Per me, e per molte e molti, non è semplicemente un momento, un picco, un tempo – breve – di indignazione che monta per poi affievolirsi e passare ad altro.
Per me, e per molte e molti, il nome di Vanessa Scialfa non verrà dimenticato quando nuove emergenze occuperanno le cronache e le pagine dei giornali e gli status dei Social Network.
Per me, e per molte e molti, è l’occasione non solo di fare il punto su un fenomeno che da sempre esiste e che culturalmente non viene (non veniva?) fin qui riconosciuto. Il femminicidio è legato agli abbandoni. E’ legato a un’incapacità di accettare un rifiuto, un distacco, e la libertà di scegliere una strada diversa da quella che era stata prospettata. E’ legato, anche, a una rappresentazione mediatica di queste morti che tende, inconsapevolmente o meno, a “giustificarle”.
L’appello (sul sito di Se non ora quando le adesioni fin qui pervenute) è un primo passo per ottenere un’informazione corretta. Perché la soluzione, ha sempre detto Barbara Spinelli, non sta nella “vendetta” penale, ma in una serie di passi concreti (predisposizione di indagini adeguate, protezione delle donne nella fase di indagine, finanziamento permanente alle case rifugio). E la soluzione è nella cultura, nell’educazione (alla sessualità e al genere, nelle scuole), nei modelli. Nei racconti della cronaca, anche.
Per me, e per molte, è già un traguardo (provvisorio, certo) il fatto che la parola femminicidio sia stata scritta e pronunciata da molte e molti, in queste ore. Adesso, si va avanti.
Vi riporto, intanto, l’articolo di Natalia Aspesi uscito ieri su Repubblica:
“E va bene, aderiamo all’appello; e poi? Siamo d’accordo, lo sono tutti, chissà, anche quell’uomo sconosciuto e adesso certo del suo equilibrio che magari tra mesi o anni strangolerà furibondo una moglie disubbidiente e in fuga. Ascoltate le donne di “Se non ora quando”.
E cosa dicono su Twitter una valanga di femmine e maschi: il femminicidio riguarda la politica, è la politica che deve intervenire. Per impedire che in Italia le donne continuino a crepare per il solo fatto di essere donne: nel 2006 gli uomini ne hanno uccise 101, nel 2007 107, nel 2008 112, nel 2009 119, nel 2010 120, nel 2011 137; e nel 2012 le donne ammazzate sono già 54. Ammazzate soprattutto da mariti o ex mariti, da conviventi o ex conviventi, da innamorati respinti: il 70 % delle assassinate erano italiane, il 76 % degli assassini sono italiani.
Ma quanti articoli arrabbiati abbiamo scritto, quanti appelli sdegnati abbiamo firmato, ad ogni efferata, cieca, mortale vendetta di un uomo che ammazza la sua donna “per troppo amore”, negli ultimi decenni? Quante volte il cronista, preso dall’idea che la passione giustifica tutto, ammanta le coltellate, le randellate, come sì certo era meglio che no, ma si sa, un uomo innamorato poverino, si acceca e chissà quanto era stato provocato. E giù il passato della morta, a scovarne, storie e possibili deviazioni, in più, meticolosa descrizione del povero cadavere, possibilmente con foto dei poveri resti. C’è una misteriosa, segreta abitudine italiana di considerare le donne come gran brave persone certo, con gli stessi diritti certo, ma diverse, nel senso di un po’ ambigue, e sempre un po’ colpevoli: dall’aver lasciato scuocere la pasta a volersene andare, sfuggendo, meglio tentando di sfuggirea un ordine, a una consuetudine,a una sudditanza, in qualche modo disubbidendoa un uomo che, proprio perché sempre più fragile e insicuro, spaventato da quella persona che lo giudica e gli si oppone o addirittura non ne vuole più sapere, sente il bisogno di prevaricare, di essere riconosciuto come maschio, quindi come padrone.
Guai a dirlo, ma è così: del resto il famoso delitto d’onore, pare impossibile, è stato cancellato dalla nostra legislazione solo nel 1981. E la legge che condannava alla galera la traditrice (ma non il traditore), è stata abrogata del tutto nel 1969. Quando, alla fine degli anni ’60, cominciarono i processi per stupro, perché finalmente le ragazze superando la vergogna personale e il disprezzo popolare, osavano denunciare il loro stupratore, bisognava sentire gli avvocati in difesa del ragazzone stupratore, come infierivano sulla “colpevole”, chiedendo conto del passato della sua verginità, e che mutande portava, e perché non si era comportata come Maria Goretti, per non parlare delle mamme dei maschi “vittime” di quella sporcacciona, a lacrimare,a raccontarne l’indole pia e innocente. Certo il paese è cambiato, la giustizia pure, ma gli uominie la loro idea di potere legata al sesso, meno: in guerra lo stupro di massa fa parte del conflitto, in pace la donna continua ad essere una preda: la ventenne rapita e torturata da omacci l’altra sera a Voghera, gli episodi milanesi di una madre violentata in un parco in pieno giorno, di ragazze palpeggiate in metropolitana, continuano la storia del corpo della donna disponibile al desiderio di qualunque maschio, come un oggetto tra l’altro senza valore, usabile, deteriorabile. Anche qui, siamo nella tradizione: da ragazze, noi vecchiette di oggi, sapevamo che in tram saremmo state palpate, pizzicate, che una mano, ed altro, si sarebbero appiccicati al nostro sedere. Si diventava rosse e si stava zitte, e ci si rassegnava all’odiosa imposizione. E quando adolescenti tornando in pieno giorno da scuola, c’era sempre in un angolo un signore con la patta aperta, tanto così per mostrare con orgoglio le sue virtù virili? Anche lì zitte, come se in qualche modo fosse colpa nostra.
Sono storie lontane, ormai ridicole, e fortunatamente oggi una palpata non richiesta viene denunciata, suscita l’indignazione di massa e uno stupratore rischia anni e anni di galera. A beccarlo naturalmente. Perché ciò che indigna di più della violenza misogina, e ovviamente ancor più della vita strappata a tante donne, è che troppo spesso non si trova il colpevole: il fidanzato? Forse. Il compagno? Potrebbe essere. L’ex marito? Chissà. Ci sono ammazzamenti di donne che rendono furibonda la televisione che mette in piedi a ogni ora dibattiti infuocati, presente anche il sospettato autore del delitto. Poi ci si stufa e non se ne parla più, né interessa sapere se poi il delinquente è stato trovato o se invece si è condannato un innocente.
Ai processi qualche volta ci si arriva, ma poi, come nel “delitto di via Poma”, la condanna era ingiusta, il condannato innocente viene giustamente liberato, e intanto, ancora una volta resta impunito l’omicidio di una povera giovane bella ragazza di cui a fatica ormai ci ricordiamo il nome. Le donne ammazzate, diventando una notizia troppo frequente, finiscono col meritarsi ormai poche righe frettolose, oppure ne scrivono solo i giornali di provincia, a meno che la storia sia particolarmente efferata o se appunto qualcuno, donne, si stufa e si ribella. E propone un appello: certo che in tanti si aderisce all’appello affinché la strage finisca.
Ma la domanda che per ora non ha risposta è: perché questa strage? Perché ancora è così difficile per un uomo, non necessariamente un criminale, sarebbero troppi, accettare la libertà della donna, l’integrità del suo corpo, la sua volontà, le sue scelte? Perché la sua difesa troppo spesso è solo la violenza? Perché? Ma se lo chiedono gli uomini, tutti quanti, anche i più irreprensibili, e generosi, e ahi! innamorati?”
Credo che l’appello sia un modo per dare visibilità a questo problema,di cui molte blogger parlano da parecchio tempo e con continuità.
A questo appello devono seguire azioni concrete.
Mi ha fatto piacere vedere che molti politici hanno aderito all’appello promosso da SNOQ,nelle prossime settimane mi farebbe altrettanto piacere vedere che presentino in parlamento o nei propri consigli comunali proposte concrete,ad esempio l’inserimento nelle scuole di ore di educazione sessuale (questa è solo una delle azioni che ritengo necessarie in merito)
Chi si occupa da parecchio tempo di questa questione deve vigilare a tal proposito,altrimenti passata la notizia cadrà di nuovo tutto nel vuoto fino alla prossima vittima.
E’ esattamente quello che mi propongo di fare, Marta. I fatti non possono essere disgiunti dalle pratiche, e l’educazione sessuale a scuola va introdotta, ponendo fine a un’altra delle molte anomalie italiane.
Non avevo dubbi,infatti stamattina mi aspettavo un tuo post in merito e su questa linea.Ci sono molte cose da fare ma l’introduzione dell’educazione sessuale nelle scuole lo ritengo un passo fondamentale per far fronte a questo problema che è molto più di un’emergenza.
Sono d’accordo con Marta!
Penso che chi anima questo dibattito dovrebbe guidare i politici in quelle decisioni pratiche… perché onestamente non sono sicura che siano consapevoli delle azioni da intraprendere come chi invece se ne occupa da tanti anni. Non è scontato sapere da che parte cominciare, e riconoscerlo sarebbe il regalo più bello che chi ci governa potrebbe fare alle donne di questo paese: capire che non sanno di cosa parlano, e affidarsi a chi lo fa perché ci crede.
Una mattina un paio di settimane fa ho sentito su Radio 3 (perdono ma non ricordo il nome nè la trasmissione, non riesco proprio a ritrovarla, qualcuno può supplire?) l’intervista con una sociologa che si occupa di violenza sulle donne. Diceva che tendenzialmente questa si impenna in un Paese quando le donne si emancipano, come reazione. Inizialmente. Ma poi, man mano che l’emancipazione viene a far parte dello stato delle cose, la violenza tende a diminuire. Questo processo è più o meno favorito e accelerato da pratiche, misure legali, cultura ecc…
Diceva anche, pur non parlando di numeri, almeno nel pezzo che ho ascoltato io, che per numero di omicidi di donne l’italia è meno peggio della maggiorparte dei paesi europei, mentre per violenza in generale contro le donne è tra i peggiori.
(Come esempio di un provvedimento da mutuare contro la violenza domestica indicava questo praticato negli USA: non è come da noi la vittima che denuncia a dover poi fuggire, nascondersi, comunque lasciare la casa in cui vive, magari portando con sé i figli e con grandissime difficoltà anche logistiche, bensì il picchiatore conclamato che viene allontanato (arrestato) permettendo alla vittima di continuare a vivere in casa propria.)
Per correttezza di informazione non sono 54 donne, sono 54 vittime tra donne e bambini, che – a mio parere- è ancora più grave. Fonte: http://bollettino-di-guerra.noblogs.org/
@Laura
Appunto, per correttezza di informazione che senso ha parlare di femminicidio quando nel computo delle morti si rubricano i figli (maschi tra l’altro, il figlioletto gettato nel Tevere piuttosto che quello ucciso dal padre – e la motivazione a cazzo quale sarebbe? Che l’ha ucciso per evidenti turbe psichiche? Ma no! Ha ucciso il figlio per vendicarsi della moglie, naturalmente)
http://bollettino-di-guerra.noblogs.org/post/2012/02/28/26-italiano-uccide-il-figlio-per-vendicarsi-della-moglie/
Ma stiamo scherzando? Cosa c’entra con il femminicidio? Tutto fa brodo? Così è facilissimo aumentare ogni anno il numero delle vittime, giusto? Tanto poi l’Aspesi di turno, così come gli altri, leggono 54 vittime ad oggi e mica vanno a controllare, purtroppo. La catena della fiducia è questa: io scrivo una sciocchezza e altri si fidano. A forza di rimpallare il dato esso diventa vero per sedimentazione e poi pensano che siano tutte donne uccise dai partner, leggono che ogni anno aumentano di qualche unità e si preoccupano di questo trend che in realtà non esiste ed è un’invariante.
Insomma, ma che metodo eh? Un po’ di serietà almeno. O questi approcci danno fastidio solo a me?
Mai quanto i tuoi interventi e la tua supponenza. Hommequirit abbiamo capito tutti che presenzi i blog che parlano di donne per fare resistenza. Mi dispiace solo che continuino a fartelo fare.
@Giulio
Ma nemmeno per sogno. Ho la sventura di essere a letto influenzato e così mi sono messo a fare quello che altri non fanno mai: controllare ciò che vinee scritto da altri invece di bersi fideisticamente tutti i dati che sono già compatibile con la propria visione del mondo, qualunque essa sia.
Tra l’altro non faccio resistenza, entro semplicemente nella sostanza e a differenza di lei non mi interressa il dito di chi indica la luna ma solo la luna. E a differenza di quanto ha appena fatto lei io non ho da catalogare il prossimo nelle categorie del mio pregiudizio.
Ripeto quello che ho scritto altre volte: a gente come hommequirit et simila, che sputa su qualunque cosa riguardi le donne, non si può rispondere se non restituendogli lo sputo.
@ hmq
no, questi approcci possono dar farstidio anche ad altri, magari tu in genere dai molta importanza alla correttezza dei numeri. è certamente un difetto generale della stampa e di queste discussioni l’aver legato una questione al suo rilievo basato sui numeri, e l’uso di una retorica fuoriluogo, oltretutto mentre si critica la retorica melodrammatica di certa cronaca. però, e mi riferisco anche alla discussione di ieri, non è per forza un male che in qualche modo sta nascendo un discorso attorno a dei casi, che non è detto che siano così imponderabili, la loro scarsa incidenza non dice nulla della loro caratteristica, in più sembrano un fenomeno attuale, legato alla società attuale, per cui è pensabile che una trasformazione generale modifichi una situazione particolare ( può accadere anche che peggiori ovvio ). magari con toni diversi, però un discorso attorno al femminicidio che non lasci il campo alla cronaca e alla malattia mentale non è per forza un male.
la domanda per Lipperini ( mentre provo a riflettere sulle sue ) è: di queste storie cosa sappiamo? Queste coppie, quando erano coppie, erano felici?
@Hommequirit
Siccome tutto non è uguale a tutto e la giustizia marcia (ancora) a diverse velocità, leggiti questo e prova a ragionarci su.
http://vesuvionline.ilcannocchiale.it/post/2735175.html
@Valter Binaghi
Mi stupisce. Non capisco proprio quale pertinenza abbia un amarissimo caso personale di ritardo della Giustizia (in un processo che non è ancora giunto ad un giudizio di primo grado) con la constatazione che le cifre sulle quali si imbastiscono petizioni e indignate chiamate alle armi sono un minestrone inaffidabile di omicidi diversi tra loro. Non ha compreso che ciò che contesto è che se il femminismo non sa elevarsi al di sopra di una standard di correttezzae autorevolezza si tira la zappa sui piedi? E che puntare su una retorica dei numeri, scazzandoli con leggiadria, fa tornare indietro la credibilità delle sue proposte di fronte a coloro che andrebbero sensibilizzati? Se fossi una donna dovrei concludere che il femminismo sembra lavorare contro di me attravero la convinta riproposizione di tutti quei pregiudizi di stupidità che i maschilisti d’ogni epoca hanno attribuito al mio genere
Hommequirit, molti auguri per la sua influenza. Come ho avuto modo di scriverle in precedenza, la sua visione delle cose è chiarissima, e non c’è alcun bisogno di reiterarla.
Approfitto invece per riportare qui due interventi di segno diverso. Il primo è di Isabella Bossi Fedrigotti ed è apparso sul Corriere di questa mattina. Il secondo è un articolo di Concita De Gregorio su Repubblica. Li incollo qui sotto:
Non chiamatelo più un «femminicidio» di Isabella Bossi Fedrigotti
Sono sempre più frequenti gli assassini dentro la famiglia le cui vittime sono mogli, fidanzate, compagne, uccise dai partner. Delitti che si sentono definire, per una certa ansia di precisione, «femminicidi»: parola che rischia di ottenere un effetto opposto a quello che si propone, che finisce per farli intendere come chiusi in una categoria, meno gravi dei normali omicidi.
Ci piace essere chiamate femmine? Non tanto. Probabilmente, perché, magari erroneamente, abbiamo l’impressione di sentire in quel termine una vaga intenzione di svilimento, se non di disprezzo. Del resto — sebbene la parola alle nostre orecchie italiane suoni inevitabilmente un po’ più nobile — è facile pensare che neppure gli uomini siano molto contenti di sentirsi definire maschi, sorta di timbro per distinguere un capo di bestiame.
Di conseguenza piace poco il termine «femminicidio» che si sta diffondendo, impiegato sempre più di frequente perché sempre più frequenti sono gli atti che vuole definire: gli assassini nella famiglia, cioè, le cui vittime sono mogli, fidanzate, compagne, sia ex che ancora in essere, ammazzate dai partner per gelosia, per vendetta o anche per quello che qualcuno immancabilmente si affretta a definire «troppo amore». Delitti in preoccupante crescita, un anno dopo l’altro. Difficoltà economiche, disoccupazione o dequalificazione professionale non possono che essere benzina sul fuoco di un carattere tendenzialmente aggressivo o, anche, soltanto difficile, diffidente, insicuro. Affamato di possesso.
Delitti che da qualche tempo si sentono definire, per una certa ansia di precisione, femminicidi. Questo rischia di farli subito intendere come minori, meno gravi dei normali omicidi. Uxoricidi si chiamano nel codice, ma uxor è la moglie, non la fidanzata, l’ex fidanzata, la convivente o la ex convivente, categorie che, quanto a rischi mortali, non hanno nulla da invidiare a quelli delle legittime consorti: per loro, dunque, è stato inventato il nuovo termine. Ma le parole contano, ed è pericoloso usarle con leggerezza perché possono modificare la percezione.
Felice la lingua tedesca, si vorrebbe dire, che per uomini, donne e anche bambini possiede il termine Mensch che, pur contenendo il resto di una radice maschile, indica la profondissima essenza umana.
da il Corriere della sera 30.4.12
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“Quelle donne bruciate per emulazione in Argentina”, di Concita De Gregorio
Wanda e le altre, arse vive dai mariti così l´uxoricidio scatena l´emulazione. La follia di una rockstar e i delitti che sconvolgono l´Argentina. Due anni fa il batterista della band maledetta Callejeros dà fuoco alla moglie. Da allora a Buenos Aires si contano almeno quindici casi simili. Il gruppo di Vazquez era stato già protagonista di una tragedia: un incendio prima di un concerto aveva provocato la morte di 194 persone
SI IMITANO. Si esaltano, si sentono dannati e onnipotenti. Dispongono della vita e della morte, accendono il fuoco e appiccano il rogo: bruciano le donne. Ragazzine, adolescenti incinte, giovani madri. Fanno come ha fatto il loro eroe, il cantante maledetto del gruppo rock di successo. Anche loro, come lui. Ti do fuoco, ti guardo bruciare. Succede a Buenos Aires, e nessuno ne parla perché non fanno notizia storie così. Delitti domestici, roba ordinaria. Questa è una storia lontana, una storia argentina. Ma è una storia esemplare. Perché mentre di nuovo, in Italia, come un fiume carsico riemerge l´allarme per quello che si chiama femminicidio ed è il frutto del malamore, la trappola assurda e mortale a cui le donne si sottomettono scambiando la violenza e il senso del possesso per amore, laggiù lontano oltre l´oceano una sequenza di roghi ci dice qualcos´altro. Che si può uccidere per somigliare a un eroe della musica dannata, che se nessuno ferma la spirale e la chiama per nome, la nomina per quello che è, diventa quasi un gioco. Un videogame, una sfida. Sono almeno quindici, forse di più, le donne bruciate a Buenos Aires. «Sì è vero. Da noi le donne le bruciano», conferma Fernando Iglesias, deputato e scrittore. «È diventata una moda. Da quando il batterista dei Callejeros, quel gruppo rock famosissimo anche per la tragedia dell´incendio in discoteca, insomma da quando Eduardo Vazquez ha bruciato la sua donna, un paio d´anni fa, è scattata l´emulazione».
Hanno cominciato subito dopo di lui, i ragazzini, a dar fuoco alle fidanzate. Non hanno più smesso. Le bruciano in cucina, di solito». Come in cucina, ma che dici? «In cucina, sì. E di mattina. È appena uscita una statistica: più spesso di mercoledì, più spesso di mattina dopo le 11. In casa, in città, qui a Buenos Aires. In prevalenza ragazze fra i 15 e i 25 anni. Però non ne parla nessuno, lì da voi nel Primo Mondo: seguo le rassegne ma non ho visto niente. Eppure è un contagio spaventoso. Il fuoco, poi: primordiale. Troppi casi analoghi, stesse modalità, torce umane, l´ultimo delitto un paio di mesi fa. Il processo è in corso adesso. Danno la colpa a lei, alla morta». La colpa di cosa? «Di essersi bruciata da sola. Ci puoi credere?».
No, non ci posso credere. Non ci posso credere e le voglio ascoltare con le mie orecchie, vedere coi miei occhi le testimonianze di chi, al processo, dice che Maria Aldana Torchielli, 17 anni – diciassette, un´adolescente pallida – il 15 febbraio di quest´anno, durante una lite, si è cosparsa da sola di alcol. Quello per disinfettare le ferite e per pulire i pavimenti, l´alcol rosa nei bottiglioni di plastica. Che se lo è rovesciato sui genitali, in testa, sui piedi e sul seno e che – da sola, da sola – ha annunciato al suo irascibile ragazzo, Juan Gabriel Franco, 23 anni: mi do fuoco. Che lo ha fatto perché era «instabile e gelosa», testimoniano in aula i conoscenti per la soddisfazione della famiglia di lui. Troppo gelosa. Lui ha cercato di salvarla, aggiungono, infatti ha le mani e le braccia ustionate. Ma lei voleva morire: è stata lei ad uccidersi. Anche i due poliziotti che sono intervenuti per primi nell´appartamento, due misere stanze, hanno detto sotto giuramento che prima di perdere conoscenza Aldana ha sussurrato loro: sono stata io. Sono gli unici due testimoni, i poliziotti. A parte Juan Gabriel, naturalmente, che però è anche accusato dell´omicidio per cui diciamo che è di parte. Aldana è arrivata in ospedale in coma, non ha mai ripreso conoscenza. Aveva ferite gravissime al volto, al collo, al torace, all´addome, i genitali erano carbonizzati, le mani e i piedi disciolti. La famiglia del ragazzo è presente in aula. Lei lo provocava, dicono, era gelosissima. Lo minacciava. Però lui è qui, lei è morta, risponde Myriam la madre di Aldana: era mia figlia, ripete come un´ossessione. Era mia figlia. Lui è qui e lei è morta. «La famiglia di quell´uomo mi ride in faccia, mi guarda negli occhi e ride. Ma io non mi arrendo, non mi lascio intimidire. Io so che l´ha ammazzata, lei aveva paura. Devo essere forte perché Aldana ha molte sorelle. Wanda Taddei è con me».
Ecco, Wanda Taddei. La giovane donna uccisa dal batterista dei Callejeros, Eduardo Vazquez. Un idolo, lui: amato dai giovani e circondato da un´aura di dannazione. Adorato perché dannato. Una storia che ricorda da vicino quella di Bertrand Cantat, il leader dei Noir Desir assassino di Marie Trintignant, figlia del grande attore. Questa però, la storia di Eduardo Vazquez, non è solo una storia di violenza: è una storia nera di fuoco. Il fuoco omicida e purificatore, dicono i siti deliranti a cui gli adolescenti si ispirano per bruciare le loro ragazzine. Conviene riassumerla nella sua tragica insensatezza.
I Callejeros sono il gruppo rock sulla cresta dell´onda che deve esibirsi il 30 dicembre 2004 nella grande discoteca Cromagnon, in calle Bartolomeo Mitre, Buenos Aires. Arrivano a migliaia. Poco prima del concerto qualcuno lancia un petardo. Prende fuoco un telone, poi un altro, poi tutto. Le porte sono chiuse dall´esterno. Nel rogo, in pieno centro città, muoiono 194 persone. Sono quasi tutti ragazzi fra 17 e 23 anni. 1432 sono i feriti gravi e gravissimi. Alla vigilia di Capodanno sparisce una generazione. La tragedia di Cromagnon dà via a un processo infinito, nessuno sembra responsabile. La strada, calle Mitre, viene chiusa e diventa un mausoleo a cielo aperto. I Callejeros – alcuni di loro hanno perso nell´incendio i genitori e gli amici – sono considerati i responsabili per così dire morali. Diventano il simbolo della distruzione e della morte nel fuoco. Ci sarà un referendum popolare, anni dopo, per decidere se possano tornare ad esibirsi. Non accadrà. Non suoneranno, da quel giorno, mai più. Nessuno li vuole. I componenti della band si disperdono, si perdono. Nascono siti e gruppi che ne adorano l´assenza e la maledizione. Sei anni dopo il batterista ritrova la sua fiamma di gioventù, Wanda Taddei, e la porta a vivere con sé. La ragazza aveva 15 anni quando si erano incontrati la prima volta, ma la famiglia di lei li aveva divisi: lui è un violento, ubriaco, drogato. Non fa per te, te lo vieto: le disse allora il padre. Questa volta però lei è una donna. Ha un matrimonio alle spalle e due figli maschi. Vuole Eduardo, il suo amato aguzzino: va a vivere con lui. Il 10 febbraio 2010 lui la brucia, durante una lite: la cosparge di alcol e le dà fuoco. I bambini, Juan Manuel e Facundo, sono rintanati in uno sgabuzzino. «Ci sentivamo sempre più sicuri nello sgabuzzino», dirà Facundo al processo. «Eduardo picchiava sempre la mamma». Siamo a febbraio, da allora è un rosario di delitti.
Il primo – identico – sei mesi dopo. Fatima Guadalupe Catan, 24 anni, incinta, bruciata viva in casa dal fidanzato. Poi Dora Coronel, 26 anni. A dicembre Alejandra Rodriguez. Madre di una bimba di 4 anni, bruciata in cucina con l´alcol. Subito dopo Norma Rivas, 22 anni, tre figli: con la nafta, questa volta. A gennaio del 2011 Ivana Correa, 23 anni. A marzo muore Mayra Ascona, 30, incinta. Bruciata in casa dal marito. Tutti casi isolati, nessun allarme, nessuno che metta in fila la sequenza. Fino a febbraio di quest´anno, quando la madre di Aldana, la diciassettenne morta dopo dieci giorni di coma, va in tv e dice nello strazio: sarò forte per le sue sorelle, le sorelle di Aldana mia figlia e di Wanda Taddei.
C´è una superstite, si chiama Corina Fernandez. Dice: «Cadi in una rete di paura e non ce la fai ad andartene. Quando dici me ne vado è allora che ti ammazzano». Il femminicidio col fuoco è oggi in Argentina al quarto posto nelle classifiche di morte, che dicono così: 1) proiettili. 2) pugnale e coltello. 3) botte. 4) fuoco. Una ragazza su dieci muore bruciata. Seguono: strangolata, sgozzata, asfissiata, uccisa col martello, bastonata, affogata. Di solito per mano del convivente o dell´ex. Di solito in casa. Elena Highton de Nolasco, giudice della Corte Suprema, afferma avvilita che «non possiamo mettere un poliziotto accanto ad ogni donna che denuncia». Corina, che si è salvata per caso, aveva denunciato il compagno 80 volte. Ottanta. «Ora lo hanno condannato a sei anni, e io ho i giorni contati. Quando esce di sicuro mi ammazza». Mi brucia, dicono ormai le donne argentine. È diventato sinonimo. Quando esce mi brucia.
da La Repubblica 30.4.12
Va bene, non reitererò più la mia critica. Tuttavia vorrei farle capire che qui non c’è una differente visione tra noi, così come non c’è alcuna battaglia da vincere. Non siamo nell’opinabile de gustibus per cui ognuno dice la sua e l’altro al massimo è tenuto a condiveidere più o meno la posizione dell’altro. Non siamo al livello del dire che a me piace il rosso mentre a te il blu, a me il violino, a te il piano. Siamo in una discussione in cui alcuni dicono che il blu è rosso e il violino è il piano. Per questo lei è tenuta a confutare le mie critiche e se non ci riesce a cambiare opinione. Si chiama metodo critico. Se invece la sua è una religione allora mi consideri come un aspirante discepolo sulla via di Damasco a cui ingiustamente non è ancora stato dato il dono della fede che invece lei professa con ammirevole sprezzo del reale.
PS
“Felice la lingua tedesca, si vorrebbe dire, che per uomini, donne e anche bambini possiede il termine Mensch che, pur contenendo il resto di una radice maschile, indica la profondissima essenza umana.”
Ah! Questa immotivata invidia per i tedeschi: la lingua italiana non ha forse la parolina “persona” che copre esattamente lo stesso spettro semantico? Proprio vero: il punto più buio è quello sotto la luce.
ps 2
Per non parlare del latino homo, che dà il nome alla nostra specie
Questa canzone mi è venuta in mente leggendo l’articolo sulle ragazze argentine bruciate vive.
Eminem:
I’m tired of the games,
I just want her back,
I know I’m a liar,
If she ever tries to fucking leave again,
I’m ‘na tie her to the bed,
And set the house on fire
Rihanna:
Just gonna stand there
And watch me burn
But that’s alright
Because I like
The way it hurts
Just gonna stand there
And hear me cry
But that’s alright
Because I love the way you lie
Un paio di anni fa Love The Way You Lie di Rihanna featuring Eminem ebbe una certa diffusione in Italia; le parole di violenza, addirittura cantate da una donna, mi lasciarono annichilita.
E per una volta ritenni una fortuna che qui l’inglese si conoscesse poco.
mi sento otalemnte d’accordo con Natalia Aspesi e molto vicina a quanto dice Isabella Bossi Fedrigotti.
Ovviamente la denuncia terrificante che fa Concita De Gregorio avrebbe lo stesso effetto anche se non si chiamasse femminicidio.
Tutto quello che siamo abituate a sopportare fa parte della nostra cultura e quelle poche educazioni sessuali a base di banane che si fanno in classe non aiutano certo a mitigare quel senso di inadeguatezza, di colpa velata che ancora oggi accompagna le ragazze quando sono vittime di una violenza grande o piccola.
Alcuni anni fa se una si ribellava ad una mano morta poteva anche essere presa a schiaffoni dal molestatore. Ma anche adesso, a quanto mi fanno capire le ragazzine con le quali lavoro nel Centro Diurno non solo c’è sempre parecchio senso di colpa, ma sempre di più c’è timore di tutti gli “esterni” mescolato a tanta voglia di (af)fidarsi; c’è la necessità di suddividere i comportamenti in categorie, di proteggersi dalla massa in pericolo dicendo “quelle sono puttane, io no e quindi posso stare più sicura”. Ecco assieme all’educazione sessuale (fatta anche ai maschi, però, non che loro escono di classe al momento della banana) una semplice educazione a pensarsi persone sarà mai possibile?
Sugli uomini e la violenza penso spesso al racconto In fuga, di Alice Munro.
Nel finale la protagonista è sola in una casa isolata, con un uomo forse “violento” davanti alla porta aperta. Ha paura, e l’uomo cammina verso di lei, appoggia la mano allo stipite della porta, la osserva, sembra capace di tutto. Di colpo però succede qualcosa. La donna guarda lontano, grida, l’uomo si volta, e a un centinaio di metri appare una visione, “un animale ultraterreno, bianchissimo, caparbio, come una specie di gigantesco unicorno diretto a testa bassa verso di loro”. Questo momento di magia cambierà tutto. In realtà l’animale è solo una capra, però basta un attimo di sospensione e paura per far ridiventare l’uomo un essere umano – e cioè fragile, vero. Dopo qualche rapida chiacchiera (lei non ha più paura, adesso), l’uomo e la capra si allontanano nella notte, lasciandola sola.
Beh, forse è da qui che bisogna partire – dalla capra, dico.
Saluti,
Sul concetto di femminicidio, non so se ti interessa, sono piuttosto d’accordo con te, hommequirit.
Fino a un certo punto mi sta bene, oltre si crea solo confusione inutile e dannosa e si scade nel solito vittimismo.
Un po’ come quando i vari casi di decessi negli ospedali vengono immediatamente divulgati dai mass media sotto l’unico e ansiogeno titolone di malasanità.
Ma volendo anche dare per buono il concetto, non riesco a capire in che modi si debbano mobilitare “gli uomini”, e poi, gli uomini CHI? I soliti noti o anche i meno noti che singolarmente frequentiamo e che prevedibilmente sapranno dire la cosa buona e giusta?
Quelli che odiano le donne ce l’hanno scritto in faccia?
Sarò banale e tonta ma proprio non capisco.
E pregherei Adrianaaaa di evitare la frase “a gente come hommequirit et simila”! Ma chi è la gente e chi sono i similia?!?
Sentite, fanciull*: visto che siete tutt* così interessat* a non dimenticare Vanessa e tutti i femminicidi contabilizzati a oggi nel numero di 54, fate come me. Fate una cosa onesta che chiaramente né la Lipperini né gli altri, che chiaccherano per il sapore della lacrima sul viso, sembrano davvero aver fatto: andate su Bollettino di Guerra, in cui sono contate le 54 vittime e leggetene profilo, morte, storia e contesto. Potrete finalmente togliervi il paraocchi dei vostri discorsi a tesi e scoprire che delle 54 vittime:
– 24 erano donne uccise per motivi di coppia (ex, convivenza, matrimonio);
– 3 prostitute;
– 11 straniere (bangladesh, 2 polonia, 2 romania, 2 cina, ecuador, albanese, 2 asia) – questa sottocategora riguarda la totalità delle prostitute e parte delle coppie;
– 5 madri
– 11 donne sopra i 67 anni d’età.
Arriviamo al quadro degli assassini:
– 13 gli indagati ma non certi (4 motivi economici)
– 6 rei confessi con problemi psichici
– 8 suicidi commessi dopo omicidi; altri suicidi non contabilizzati senza che si sia compiuto l’assassinio.
L’aspetto più truffaldino è che il femminicidio non ammonta affatto a 54 donne, bensì 46, di cui naturalemnte contiamo una suocera uccisa in una sparatoria che ha coinvolto altri.
Degli altri, 7 sono uomini (più un ottavo caso femminile fantasmatico), caduti per mano maschile e finiti paradossalmente ad alimentare il numero magico di 54 . Leggiamo assieme:
– figlioletto gettato nel Tevere (madre intatta)
– cognato sventuratamente presente in sala al momento dell’omicidio
– bimbo (madre intatta)
– l’amico della moglie (uccisa) e un coetaneo della figlia (uccisa anch’essa)
– bimbo (madre intatta)
– Una donna sparita mesi prima che viene rubricata come morta solo in quanto identificata da alcuni in Toscana (notare che non c’è alcun morto!). Poi la sosia dichiara : “non sono io la Ragusa che cercate”. Però ormai la vittima #49 è contata, e per certe contabilità i morti non si resuscitano nemmeno quando non lo sono.
Dulscis in fundo il settimo cadavere maschile: un giovane ucciso dai parenti in un delitto d’onore perché frequentava in un amore clandestino uan donna sposata e conosciuta su facebook. Donna che è viva e mai è stata aggredita da nessuno!
Hommequirit. Se anche la donna fosse una sola, combatterei lo stesso. E fare il contabile nel giorno dei funerali di una ragazza di vent’anni mi disgusta. Basta così.
A proposito di abbandoni, da qualche tempo noto che la questione, sottolineo delicatissima, dei padri separati sta prendendo una piega inquietante.
I nuovi poveri, gli abbandonati da un’ex avida di assegni, cattiva, amante di un altro, che usa i figli come armi di ricatto, etc.
Queste le definizioni più diffuse. Uomini disperati, privati di tutto, costretti a vivere in comunità o centri parrocchiali.
Ora, in un articolo o servizio tv dove non si sente MAI la controparte, chi non dipingerebbe la donna “abbandonante” come una rèproba senza scrupoli?Quale telespettatore non sarebbe disposto a “comprendere” un gesto di “follia”, magari “amorosa”?
Non so se è un vuoto di memoria, ma non ricordo niente di simile per le mamme separate/ragazze madri, eppure le prime serie di C’è Posta Per Te si sono rette pricipalmente su casi di uomini che hanno abbandonato su due piedi compagna e prole per poi tornare in ginocchio di fronte a ragazzi adulti cresciuti come orfani di un genitore vivo.
Quelle donne si sono rimboccate le maniche e sono andate avanti senza nessun tribunale che riconoscesse loro un bel niente in un paese che ha a lungo guardato con disprezzo la donna sola con figli (di chi?) o la separata “che non si è saputa tenere il marito”.Dubito che abbiano fatto una bella vita piena di agi.
Nessuna trasmissione/inchiesta si occupa o si è mai occupata di tutte quelle, e sono tante, che non ricevono gli alimenti. Improvvisamente, agli onori delle cronache, nelle separazioni, è lui e solo lio lo svantaggiato. Mi chiedo se non sia una “bolla” giornalistica anche questa, come la febbre dei polli o i pitbull pericolosi.
Mi chiedo se, al netto di sentenze di separazione sciagurate, non sia anche questo un fattore che non gioca a favore dell’indipendenza della donna e della sua autodeterminazione quando un matrimonio finisce.
a favore del riconoscimento da parte della società della donna, della sua indipendenza e autodeterminazione quando un matrimonio finisce
E’ vero. Ma penso che il problema dei padri, comunque, esista. Che non vada lasciato a chi delira di nazifemminismo, e che vada affrontato insieme. La maternità è, anche, un potere. E i poteri buoni non esistono: la genitorialità, per come la vedo, va condivisa. Restituire importanza al paterno è uno dei passi importanti da fare, proprio per evitare che questa battaglia vada combattuta in termini anti-donna.
I modi della violenza maschile possono essere tanti, quando non sono violenti, materialmente aggressivi, sono subdoli. Con protervia, arroganza e presunzione, essi, spesso, tentano di controllare la mente della donna che gli sta a fianco, lavando via i bei pensieri originali che il cervello di quella donna partorisce, cercando di sminuire quelle idee, talvolta coraggiose, che fioriscono dalle meningi femminili a loro vicine.
Se è vero che dietro ogni grande uomo esiste una grande donna, è pur vero che solo un uomo con la testa davvero vasta può trarre piacere dalla grandezza di una donna, e rispettarne la forza, la cultura, il mondo interiore intero che, a quella donna, appartiene.
E’ pieno di uomini psicotici che, non compiendo atti definitivi ed estremi, nei confronti di una donna, vivono nella nostra società, nel pieno seno di essa, indisturbati, a piede libero, continuando a perpetrare, giorno dopo giorno, nella mancanza di rispetto per il cervello femminile, un reato antico come il mondo, da cui, questo è il mio pensiero, quando lo psicotico vira in psicopatico, si arriva a queste violenze terribili ed oscene, che stanno aumentando sempre di più.
La prima via che mi fa apprezzare un essere umano maschile, è quando sento, intimamente sento, che rispetta e valorizza ciò che io penso.
quanti luoghi comuni Rebecca!
E’ vero che il luogo comune ha sempre un suo fondamento, ma sempre di generalizzazioni si tratta e quando si generalizza si rischia di dire delle banalità.
Hai presente quante personalità – uomini e donne non mi interessa – letteralmente distrutte da capi ufficio o capi servizio donne? Hai presente quanto può essere subdolamente violenta “persino” una donna che ricopra certi ruoli di piccolo o grande potere?
Soprattutto le prime cinque righe che scrivi sono perfettamente applicabili al sesso femminile.
Poi qua si parla soprattutto di famiglia, di rapporto di coppia e va bene, però a me non risulta nè è mai risultata la superiorità morale, l’essere migliori delle donne, così, come concetto generale.
E vorrei dire a Robi, riguardo i casi dei padri separati di cui parla, che purtroppo esistono, basta guardarsi intorno con un po’ di attenzione!
Mi spiace dirlo ma in realtà il tenore di gran parte dei discorsi che leggo sempre qui, mi pare teso a mantenere invariata la situazione, a tenere in piedi in eterno gli steccati tra uomini e donne.
Si percepisce quasi il desiderio che l’uomo, “da contratto” cattivo e subdolo e violento e prevaricatore, non cambi, se no poi come si fa a continuare a fare le vittime e a chiedere a quegli stessi uomini di battersi il petto pubblicamente e di coprirsi il capo di cenere?
In effetti, se le guerre finissero, i militanti (e i militonti) dovrebbero trovarsi un lavoro vero.
mamma che piagnisteo… e che minestrone. cosa c’entra la dignità della donna con il delitto di via poma? una vittima merita giustizia indipendentemente dal fatto che sia donna o uomo.