Su La Stampa di oggi scrivo dell’ansia adulta nei confronti dei figli. Vecchia storia, con cui sono venuta a contatto da quasi trent’anni. Da quando sono diventata madre, cioé: perché non sempre ci si rende conto di quel che avviene. Nel caso americano, dalla biblioteca della Madison County High School sono stati proibiti su iniziativa di alcuni gruppi di madri ultraconservatrici, questi libri:
- The Handmaid’s Tale by Margaret Atwood
- The Absolutely True Diary of a Part-Time Indian by Sherman Alexie
- The Perks of Being a Wallflower by Stephen Chbosky
- Shatter Me series of 6 books by Tahereh Mafi (Defy Me, Ignite Me, Restore Me, Shatter Me, Imagine Me, Unravel Me)
- Tar Baby by Toni Morrison
- The Bluest Eye by Toni Morrison
- Sula by Toni Morrison
- Love by Toni Morrison
- The Tale of the Body Thief by Anne Rice
- Interview with the Vampire by Anne Rice
- Snow Falling on Cedars by David Guterson
- Empire of Storms by Sarah Maas
- Bag of Bones by Stephen King
- 11/22/63: A Novel by Stephen King
- It by Stephen King
- Furyborn by Claire Legrand
Non sono affatto certa che si tratti di cancel culture. Penso che sia la deriva di quel che è iniziato negli anni Novanta, anche in Italia. Ne ho raccontato un episodio in Ancora dalla parte delle bambine. Fu un incontro brevissimo, ma mi ha fatto capire molte cose.
“Marito e moglie scendono dalla macchina: sono una coppia di giovani professionisti, di quelli che declinano premurosi la propria carriera dopo i convenevoli, quelli che mantengono un’aria dinamica e, questa è la parola, aggiornata anche mentre, come in questo caso, si accingono a comprare scarpe in un outlet delle campagne marchigiane. La loro bambina, sette anni, resta in macchina a giocare con la Barbie. La mia amica avvocatessa, che li incontra per caso sulla porta del negozio, chiede come si trovi la figlia a scuola. La madre racconta di una prima elementare complicata: non sono riusciti, spiega, a procedere nel programma scolastico come sarebbe stato opportuno. Insomma, “la classe è rimasta indietro”, e questo la affligge: perdere tempo nella didattica, sottolinea, non è bene “per il curriculum scolastico della bambina”. Ah, il problema, certo: si trattava di un compagno di scuola, un maschietto, probabilmente iperattivo, chi lo sa. Fatto sta che disturbava le lezioni: un gruppo di genitori, allora, si è coalizzato per richiedere un’insegnante di sostegno. Ma la famiglia del bambino si è opposta: non ce n’era bisogno, si difendevano, il figlio aveva sei anni, doveva soltanto crescere un po’ per imparare a rispettare le regole. Ma così, continua la madre, avremmo perso altro tempo. Allora? “Allora abbiamo risolto con una denuncia al Tribunale dei Minori, e il bambino ha cambiato scuola. Tutto a posto”.
La piacevole coppia marchigiana non rappresenta affatto una perversa eccezione. Perché la sequenza coalizione degli adulti-denuncia-allontamento, negli ultimi anni, è diventata la nuovissima prassi per risolvere il problema della disciplina nella classi elementari: se un bambino di sei o sette anni non entra immediatamente nei ranghi richiesti, lo si inquisisce come portatore di disagio. E se la famiglia non accetta il sostegno – in quanto ritiene che si possa agire altrimenti – si ricorre alla giustizia. Particolare interessante: le denuncianti sono molto spesso madri di femmine. I denunciati, maschi.
Il concetto che passa è, in fondo, semplice: le bambine continuano ad essere la parte debole del mondo, dunque vanno protette a tutti i costi. In modo che la loro naturale fragilità non disturbi quella lunga gestazione che porterà, infine, al compimento della figlia perfetta. La realizzazione della strategia è appena più complessa, ma segue percorsi già battuti nei secoli: il gruppo delle madri si coalizza e ne mette all’indice una. Quella cui viene imputato di non essere all’altezza del suo compito: molto spesso perché lavora, a volte perché è di aspetto gradevole, altre ancora perché non si unisce a loro. Al branco, per inciso, partecipano anche le madri di figli maschi: con l’obiettivo, più sottile, di far sì che il capro espiatorio della classe non sia il proprio figlio. Alcune madri, per questo, si propongono immediatamente come rappresentanti dei genitori e divengono, così, intoccabili.
In termini tecnici, mi racconta un’amica psicologa, si chiama designazione”.