Mi si scrive in privato sulla vicenda Generale pubblicato da Piemme. Mi si scrive mettendo le mani avanti così: “Immagino che, nel Suo ruolo pubblico, Lei non possa esprimere giudizi sui profili social (o è una mia idea…? Vista l’atmosfera di censura quasi da Inquisizione che ultimamente impera in tv e in altri media)”
Mi si scrive ignorando, evidentemente, un ventennio di blog e di scritture, ma anche un quarantennio e rotti di radio.
Dunque, eccomi qua.
Il fatto che Piemme pubblichi il nuovo libro di Voldemort (perdonate, ma nominarlo una volta è già sufficiente) si presta a due considerazioni.
La prima: ha fatto bene la casa editrice a dare alle stampe un testo che, come il precedente, sarà zeppo di pensieri orribili?
Risposta: sono affari loro. Hanno fatto un calcolo economico e hanno deciso che era conveniente. Quindi si prenderanno i vantaggi e i rischi. Personalmente riserverei censure e boicottaggi a miglior causa, ma ognuno faccia quel che crede.
La seconda, più importante: più si parla del personaggio e peggio è. Ricordiamo che quel signore ha conquistato fama grazie alle prime pagine dei quotidiani e al lungo chiacchierare sui social, per non parlare dei libri su di lui (su, non di).
Chiedo aiuto a Tucidide, La guerra del Peloponneso:
“Adattarono mantici potenti all’estremità del congegno..e incominciarono a insufflarvi aria. Il soffio, violentemente compresso nel braciere che ardeva di carboni, zolfo e pece, sprigionava una grande fiammata, incenerendo il muro. Sicchè nessuno poteva resistervi”.
La macchina da guerra usata dagli Spartani contro i difensori di Delio diventa spesso un’altra cosa: per l’esattezza, si trasforma nei “fumi d’arsenico” che costituiscono gli antenati della guerra chimica e diventa il simbolo del terrore cieco di cui si circonda la medesima. Insieme alla segale cornuta gettata dagli Assiri nei pozzi dei nemici. O ai cadaveri dei morti di peste lanciati dai tartari oltre le mura di Kaffa.
Quel che voglio dire è che, in molti casi, ha inciso più la paura del veleno che il veleno stesso. Lo sostennero, per esempio, Simon Wessely, Kenneth Craig Hyams e Robert Bartholomew poche settimane dopo l’attacco alle Twin Towers, in piena psicosi da antrace, nell’articolo Psychological implications of chemical and biological weapons: “i danni provocati sulla psiche di intere popolazioni dal timore delle conseguenze di un attacco biologico o chimico, possono essere molto peggiori delle conseguenze stesse”.
In altre parole. George Lakoff, professore di linguistica a Berkeley, nel 2004 pubblicò quella che dovrebbe essere la nostra Bibbia, Non pensare all’elefante. Sosteneva, cioè, che ogni volta che parliamo le nostre parole riflettono come vediamo il mondo, e la nostra visione si chiama framing. Se non riusciamo a entrare nei frame mentali degli altri, possiamo dire tutte le verità del mondo, ma scivoleranno via. Se, peggio, rispondiamo al frame del nostro antagonista politico, gli facciamo un regalo gigantesco: è il suo quello che passerà. Puoi dire a chiunque di non pensare all’elefante, ma nel momento in cui lo dici, tutti vedranno un pachiderma nella stanza.
Allora, invece di piazzare elefanti nelle piazze reali e virtuali sarebbe il caso di ricostruire il famigerato noi, e di far passare le nostre idee e i nostri frame. E’ il modo migliore per dissolvere in un soffio tutto quello che, anche grazie a noi, si è costruito intorno a un personaggio di nullo valore e di nullo spessore. E a pensarci verrebbe da piangere: mentre avremmo dovuto ridere, e passare oltre.