca di Viola Di Grado, Storia dei miei soldi di Melissa Panarello, Chi dice e chi tace di Chiara Valerio, La reputazione di Ilaria Gaspari, Missitalia di Claudia Durastanti, Il fuoco che ti porti dentro di Antonio Franchini, Dove la luce di Carmen Pellegrino, O Caledonia di Elspeth Barker eccetera eccetera, e chiedo venia a chi non ho nominato perché non è un’esclusione o una diminuzione, ma una dichiarazione di impotenza.
Questa non è l’ennesima lamentazione della lettrice di professione: o meglio lo è, ma è soprattutto una ulteriore ammissione di fallimento. Sono libri, ripeto, che aspettavo e che desidero leggere, ma non ci riesco perché ne sto leggendo altri che sono usciti prima, e su cui magari devo lavorare. Mi chiedo, di nuovo, cosa accade al lettore che ha meno tempo a disposizione di me, visto che il mio tempo lavorativo coincide per molta parte con quello della lettura.

Salto indietro, fino a quarant’anni fa. Nel marzo 1985, e Stefano Malatesta va a parlare con un drappello di direttori editoriali che avevano una caratteristica: sapevano di mercato e sapevano di libri. Per esempio:

“Oreste Del Buono, ora direttore editoriale della Rizzoli, racconta la leggenda di Uccelli di rovo: “Secondo inchieste fatte fare dalla casa editrice negli Stati Uniti sulle nuove preferenze dei lettori, nel libro ci dovevano assolutamente essere due cose. Primo: una storia che si svolgesse attraverso un itinerario “paraturistico”, con grandi distanze da un posto all’ altro e possibilmente passaggi e trasferimenti tra civiltà opposte e diverse. Secondo: una o più trasgressioni di genere sessuale che toccassero ambienti religiosi. Quindi una donna che andava a letto con un prete, destinato a diventare cardinale e a finire in Vaticano. A questo punto cominciarono le ricerche dell’ autore adatto e venne trovata la McCollough”.

Fin qui, il best seller.  Ma Malatesta prosegue:

“In Italia si sono vendute in poco tempo 25.000 copie de L’ amante della Duras, scrittrice che è un caposaldo ben conosciuto della letteratura francese del dopoguerra. Ma i primi libri di Michel Tournier, come dire il migliore scrittore d’ oltralpe da vent’ anni a questa parte, sono finiti ai Remainders (Il re degli ontani, ad esempio). Mi sembra giustificato l’ apprezzamento generale, anche dei critici, ai Figli di Mezzanotte di Salman Rushdie, ma i racconti di V.S. Naipaul, ossia di uno scrittore considerato prosatore assoluto in lingua inglese, che descrive gli stessi ambienti “terzomondisti” di Rushdie, anche se con distacco europeo, stentano a superare un certo giro di conoscitori. Infine, per rimanere dalle parti dell’ India, ci sarebbe un libro scritto una sessantina di anni fa, diciamo un capolavoro: Passaggio in India, di E.M. Forster, molto citato e letto mai”.

Quarant’anni dopo, è tutto più complicato. Quel gioco di equilibri che permetteva di pubblicare Naipaul e Uccelli di rovo è andato all’aria, perché escono IN NUMERO MAGGIORE ottimi libri, ma escono tutti insieme, rischiando di annullarsi a vicenda.
E’ un problema enorme.
In più, mentre scrivevo questo post, ha suonato il corriere portandomi Il famiglio della strega di Francesca Matteoni. Sono nei guai. Anzi, siamo, tutte e tutti, scrittrici e scrittori, in grossi guai.

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