“Da qualche anno ormai l’insieme delle evoluzioni tecnologiche, che siano minori (video on demand, pagamento senza contatto) o maggiori (il telelavoro, gli acquisti su Internet, i social media) hanno avuto per conseguenza principale (principale obiettivo?) quella di diminuire i contatti materiali, e soprattutto umani”.
Sostiene, Michel Houellebecq, che non cambierà nulla, dopo o nel mezzo ancora della pandemia. Lo scrive in un articolo molto bello, e molto houellebecquiano sul Corriere della sera, e naturalmente lo scrive da par suo e in modo non replicabile. Ciò detto, si può ribadire almeno che ha ragione, e che non cambierà, credo anche io, molto.
Cambieranno alcune forme, alcune pratiche, per un po’. Forse emergeranno strade nuove. Ma, come la fantascienza sa, gli umani tendono sempre a replicare il passato, sia pure con aggiornamenti minimi. Quando il caos irrompe, dopo il primo smarrimento si cerca di nuovo l’ordine.
C’è qualcosa di meraviglioso e irripetibile nel grido del marinaio che annuncia la morte di Pan. La nave è nei pressi di Paxos, vi è anzi trascinata dalla corrente perché il vento cade improvvisamente. I passeggeri stanno cenando, bevono vino. Da Paxos si ode una voce, come di uno che chiami, e chiama Thamus, il pilota egiziano. Lo chiama due volte, e Thamus tace. Alla terza risponde. E la voce dice: “Quando sarai a Palodes, annuncia che il grande Pan è morto”. C’è, com’è giusto, sbalordimento. Chiamato a decidere, perché in ogni storia fantastica bisogna fare una scelta, Thamus lascia la scelta al caso, o al caos: se ci fosse stato vento, avrebbero costeggiato la riva in silenzio, se invece avessero trovato bonaccia, avrebbero riferito la notizia. A Palodes non c’era un soffio di vento, non un’onda. Allora Thamos, a gran voce, dalla poppa della nave, annunciò, rivolto verso la terra: “Il grande Pan è morto”. E dall’isola si levò un pianto collettivo.
Di chiunque fosse figlio il dio Pan, se di Ermes o di Zeus, è l’unico dio che muore. Ed è l’unico dio in grado di suscitare timore con il suo grido, di sollecitare la carne e l’istinto, certo, ma anche di evocare la morte, essendo morto egli stesso. Chi guarda Pan, cambia irreversibilmente. Eppure, è anche una garanzia, perché impedisce che si liberino gli orrori di cui gli esseri umani sono capaci: è come se, vedendo un hobbit precipitare nel fuoco con un anello magico o un drago che scioglie in un fuoco altrettanto potente un trono di ferro, ci sentissimo rassicurati sull’ordine delle nostre vite, che quiete rimarranno se decidiamo di non superare i confini, e limitarci ad ascoltarne il racconto.
Cambiamo irreversibilmente, dopo il grido del dio, e poi torniamo a infilarci nella vita di prima, come le dita in un guanto.