FEMMINISMI E SEMPLIFICAZIONI. DIARIO ELETTORALE, PARTE TERZA

L’incontro con femministe e attivisti LGBTI al Maurice di Torino resta fra i  ricordi più belli di tutta la campagna elettorale. Non è stata una passeggiata, e proprio per questo ne faccio tesoro. Faccio tesoro, per cominciare, della domanda cruciale posta da Laura Cima: “Quale riflessione sul rapporto fra donne e potere?”.
Cruciale non da oggi, indispensabile oggi. Perché dal punto di vista dell’immaginario, che è ciò che mi sta a cuore da anni, e dunque del politico, la rappresentazione dei femminismi in queste ultime settimane ha conosciuto un passo indietro violento. Su cui occorre fermarsi e pensare a lungo.
In verità, quel passo indietro era già iniziato: chi segue questo blog conosce le mille perplessità e le raddoppiate difficoltà nell’approcciare l’argomento. Come si fa ad affrontare i discorsi femministi nel momento in cui “la questione femminile” è divenuta brand della politica? Come si fa, nel momento in cui il “siamo dalla parte delle donne” è la spilletta (rosa) che ogni forza politica si appunta sul bavero della giacca? Come si fa, nel momento in cui si registra un punto d’arresto (o un passo indietro) su decine di punti, dal lavoro alla maternità, dal welfare ai diritti che sembravano acquisiti (aborto, contraccezione) e a quelli mai ottenuti (educazione sessuale e di genere), dal finanziamento (mancato) ai centri antiviolenza alla messa in ombra dei riconoscimenti base alle persone LGBTI?
Come si fa, nel momento in cui femminismi e, lasciatemelo ripetere, disuguaglianze e dunque quella che un tempo si chiamava lotta di classe vengono confusi in un chiacchiericcio mainstream dove tutto questo viene oscurato per lasciar posto a quella che viene presentata come frattura insanabile e soprattutto semplificata? Le bigotte contro le libertarie. Le psicotiche in menopausa contro le fanciulle in fiore. Il vecchio contro il nuovo. Le fissate in burka contro le ridenti in costume.
Balle.
Naturalmente i femminismi non sono questo. Altrettanto naturalmente, come scrivevo ieri, la questione va oltre quella “di genere”  e rientra in una modalità comunicativa che pretende banalizzazione, e che è frutto di trent’anni di contrazione del pensiero e del linguaggio. Naturalmente di nuovo, questa è stata l’occasione per tirar fuori risentimenti antichi, personali e collettivi, e antiche modalità di conflitto (ed ecco che torna il discorso sul potere) per cui se una donna è visibile deve scontare quella visibilità, che di certo, vuoichenonlosappiamo, ha conquistato in spregio ad altre più meritevoli, e di certo, unavaleuna, ora tocca ad altre. Naturalmente, ancora, c’è chi aspettava da mesi la lotta nel fango per dire vedete? Son sempre le solite,  dai loro un osso e si scannano fra loro, altro che sorellanza.
Balle, di nuovo.
Tutto questo, però, è prezioso. Perché offre la possibilità di rifare il punto e, forse, di far uscire i discorsi sui femminismi dall’ombra dei partiti che in ogni modo hanno cercato di appropriarsene. Forse è legittimo e forse no. Dipende da come quell’appropriazione viene tentata. Dipende da quanto l’aria tossica (Io! Guardatemi! Amatemi! Solo il successo conta!) che abbiamo respirato in trent’anni di disgregazione ci ha avvelenato, e quanto siamo in grado di riconoscerla per poi disperderla.
Da parte mia, posso dire due cose.
Primo: i movimenti non sono quelli che vengono raccontati in rete e sui media. Dal vivo, chi si interessa di questioni di genere lo fa con forza, passione e generosità. Dunque, non pensate alle elefantesse che vi vengono suggerite in buona o pessima fede: la realtà è un’altra. Secondo: i femminismi hanno già conosciuto madri che hanno soffocato le figlie in culla. Non tutte, ovviamente, ma alcune sì. Non mi sembra che ci siano le condizioni perché il sacrificio si ripeta. Non vedo donne che parlano “in nome delle altre”: se questo è l’atteggiamento loro attribuito, è un falso. Se è l’atteggiamento percepito, parliamone. Al di fuori di ogni veleno.
C’è bisogno di parole nuove: e per nuove non intendo solo anagraficamente, perché (come scriverò domani) l’altra cosa che ho imparato in queste settimane è che non sempre essere giovani significa essere portatori di parole politiche rigenerate. Dunque, ora fermiamoci e restituiamoci complessità. Perché ne abbiamo, a dispetto di tutto, specie dei semplificatori che si fregano le mani pensando a quanti contatti in più porterà loro il prender parte a una mischia, o il raccontarla come tale.
La molto errabonda speranza
utile a molti mortali adduce,
ad altri molti di vane frivole brame l’inganno.
Né alcun ciò che s’appressa
sa, se col piede prima non tocca l’ardente fiamma.
Celebre è quella parola
detta da un uom di saggezza:
Spesso il male sembra un bene
ad un uomo a cui la mente
volse un Nume alla rovina.
E da rovina ben poco tempo lontano resta.

8 pensieri su “FEMMINISMI E SEMPLIFICAZIONI. DIARIO ELETTORALE, PARTE TERZA

  1. Interessante, vero? 😀 Forse dovevo esordire con qualche insulto? 🙂 Perchè, vista la golosità del boccone avvelenato che per settimane è stata l’unica “notizia”, l’argomento doveva avere una sua pregnanza. Ma forse, appunto, è goloso solo quando è tossico.

  2. Mah, io sto notando che è la parola femminismo che da’ proprio fastidio. Se poi prendi i problemi uno a uno e parli duramente, allora va meglio.
    Personalmente sono tuttora allibita da come viene ‘articolato’ il femminismo, che poi mi appartiene generazionalmente. Mi sembra che parlino di strane tribù sulla Luna…ma non c’ero io o non c’erano loro?
    Forse mancano gli strumenti per capire? Chenneso’, con i dati sulla lettura che stanno venendo fuori, non siamo più in grado di avere pensieri complessi?

  3. Beh, io espongo quel che penso: intanto nessuno ha registrato ‘sta benedetta serata al Maurice? Neanche due appunti? Poi: 1) esiste un rapporto tra donne e potere? Io credo si possa parlare di specifiche donne che raggiungono il potere o di gruppi di donne. Avrebbe senso parlare del rapporto tra uomini e potere? Ma su questo potresti specificare meglio la questione. 2) la parola femminismo oggi è effettivamente problematica, perché non ha più il significato che aveva prima. Oggi c’è bisogno di distinguere, dato che ci sono femminismi che si trovano su posizioni opposte. 3) io non so come si faccia ad affrontare i discorsi, però mi vengono in mente due cose: c’è in Svezia un partito femminista, credo piuttosto fanatico, comunque hanno un programma. Quindi, se si vuole rappresentanza politica forse la strada è questa. Ma in ogni caso non credo poi che i punti da te citati, dal welfare alla questione delle minoranze siano discorsi femministi o discorsi che necessitino di un punto di vista femminista. Penso che il concetto di femminismo abbia svolto la sua funzione di illuminare un percorso. Un po’ come la democrazia. Io non ho problemi a dirmi femminista e democratico, ma lo ritengo anche superfluo. Io onestamente non capisco quali discorsi andrebbero fatti e non capisco a cosa ti riferisci al discorso delle madri e delle figlie, ma d’altronde non ho mai partecipato a dei collettivi e sono dell’85. Al di là dei motivi che spingono una persona a far parte di un collettivo o di un movimento a livello politico rimangono i temi di cui sopra. D’accordo la complessità, ma anche la precisione. Diritto all’aborto: cambio di legge, chi è stato assunto fino a oggi può obiettare, i prossimi no.

  4. Loredana, ho taciuto perché ero a lavorare, ma sono parole che rinfrancano e di cui ti ringrazio. Ho appena sperimentato un incontro con alcune di queste “madri” che soffocano, e con altre donne abbiamo loro proposto un pensiero e una proposta di lotta per affrontare il discorso di disuguaglianza che racchiude tutti gli altri. Preferiscono ritagliarsi pseudo libertà entro quel discorso, senza metterlo in discussione, pare. Ci dicono che bisogna proteggere la libertà di prostituirsi quando io vedo solo donne che non hanno scelta, non hanno lavoro, non sono libere di non doversi prostituire per vivere. vedo la relazione tra quel discorso e tutte le diverse forme di sopraffazione e violenza. Ma il discorso di disuguaglianza che non permette di parlare di scelte pare che non si possa mettere in discussione, perché questo sarebbe moralismo. Bene, che ci restino entro quel discorso che non riescono a riconoscere come tale e non vogliono mettere in discussione. Io non posso più sopportare il dolore delle donne che nel nostro paese e nel resto del mondo cadono vittime – cadono, sottolineo, non “sono” – di questa cultura e dei carnefici che la difendono. Noi andiamo avanti con una lotta politica degna di questo nome. Un abbraccio.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Torna in alto