I FRUTTI DEL DECORO

Due parole sul decreto anti-rave, o anti-raduni, o anti-Costituzione varato ieri. Le parole sono: “non stupitevi”. Questo non è un atto calato dall’alto ma un atto che va a incontrare un lungo percorso. Se permettete, posto un brano da “Roma dal bordo” che, almeno spero, lo spiega.

 

” Nelle periferie sarebbero sorti i comitati di quartiere che sarebbero stati i primi a chiedere ringhiere e cancelli e citofoni senza nome ma con i numerini, e a sognare le gated communities, le comunità chiuse, serrate, inchiavardate, e ad accusare non più quelli più periferici di loro ma i migranti e i rom di gettare cartacce e barattoli in terra, e anzi di essere essi stessi, con la loro presenza, cartaccia”.

“Decoro non è bellezza. Non è quella vagheggiata da Peppino Impastato ne I cento passi, attenzione. Non è questa cosa qui:

“Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità, si mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore”.

Il decoro che intendo io è esattamente quello delle tendine alle finestre, delle fioriere per gli orti urbani, dei balconi con i vasi di peonie: tutto quello che orna e che insieme nasconde. La bellezza è anche selvaggia, la bellezza non è uniforme: e soprattutto non può essere usata per coprire il resto. A cosa servono queste benedette fioriere se non a far dimenticare la povertà?

Nel 2017, quando viene varato il Decreto Minniti in materia di ‘Sicurezza delle città’, si comincia a usare la famigerata parola decoro come equivalente di “decenza di facciata”. Tant’è vero che in quello stesso anno il sindaco di Milano Beppe Sala decide di chiudere “per decoro” i parchi recintati della città.

Come ricorda Wolf Bukowski su Giap:

“Nella New York di fine Ottanta e inizio Novanta, una città che portava ancora i segni della crisi economica del 1975, convergono due movimenti. Uno è quello schiettamente securitario e poliziesco che troverà espressione nella «tolleranza zero» di Rudy Giuliani; l’altro, meno noto, è quello della «quality of life». Si tratta di ciò che da noi è stato chiamato «decoro».

Nella genesi del movimento per la «quality of life» i parchi sono fondamentali. I parchi poco curati, perché abbandonati dai servizi di giardinaggio pubblici (la municipalità aveva tagliato quasi della metà i giardinieri!) vengono infatti «adottati» da gruppi di cittadini bianchi e di classe media. Costoro – anziché usare il loro peso politico per ottenere nuove assunzioni nei servizi pubblici – indossano la salopette più stilosa, comprano le cesoie più ergonomiche, e giocano a fare i giardinieri volontari, tronfi d’orgoglio. Come scrive Fred Siegel, apologeta e teorico della «quality of life»:

«These efforts cultivate character as well as flowers. They catalyze neighborhood energies and can become an emblem of pride for local communities.»

Ma la redenzione (classista) degli spazi pubblici è una strada in salita, e presto i volenterosi giardinieri del decoro realizzano di non potersi più accontentare di mettere a dimora ciclamini. Di notte, infatti, gli spettri urbani, non sapendo dove altro andare, tornano ad abitare i parchi:

«mentally ill, homeless, transvestite prostitutes, as well as the usual drunks and drug addicts, [that] sleep in the park and use its bathrooms for sex.»

Ed ecco quindi la soluzione: ringhiere e cancelli. Si realizza così quella fusione tra risposta al disagio sociale e architettura ostile che ancora oggi è tipica delle politiche del «decoro».”

Tutto questo accade anche da noi. Decoro è quello che soddisfa una certa classe sociale che ritiene che i propri figlioli non debbano vedere sporcizia e, sia mai, senzatetto. Decoro sono le strade fiorite in un paese morto. Decoro è tutto quello che finge di dare bellezza. E’ quello che paralizza. Come scrive ancora Bukowski:

“Tutta l’ideologia del «decoro», a ben vedere, è innestata di vittimismo. E questo proprio mentre, in apparente paradosso, gli illeciti del «degrado» sono spesso illeciti victimless. Chi è infatti la vittima di un senzatetto che dorme su una panchina? Lui e lui solo: in primis del capitalismo che gli ha tolto una casa, poi del «decoro» che gli toglierà anche la panchina. Ebbene: la magia del «decoro» è quello di rendere in modo immaginario tutta la città «vittima» del «degrado», e quindi vittima del senzatetto che dorme tra i cartoni. Che emerga quindi un immaginario vittimario in questa occasione non mi stupisce; esso, come quasi tutto ciò che accade ora, era già lì”.

2 pensieri su “I FRUTTI DEL DECORO

  1. Anche i prodotti della Street Art, o dei murales, a mio giudizio rientrano nella degenere categoria del”decoro”. Infatti vorrebbero portare un’aurea estetica nell’architettura. Ma l’architettura, quando ben progettata, ha gia’ in se’ l’esteticita’.

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