C’è una pubblicità che l’algoritmo di Facebook mi propone con una certa frequenza: suppongo per la mia data di nascita, visto che si tratta di una maglietta colorata con la scritta “Old hippies never die”, i vecchi hippies non muoiono mai, e, più in piccolo, si legge “si trasformano in nonni”. La maglietta è indossata da una bellissima signora che ricorda la soave Illyana di Nightmare of the wolf (non l’avete visto? Fatelo). Mi mette addosso una tristezza che provo a spiegare, e che ha molto a che vedere con i nostri strani tempi.
Intanto, mente, e va bene. I vecchi hippies stanno morendo come mosche, e molti di loro sono morti negli ultimi diciotto-venti mesi. Inoltre, è intrisa di compiacimento appiccicaticcio come melassa, similmente a quel meme che, citando a memoria, dice alle ragazze che vostra nonna era strepitosa, trasgressiva, lei sì che portava minigonne, lanciava via il reggiseno e ascoltava i Led Zeppelin, scioccherelle. Infine, non fa bene a nessuno: basta con la celebrazione degli anni della giovinezza, su quanti erano meravigliosi i Sessanta e i Settanta e gli Ottanta, e pure i Novanta, toh. Erano. Vanno raccontati. Vanno studiati. Ma erano.
Trovo che i social abbiano un aspetto più insidioso degli altri: quello di imprigionarti in un tempo fermo, quello che ti scegli tu, che sia l’anno scorso o trent’anni fa, a seconda delle informazioni che hai fornito, delle foto che hai caricato, di quello che hai scritto. Il tempo, va da sé, non si ferma. Quindi, sinceramente, sono stanca di sentirmi sussurrare che il mio tempo è identico a quello della mia giovinezza. Non lo è, e per fortuna.
Il secondo punto è il famigerato antagonismo generazionale. E, grazie, non abbiamo alcun bisogno di vederlo incrementare, perché ci pensano già in parecchi, giornali, economisti, editori, altro. La situazione in cui ci troviamo richiede semmai un patto fra generazioni, un aiuto reciproco: e così non è, o non sempre e non dappertutto, perché da una parte diversi miei coetanei non mollano l’osso del potere (magari concedendo graziosamente di fornire aiuto a un giovane o due, scegliendolo però) e dall’altra molte giovani persone vedono negli adulti i birilli da abbattere (non senza torto, ma appunto serve?).
Quante storie per una maglietta, direte voi. Vero. Ma, ecco, giusto ieri una commentatrice mi rimproverava per il post sulla spaccatura in cui ci troviamo. I cosiddetti intellettuali dovrebbero fare qualcosa di concreto sulla pandemia e non blaterare, mi ha scritto. Bene, io penso che chi usa le parole deve blaterare eccome. Non è detto che sia risolutivo, anzi. E però è quanto va fatto, se può almeno servire a una o due persone almeno per provare a capire meglio come stanno le cose.
Che poi… chi l’ha mai vista la nonna che andava al concerto dei Led Zeppelin?