I BOOK BLOGGER E LE PRINCIPESSE DISNEY

Cosa c’entrano i book blog con le principesse Disney? Nulla, apparentemente: ma con un po’ di pazienza provo a spiegare il nesso.
I blog che si occupano di libri sono al centro di un ebook pubblicato da eFFe, titolare a sua volta di un blog e in passato e presente animatore di svariati luoghi della rete dove di libri e cultura si parla. L’ebook si chiama I book blog e il lavoro culturale, si scarica a bassissimo costo e i ricavati vengono devoluti all’Associazione Tumori  Toscana. Leggetelo: è un pamphlet breve che prova a delineare il non delineabile, ovvero un panorama così variegato e complesso da suscitare reazioni appassionate da parte di tutti coloro che, anche giustamente, non vi si riconoscono.  Potete averne un esempio leggendo l’intervento di Luigi Bernardi su Doppiozero o il dibattito che si è sviluppato su Dusty pages in Wonderland.
Provo a dire la mia, spostando però il discorso sulle case editrici, e non sui blogger: giudicati al loro esordio come un oggetto stravagante, di cui parlare come tocco di colore o da invitare, sempre per lo stesso gusto esotico, ai convegni, oggi i blogger letterari o libreschi che dir si voglia sono visti da uffici stampa e marketing editoriali non come la nuova frontiera, ma come l’ultima spiaggia. Voglio dire che nell’estrema difficoltà di ottenere recensioni e segnalazioni da carta e televisione, dato l’altissimo numero di novità pubblicate quotidianamente, si sogna quello che viene chiamato “il passaparola della rete”. Oh bello. E chi lo fa il passaparola? I blogger. E chi sposta le vendite? I blogger.
Non è vero, e se n’è già parlato in precedenza, segnalando proprio un post di eFFe in reazione alla ricerca dicembrina dell’Aie sui book blog “influencer” che sembrava – e forse era – una captatio benevolentiae verso almeno alcuni dei blog segnalati, quelli più propensi a parlare di ogni libro uscito in termini positivi o quanto meno neutri.  Bene, quella gratificazione di cui le case editrici fanno mostra verso molti blog (e che va dalle copie dei libri inviate – non a tutti e non sempre – gratuitamente, a quelle messe a disposizione per i give away -che è una pratica di marketing diffusa non solo per i libri, ma per qualsiasi prodotto,  sì, prodotto, di cui i blog e gli youtuber si occupano, dai rossetti ai foulard) viene utilizzata oggi da quasi tutte le aziende per coinvolgere quello che fino a ieri era un consumatore e oggi, gli vien detto, è parte attiva nel processo. Per quanto riguarda i book blogger, da ultimo si usano le loro recensioni per gli strilli di copertina, e si saluta con democratica compiacenza il loro ingresso tra i votanti dello Strega: in quanto blogger, naturalmente.  Poco conta che, almeno fin qui, i book blog non spostino davvero le vendite (si è parlato anche di questo, un mese fa, a proposito del rapporto sulla promozione della lettura): in Italia, checché se ne dica, i market movers sono ancora Che tempo che fa e il Premio Strega, piaccia o meno. E in Italia, oggi, si vende poco, pochissimo, anche in questo caso checchè se ne dica e vi dicano.
Dunque? Dunque il problema non sono i book blogger, che sono e devono restare liberi di scrivere quel che desiderano, si tratti di finissimi intellettuali o di ragazze e ragazzi che vogliono condividere le proprie impressioni di lettura. Il problema è il disperato tentativo di rendere tutti i blogger fra loro omogenei ed etichettabili nella definizione di consumatori: di pagine come di margarina (nel caso dei food blogger)  o tettarelle per l’allattamento (nel caso delle mom-blogger). La questione dei blog libreschi, secondo me, non può essere trattata come caso a parte: rientra nel complesso delle strategie promozionali che riguardano il web, laddove si insiste fino allo sfinimento sul concetto del “tu non consumi, tu crei”.
E qui entrano in ballo le principesse Disney, finalmente. E’ notizia recente la prassi dei dirigenti Disney che testano i nuovi personaggi fra i futuri consumatori. La Disney Junior Worldwide, per esempio, invia autori e uomini marketing nelle scuole materne chiedendo ai bambini cosa pensano del futuro prodotto. Come ha dichiarato al Wall Street Journal la vicepresidente Nancy Kanter, “con questo sistema capiamo cosa piace ai nostri potenziali clienti e soprattutto evitiamo errori che potrebbero pregiudicare la riuscita”. Sofia Prima, l’ultima principessa del gruppo, è nata così, dai commenti dei bambini filmati con videocamera, e ricompensati  con adesivi e gadget ( alla scuola va un centinaio di dollari per il disturbo).
Briciole, come si vede. Come briciole sono quelle elargite dagli editori ai book blogger (non sempre e non a tutti, è bene chiarire). Messo in chiaro che uno non vale uno, se dall’altra parte c’è qualcuno che economicamente ha il coltello dalla parte del manico, non credo ci sia altro da aggiungere: non sono convinta che i book blogger necessitino di punti fermi o di carta della trasparenza. Necessitano, come tutti noi, di consapevolezza.
Per questo, anche per questo, leggete il libro di eFFe.

4 pensieri su “I BOOK BLOGGER E LE PRINCIPESSE DISNEY

  1. Confesso di essere un po’ sorpreso dal fatto che la Disney presenti come innovativa la sua prassi. Letta così, mi pare che si tratti di nient’altro che di una riedizione aggiornata dei focus group, che nel marketing si usano dagli anni ’50. Da Wikipedia: “Un focus group (o gruppo di discussione), che nasce negli Stati Uniti ad opera di due sociologi degli anni ‘40 del Novecento, K. Levin e R. Merton[1], è una tecnica qualitativa utilizzata nelle ricerche delle scienze umane e sociali, in cui un gruppo di persone è invitato a parlare, discutere e confrontarsi riguardo all’atteggiamento personale nei confronti di un tema, di un prodotto, di un progetto, di un concetto, di una pubblicità, di un’idea o di un personaggio. Le domande sono fatte in modo interattivo, infatti, i partecipanti al gruppo sono liberi di comunicare con gli altri membri, seguiti dalla supervisione di un conduttore (in genere il ricercatore o un suo assistente). Nel mondo del marketing, i focus group sono uno strumento importante per l’acquisizione di riscontri riguardo ai nuovi prodotti. In particolare, i focus group permettono alle aziende che desiderano sviluppare, nominare o esaminare un nuovo prodotto di discutere, osservare e/o esaminare il nuovo prodotto, prima che esso sia messo a disposizione del pubblico. Ciò può fornire informazioni inestimabili sull’accettazione del prodotto da parte del suo mercato potenziale”. Niente di nuovo sotto il sole, mi pare, a parte il probabile uso di tecnologie contemporanee per gestire l’interazione e il feedback. Mi pare davvero strano che in sessanta anni la Disney sia ricorsa solo oggi ai focus group.
    Rispetto a quanto possano effettivamente spostare i book blog in termini di vendite, le considerazioni che mi vengono sono due. La prima è negativa: per esperienza, so che nel marketing nulla è più difficile da smontare di una congettura affascinante. E’ un assurdo per una disciplina che dovrebbe basarsi soprattutto sui riscontri empirici, ma è così: la dissonanza cognitiva impera anche nelle market intelligence unit. C’è però da dire, a parziale correzione di quanto sopra, che a volte la congettura – vista con il senno di poi – diventa una profezia: ciò che non sta nei numeri oggi ci starà domani: quando gli strumenti saranno stati sufficientemente raffinati, quando la tendenza sociale appena intravista si sarà consolidata, quando avremo imparato a sfruttare davvero ciò che adesso maneggiamo in modo goffo. Del resto, se uno volesse promuovere le innovazioni stando solo al loro impatto sui numeri, semplicemente le innovazioni non ci sarebbero: di e-commerce si parla, a mia memoria, dalla prima metà degli anni ’90, e solo da relativamente poco tempo i volumi sono diventati importanti. Penso sia probabile che lo stesso accada con i book blogger. Non so se sarà un bene o un male, ma ho la sensazione che, comunque, sarà.

  2. Pingback: Instaneography

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