HOUSE OF WORDS: DIARIO ELETTORALE, PARTE ULTIMA

Illudersi che trent’anni siano passati invano è il crimine peggiore che si possa compiere verso se stessi, e non solo. Illudersi che le parole più ripetute (vittoria, competizione, successo, ambizione) non abbiano sortito effetto in chi è nato negli ultimi trent’anni è ingenuo. L’ultimo post di questo breve diario è il più dolente, ma sarebbe disonesto non scriverlo: proprio perché la politica è faccenda nobile, ed è faccenda che deve riguardare soprattutto le figlie e i figli, e non una generazione (la mia) che non ha saputo trasmettere loro questa nobiltà.
Partiamo da lontano. Da quel “paradigma vittimario” che Giovanni De Luna ha descritto in ambito storico: la rivendicazione di una sorta di retribuzione, nella memoria collettiva, da parte di coloro che hanno subito qualche abuso. In Critica della vittima Daniele Giglioli ha dimostrato come il paradigma ci immobilizzi. Perché, dice:
“La vittima è nel vero per definizione. Non deve diffidare di sé. Non ha bisogno di vagliare e interpretare nulla. Non la toccano gli scrupoli con cui un secolo e piú di ermeneutica del sospetto ha scrutato il nesso inquietante tra verità e potere. Che vero sia ciò che il potere ha deciso essere vero è un rovello che non la riguarda, perché la vittima è vera quando è priva di potere, e in caso contrario non sarebbe tale (…) Condizione sommamente desiderabile, in un’epoca sospesa tra due estremi: da una parte uno scetticismo generalizzato, dall’altra un acritico desiderio di credenza, delega, affidamento nichilistico a chi ti dice cosa devi fare. Quale sia la verità di chi le dice cosa deve fare, la vittima lo sa benissimo, e non le serve alcuna ipocrisia, alcun accecamento volontario”.
Come se ne esce, per Giglioli?
“Prima mossa dovrebbe essere cominciare o ricominciare a sentirsi parti in causa, non rappresentanti di una universalità spettrale quale è quella promessa dall’etica vittimaria. La condizione di vittima pretende a una risposta unanime; ma una risposta unanime è soltanto una risposta falsa, che non permette di vedere quali sono le vere linee di frattura, ingiustizia e ineguaglianza da cui è segmentato il terreno dei rapporti di forza. Politica e conflitto sono sinonimi. Politica, ha spiegato Jacques Rancière, è quando di idee su come ripartirsi il mondo ce ne sono almeno due. Che ce ne sia una sola, invece, è “polizia”, nel senso settecentesco di policy, police, ordinaria amministrazione, funzionamento ben lubrificato dello status quo. Che la vittima sia diventata quel lubrificante è insieme un’evidenza e uno sfacciato paradosso, quando a rigore dovrebbe costituirne l’inciampo, lo scandalo, il punto d’arresto. La mitologia vittimaria è una subalternità che perpetua il dominio. Troppo promettere nonché idea ingenua del potere sarebbe credere che spariranno insieme. Ma questo è l’ordine del giorno, e a ogni giorno basta la sua pena”.
Cosa ha a che vedere tutto questo con il trentennio passato e con la politica? E’ semplice, in fondo: il paradigma della vittima esalta quelle che tali vengono ritenute  per status. Le donne, i giovani, i precari. Ma il paradigma della vittima ignora che le donne, i giovani, i precari non sono portatori di valori in sé, non necessariamente. Una donna,un giovane, un precario, una vittima per status  può assumere esattamente gli stessi comportamenti dei dominanti: può essere ambiziosa, competitiva, sleale. Può assumere su di sé le parole di coloro che combatte (un esempio su tutti: l’attacco agli intellettuali e ai loro nasini incipriati che ho visto fare da parte di donne, giovani, precari, comunisti anche, e che coincide con gli intellettuali dei miei stivali che furono di Craxi, Berlusconi, e prima di Scelba e Mussolini). Può assumere su di sé il vecchio concetto della politica come “sangue sudore e merda” dove non conta il progetto collettivo ma l’affermazione individuale. Può correre per una parte, e di quella parte avvalersi per essere sostenuta, contro i corridori della sua stessa squadra. Può fare tutto questo sentendosi nel giusto, e ritenere sana la competizione e necessaria la vittoria individuale, a qualunque costo.
Questa, dunque, è vecchia politica. La politica nuova, la ripartenza e non la ripartizione, pretende parole nuove e dunque nuove azioni. Che vengano da giovani, vecchi, donne, uomini, gay, lesbiche, transgender, precari, dipendenti, pensionati, esodati non importa. Che vengano da chi vuole, con la forza dell’ingenuità se si crede, cambiare davvero le cose, non con gli intrighi da House of Cards riportati a sinistra, ma con le nuove parole, e il nuovo cammino. Grazie per l’ascolto, commentarium. E, nel caso, per il progetto comune
Questo il futuro; ma conviene adesso
qualche partito sul presente prendere.
All’avvenire penserà chi deve.

12 pensieri su “HOUSE OF WORDS: DIARIO ELETTORALE, PARTE ULTIMA

  1. Vabbè, vecchia amica, valeva la pena di rinunciare per un periodo alla tua buona e bella voce pomeridiana, se doveva servire a farti scrivere queste cose.
    Dev’essere stato un bel viaggio; bentornata.

  2. Grande lucidità, amica Galadriel. L’avventura politica l’hai capitalizzata come nessun altro. Queste parole, sono politica. Sperando che pian piano si insinuino negli interstizi ancora non occupati dal pensiero unico per far germogliare un nuovo modo di descrivere il mondo. E cioè un nuovo mondo.

  3. “Che forse anche se non siamo sempre contenti di essere qui, è nostro compito immergerci comunque: entrarci, attraversare questa fogna, con gli occhi e il cuore ben aperti. E nel pieno del nostro morire, mentre ci eleviamo al di sopra dell’organico solo per tornare vergognosamente a sprofondarvi, è un onore e un privilegio amare ciò che la Morte non tocca. […] E io aggiungo il mio amore alla storia delle persone che hanno amato le cose belle, e se ne sono prese cura, e le hanno strappate al fuoco, e le hanno cercate quand’erano disperse, e hanno provato a preservarle e salvarle intanto che, letteralmente, se le passavano di mano in mano, chiamando dalle rovine del tempo la successiva generazione di amanti, e quella dopo ancora”.
    I cardellini non sono mica sempre dipinti.

  4. Se posso aggiungere un dato personale: per aver osato criticare Grillo su un blog locale per la sua strumentalizzazione di Primo Levi a fini elettorali, ho ricevuto l’invito in quanto “intellettuale universitario allineato” con le “braccia fuori posto”, ad andare a muovere le rotoballe di paglia (con allegata foto di apposito mezzo agricolo), e un più minaccioso “La resa dei conti, 25 maggio 2014, si avvicina. Se ne vedranno delle belle. Buona giornata”. I fascisti che venivano ad aspettarmi all’uscita del liceo, negli anni Settanta, avevano più classe, mi tocca rimpiangere anche quelli…

  5. Mamma mia, hai scandagliato l’animo umano in queste righe. Grazie per le parole che aiutano sempre ad identificare, identificarsi e discernere.
    Anche i commenti sono belli, in tono. Per un attimo, armonia.

  6. @Loredana: in risposta ad alcuni miei commenti critici sulla Lista Tsipras, qualche settimana fa, rispondesti che se non ti fossi candidata “poi te ne saresti pentita”. Io non scrissi più niente in risposta, non volevo risultare più sgradevole di quanto già non fossi stato. Però le perplessità che avevo allora su questo progetto politico (“elettorale”, in realtà…) sono confermate da quello che si è visto e che si sta vedendo tuttora.
    Al Parlamento Europeo sono stati eletti:
    – un ex giornalista di Repubblica che nella prima dichiarazione rilasciata ha detto che adesso l’obiettivo è allearsi con il PD;
    – un esponente della segreteria nazionale di SEL, dove ora volano gli stracci perché c’è tutta una parte di quel partito che, liquidata l’esperienza con la Lista Tsipras… si vuole alleare con il PD;
    – un’esponente della segreteria nazionale di Rifondazione Comunista, altro partito che ha utilizzato il progetto della Lista Tsipras perlopiù in modo strumentale e in cui ora molti sono meno che propensi a “sciogliere” il partito in un fronte di sinistra più ampio. Anche qui, eletta l’esponente di partito al PE, faccenda chiusa.
    Di certo non sono state elette – com’era peraltro abbastanza prevedibile – figure rappresentative di lotte sociali importanti.
    In tutto questo, le forze a sinistra del PD hanno perso parecchi voti. Per cui, al di là dell’entusiasmo di alcuni, in realtà quel settore politico si conferma sempre più marginale.
    Possiamo senz’altro sforzarci di voler vedere nella politica qualcosa di “nobile”, e fare del nostro meglio in quel senso. Ma la realtà, purtroppo, ci dice tutt’altro. Per cui non è per cinismo, per mancanza di speranza o altre cose simili, se credevo che un contributo di questo tipo in un contesto come quello della Lista Tsipras fosse destinato – nella migliore delle ipotesi – a non lasciare una traccia rilevante. L’impressione era che il progetto – al di là dei limiti del programma e delle molte altre contraddizioni – nascesse con altri scopi, e purtroppo ciò che sta succedendo conferma qppieno questa impressione.
    Per cui, Loredana, ti faccio una domanda: a prescindere da come hai vissuto la tua campagna elettorale, a posteriori non hai proprio nessun ripensamento sull’adesione alla Lista Tsipras? Non credi invece di essere stata, alla pari di tanti altri (incluse le decine di attivisti di base in buona fede che hanno investito il loro tempo a raccogliere firme e a sostenere la Lista)… beh, non saprei trovare altro termine: “strumentalizzata”?

  7. Don Cave, implicitamente ho risposto in questo stesso post. Più esplicitamente: viene strumentalizzato chi aderisce a un progetto e a una candidatura con un ego talmente accecato da trasformare progetto e candidatura in test su se stesso/a. Quindi, avendo preso parte all’avventura con l’idea di testare non me, ma parole e pratiche diverse dal consueto, non mi sento strumentalizzata. Il progetto è in divenire: se cederà alle logiche partitiche e personalistiche, morirà in breve tempo. Ma se, come è pure fattibile, terrà conto delle forze messe in campo a livello territoriale, potrebbe proseguire, e a lungo. Naturalmente la mia presenza futura dipenderà dalla strada scelta.

  8. E infatti la politica è un ego accecato (o idrofobo, epilettico, ecc. ecc.). Chi cerca l’io, per dirla con Rimbaud sa che è un altro, con buona pace del terzo escluso. Dal viaggio nel deserto politico si ritorna sempre con “neant”. La democattocrazia kennediana è solo stata un pretesto per salvare Pepperkorn dal sanatorio invece di Settembrini, quella austeromilleunanotte sinistrese è stata solo una pietosa bugia per nascondere l’eternosecondismo degli “argenti e d’ori” di luciniana memoria… L’isola dei cannibali è sempre lì, e dilania per dare le briciole di fame e di freddo con i resti dei poveretti protagonizzati di cui sopra. Chi crede nella ragione (minuscola, cioè umana) sa che la peggiore rete di uguali ha valenza incommensurabile rispetto alla più assiomatica e merito-golemica delle piramidi “cratiche”. Alla faccia dei Papimanes e dei parassiti tenutari del Castello di Otranto.

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