IL BRANCO

Come avrete notato, Lipperatura funziona a singhiozzo. Se possibile, non perdete questo articolo di Wu Ming 1 sul nuovo Giap! versione blog. Parla di branco maschile. Parla di cinema. Non solo.

16 pensieri su “IL BRANCO

  1. Ho letto, anche se un po’ troppo velocemente, l’articolo di Wu Ming sulle simmetrie tra le ‘Salò’ di Pasolini e ‘Amici miei’ di Mocnicelli.
    Mi pare che l’articolo sia piuttosto convincente, quello che mi chiedo come spettatrice è se, tra le anologie rilevate, non esista anche una differenza sostanziale: lo sguardo dei due registi. A me pare che Pasolini non sia affatto complice con l’idelogia espressa dai protagonisti del suo film, Monicelli sì.
    Io amo i film della commedia all’italiana, li considero uno specchio di cui avremmo dovuto fare un uso molto più attento. La sola cosa che non apprezzo di quei film è la rappresentazione che in essi viene data della donna, che mi pare sia l’unico elemento della società proposto senza nessuna riflessione e critica ulteriore.
    La mia è una riflessione di getto, restituisco solo una mia radicata impressione di spettatrice. Si dovrebbe fare una rassegna molto più attenta ovviamente, ma l’unico film che mi pare prenda in considerazione in modo critico la donna e ‘il branco’ che la osserva, la usa e la rappresenta, prima di tutto quello dei ‘cinematografari’, è ‘Io la conoscevo bene’ di Antonio Pietrangeli. La maggior parte degli altri film, ripeto, mi sembrano esprimere condivisione e comlicità ideologica.
    In questo la differenza con i film di Pasolini, almeno per questo aspetto, mi pare abissale.

  2. Non saprei dire se Monicelli, come regista, sia o meno (e in che misura) complice della misoginia del branco. E’ chiaro che si identifica con questi personaggi, empatizza, ci si riconosce, e mettendo in scena il loro tramonto esorcizza il proprio, come artista (appunto: ultimo vero film della “commedia all’italiana” etc.) e ovviamente come maschio. Ed è un film in cui le donne sono sempre e solo viste “dall’esterno”, un film girato “da dentro il branco”… ma penso che la questione sia più complessa.
    Amici miei va rivisto scavalcando all’indietro la memoria selettiva, quella passata attraverso i filtri della fruizione televisiva (quindi disattenta e frammentata dagli spot), della rievocazione orale (che per forza si concentra sulle battute e le gag) e dello spezzettamento tipo YouTube (che isola le scene-chiave).
    Questa memoria selettiva ha tramandato Amici miei come un film gaio e vitalistico. Errore madornale, perché al contrario è un film mortifero, melancolico, tetro, e in questo non fa molti sconti ai suoi personaggi: li presenta come figure puerili e tragi-ridicole, co-implicate nel declino irrevocabile del loro mondo, disperatamente impegnate a evitare o rallentare una perdita di potenza.
    Il film insiste sulle meschinità dei suoi protagonisti: si pensi a come viene messo in scena il personaggio straziante della moglie del Mascetti (interpretata da Milena Vukotic), spinta alla disperazione e a un tentativo di suicidio col gas.
    Andrebbe fatto l’esperimento contrario, quello di una *contro-memoria* selettiva, cioè isolare ed evidenziare i raccordi tristi, i momenti di pena e dubbio…
    Nelle mie note di visione ho scritto che uno dei segreti del film è la voce narrante di Montagnani (la voce del Perozzi, interpretato da Philippe Noiret), una voce che con il suo tono dolente *smentisce* in tempo reale molto di quel che dice. L’espressione cambia il contenuto. E non dimentichiamoci che… è la voce narrante di un morto. Si esprime al presente, ma è un presente storico. In fondo, è come se tutto fosse già avvenuto, se fossimo già post mortem del narratore. Fateci caso: alla fine del film il Perozzi muore, eppure non c’è un’alterazione del punto di vista, le scene finali non segnano alcuno scarto. Il lutto così non viene elaborato, e infatti il personaggio del Perozzi tornerà in Amici miei atto II e così rimaniamo nella melancolia (che clinicamente è un rifiuto di elaborare il lutto tramite identificazione con l’oggetto perduto, e noi… continuiamo a identificarci col Perozzi, perché è un io narrante).
    Un film non è il suo regista. Non so se Monicelli sia complice, ma il film (il film, non il suo eterno ri-montaggio mnemonico e multimediale) secondo me non lo è, o almeno non lo è del tutto.

  3. Tutto vero, WM1. E per assonanze mi ha fatto tornare in mente l’analisi di Celati su Fellini. http://tinyurl.com/yf3brsv Non sono gli stessi anni, ma sono per alcuni versi gli stessi maschi. E, anche in questo caso, alcune note sono di un’attualità inquietante.

  4. Sì, certo è chiaro che dovrei rivederlo, ma il mio giudizio nella sostanza è molto simile al tuo, solo che – anche di primo acchitto – ho sempre considerato quel film vitalistico sì, ma non gaio, anzi – proprio in quanto parodia della vitalità – mortifero e triste. La voce di Perozzi smentisce in tempo reale molto di quel che dice, è verissimo, e con questo però fa virare il sentimento del pubblico verso l’empatia se non proprio la complicità e la connivenza.
    Per come me lo ricordo io, ‘Amici miei’ è un film elegiaco e tristanzuolo, molto maschile. D’altra parte lo sguardo interno o esterno al branco potrebbe coincidere anche con quello degli spettatori e delle spettatrici che lo guardano.
    Io, come donna ho sempre detestato quei personaggi e quello sguardo, complice e – tutto sommato – assolutorio.
    Forse a rivederlo in modo critico e secondo la tua lettura, potrei cambiare opinione ma al momento non ci scommetterei.

  5. Può anche darsi che qualcosa di latente dentro Amici miei emerga solo se lo si guarda poco prima o poco dopo aver guardato Salò. Almeno nel mio caso, un film si è messo a lavorare dentro l’altro, e lo sguardo ne è stato alterato. Forse da qui deriva il cambio di connotazione, perché la visione comparata fa risaltare scene diverse da quelle più facilmente memorabili, e un’elegia compartecipata (quindi in definitiva un’assoluzione, o almeno una mezza assoluzione) si trasforma in qualcos’altro. Può darsi. Io invito chiunque ne abbia voglia (e abbia stomaco) a ripetere il mio esperimento, a guardare i due film uno dopo l’altro.

  6. Se vi interessa su youtube, c’è una famosa intervista “doppia” tra Monicelli e Moretti (anni ’70, quando la Rai ancora aveva un senso).
    Venne proprio posta la domanda di Valeria.
    “Perché nei vostri film – intesi come commedia italiana – i personaggi maschili sono bellissimi e quelli femminili pochi e banali?”.
    *
    Risponde Monicelli – cito a memoria: “Quella che mettevamo in campo noi era la reale condizione della donna in Italia in quegli anni, anche nei suoi stereotipi. Fare dei personaggi diversi, femministi o che altro, avrebbe significato creare una realtà immaginaria”.
    *
    Per come la vedo io, son d’accordo con Valeria. Amici miei è un gran film, memorabile. Ma ammesso e non concesso che Monicelli volesse mettere in campo anche una presa in giro della misoginia italico\fiorentina, secondo me non c’è riuscito. Almeno nei risultati. Son nato ben dopo il film. Tutti i miei compagni di classe – alle medie – si ricordavano la supercazzola e poco altro. E’ rimasto soprattutto l’aspetto delle goliardate e delle gazzarre.
    Per quanto non posso che concordare con WM1 – davvero un bell’articolo – il lato “mortifero” del film c’è, latente, ma c’è. Se Germi l’avesse girato, sarebbe stato ancora più evidente. Se non erro, il lavoro che fece Monicelli cogli sceneggiatori fu proprio asciugare l’aspetto tetro che Germi aveva inserito nello script.

  7. @Ekerot. Grazie per il filmato. Insisto. La commedia all’italiana ha preso di mira quasi tutti i tic e i difetti degli italiani. Il maschilismo no. Come mai? La mia risposta è che quell’ideologia era ed è ampiamente condivisa anche dagli intellettuali, pure quelli di sinistra. Insomma, non le vedi le cose se non le vuoi, o non le sai, vedere.

  8. Valeria, sono sostanzialmente d’accordo, ma con riserva su alcuni film. Pensiamo al personaggio di Bruno (Vittorio Gassmann) ne “Il sorpasso”. E’ forse apologetico il film (non il regista: il film) nei confronti del suo machismo che in realtà malcela irresolutezza, irresponsabilità, superficialità? L’improvvisata a casa dell’ex-moglie (e figlia) non mi sembra proponga personaggi femminili deboli e/o stereotipati: l’ex-moglie ha avuto le palle di separarsi (in un’Italia ancora senza divorzio), è una donna forte, che guarda l’ex-marito dall’alto in basso ma non ha nemmeno bisogno di fare a cornare con lui, con il solo linguaggio del corpo ci rivela tutto il passato di Bruno, tutta la sua immaturità. E la figlia adolescente? Altro personaggio forte, priva di rancore ma determinata a mettere il padre al proprio posto… E non si può dire che il film termini in un modo che ci fa simpatizzare per Bruno…

  9. Sì, certo, Wu Ming 1, eccezioni ci sono, alcuni bei personaggi femminili pure, penso a quello interpretato da Lea Massari in ‘Una vita difficile’ per esempio. Ma ci devo pensare, andare a scovare film e personaggi. L’idea generale che ho della commedia all’italiana – ripeto: da spettatrice – è quella che ho detto. Ma ben vengano analisi più approfondite che vanno più in là delle impressioni e dei giudizi d’impatto, magari riservano delle scoperte interessanti.

  10. Cara Valeria, sono andato un po’ indietro con la memoria.
    Se parliamo della commedia italiana classica, ossia dalla fine degli anni ’50 per circa un quindicennio, è vero che il maschilismo come argomento non è stato particolarmente sezionato.
    Ma fino ad un certo punto.
    Prendiamo ad esempio “Il bell’Antonio” di Bolognini, che disegnò una satira del machismo (interpretata non a caso da Mastroianni).
    O ancora per citare Germi “Divorzio all’Italiana”, in cui venne sbeffeggiato il delitto d’onore – che venne tolto in Italia soltanto nel 1981.
    D’altra parte in quegli anni del dopo guerra e del boom la questione femminile e il maschilismo non erano – da quanto emerge nei film – una faccenda da prima pagina.
    Probabilmente come dice Monicelli gli autori stessi nati e cresciuti in una società comunque misogina e maschilista non hanno avuto la giusta distanza né la giusta prospettiva rispetto al tema che tu poni.
    *
    Ma là dove questa raggiungeva degli eccessi tipicamente “italiani”, allora sì che qualche grande regista vi ha posato lo sguardo.
    Certo si poteva fare di più.
    [Però bisogna tenere conto dei tempi. Non è un caso che il primo autore di commedie a tratteggiare nello specifico la questione fu Massimo Troisi nel 1981 con “Ricomincio da tre”.
    Quando in cinematografia estere, come in Francia, Germania ed America si era da tempo sull’argomento.]
    Possiamo anche lamentare l’assenza nella commedia italiana di personaggi femminili all’altezza di quelli maschili. Vent’anni prima in America si era dimostrato il contrario.
    Forse è anche dipeso dalla cultura “comica” del nostro paese che si è sempre retta su attori e personaggi maschili.
    Già spostandoci nell’ambiente drammatico, registi come Pasolini, Visconti e Rossellini sono riusciti a creare bellissimi caratteri anche addosso alle loro attrici.
    Non so se è servito a chiarire qualche dubbio.
    Cercando di rispondere alla tua domanda, direi che probabilmente molti registi non ebbero la stessa capacità profetica né lucidità di analisi sociale sul maschilismo e sulla questione femminile, come per altri “vizi”.
    Per fortuna però ci furono delle eccezioni. E va tenuto conto pure del fatto che in quegli anni c’era una sola donna-autrice, Suso Cecchi d’Amico. Sceneggiatrice eccezionale, ma non mi pare fosse “illuminata” su questi temi.

  11. Sì, certo, Ekerot, tu e Wu Ming 1 aprite degli squarci illuminanti, io dico: ah, è vero, non ci avevo pensato, poi torno al mio giudizio complessivo, annotando le poche eccezioni.
    Dovrei mettermi a fare una ricognizione dei film attraverso una visione ragionata, ma mi rimane difficile.
    Comunque, davvero grazie.

  12. p.s. per Valeria. Solo per inciso, ecco volevo ribadire che condivido il tuo giudizio complessivo sugli autori del cinema italiano. Facendo alcune eccezioni, io credo che buona parte di loro covasse dei sinceri e trasparenti sentimenti maschilisti. Soprattutto i registi.
    E se ti posso fare una chiosa di cui mi prendo tutte le responsabilità, è una tradizione che non si è affatto perduta.

  13. Mi sembra strano che WM1 dica che in “amici miei” visione dopo visione, è proprio quello che sta “sotto” ad emergere: la connotazione melancolica, la “terminalità”.
    Lo vidi da bambino e lo trovai immansamente malinconico, insostenibile.
    Di quel film, nulla mi ha mai fatto ridere.

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