IL CARBONE NELLA CALZA: SULLA VIOLENZA

Auspico che siate tolleranti e accoglienti nei confronti di  un post ripetitivo, dove si ribadiscono concetti altre volte espressi. Si parla, commentarium, di femminismi e di violenza. Potete certamente sbuffare, e probabilmente molte e molti lo faranno: anche perché ciò a cui si assiste negli ultimi mesi, da parte di alcune donne che pure hanno fatto dei femminismi la propria bandiera, è il ripudio del concetto stesso di violenza. Non c’è, non esiste, ci vien detto, e se altre ne parlano e arrivano a usare la terribile parola femminicidio, lo fanno perché vogliono speculare sul concetto di vittima. In poche parole, ci vien detto, far le vittime è pagante. Qualcuna ci si costruisce una carriera, così ci vien detto, e moltissime donne ci si accomodano dentro, nidificano in quello status di vittime, e non reagiscono, le sciagurate, che se fossero davvero forti come noi, così ci vien detto, non andrebbero in giro con un occhio nero e magari non finirebbero sui giornali col numerino rituale (vittima centoventi, segue link sullo speciale femminicidio).
Vale la pena parlare di questo sfinente giochino della banalizzazione, molto spesso, e che strazio ripeterlo, condotto in pessima fede? Sì. Perché una riflessione molto seria sul paradigma vittimario (non mi stancherò mai di consigliare la lettura di Critica della vittima di Daniele Giglioli, per dire) e su come viene portato avanti dai media e da parte della politica, non dovrebbe mai implicare la negazione dell’esistenza di vittime reali, nè azzerare la complessità del rapporto fra abusata e abusante, nè dovrebbe autorizzare nessuno a sostenere, così ci dicono, che la prima in fondo se l’è cercata col suo essere vittima.
Questo avviene, e non da oggi, nel riavvolgersi del gomitolo dei femminismi: laddove a offrire scherno e disprezzo (e quasi mai discussione politica) non sono solo fallimentari comici da social network, ma femministe così femministe da essere antifemministe. Già detto, già scritto. Ma a forza di far rientrare ogni discorso nella palude autoreferenziale dove si regolano vecchi conti personali infischiandosene della situazione reale delle donne (e dunque degli uomini) di questo paese, avviene che si perda di vista quanto avviene o non avviene.
Dunque, pubblico qui il comunicato di D.i.Re sul Piano antiviolenza di un governo che, al momento, continua a considerare ininfluente la questione femminile. Ben sostenuto, evidentemente, da un disinteresse generale cui non poche hanno contribuito. In cambio di un piattino di lenticchie e di una manciata di like.
Buona Epifania, in ogni senso.
“La Presidenza del Consiglio dei Ministri- Dipartimento pari opportunità- ha lanciato dal 10 dicembre al 10 gennaio la consultazione pubblica on line sul Piano Nazionale Contro la Violenza sulle donne, con proposte banali, generiche e contraddittorie.
In realtà online non c’è nessun Piano ma solo 8 linee d’azione, incongruenti tra loro, tratte dai sette documenti elaborati dai gruppi della cosiddetta “task force” intergovernativa nata a fine 2013.
Solo poche associazioni sono state consultate nei tavoli della task force e sono state coinvolte poco e male contrariamente a quanto si afferma nella presentazione online.
Le proposte e le conclusioni dei gruppi di lavoro della task force non sono state trasparenti: i documenti finali non sono mai stati condivisi con e tra tutte le organizzazioni partecipanti.
La decisione di una consultazione online non è mai stata discussa con le organizzazioni della società civile nell’ambito delle consultazioni della task force.
Tale decisione appare come l’abdicazione politica alla presa in carico del fenomeno sociale della violenza e alla sua banalizzazione, illudendo qualcuno di prenderne parte genericamente. Inoltre la consultazione online appare una iniziativa poco chiara dal punto di vista metodologico.
Sono necessarie persone competenti e professionali nel trattare il tema e contribuire alla definizione di un Piano.
Servono politiche che affrontino la prevenzione, risposte adeguate alle donne vittime di violenza, una formazione appropriata di tutti gli operatori coinvolti, la creazione di una nuova cultura rispettosa delle differenze, la raccolta integrata dei dati, e la partecipazione e il riconoscimento del sapere, sedimentato negli anni, e del ruolo delle realtà delle donne e della società civile impegnata da anni su questo grande problema politico, come prevede e richiede la Convenzione di Istanbul ratificata nel 2013 ed entrata in vigore nel 2014 in Italia, e come richiedono le raccomandazioni all’Italia CEDAW-ONU del 2011, e quelle della Special Rapporteur –Onu sulla violenza del 2012.
A causa della propria inerzia, lo Stato è responsabile della mancanza di risposte efficaci per ogni donna che subisce violenza.
Noi ci sottraiamo e non partecipiamo alla consultazione online.
Il piano d’azione di un Paese contro la violenza alle donne è una cosa seria.
Diciamo basta ad azioni demagogiche sulla pelle delle donne.
Chiediamo:
che il governo riapra un vero confronto nel merito delle misure da mettere in campo,
che questo confronto venga allargato anche alle associazioni non coinvolte nella prima fase
che venga preso in considerazione il documento prodotto dalle Nazioni Unite per la creazione dei Piani Nazionali contro la violenza alle donne.
Gruppo task force:
UDI-Unione Donne in Italia, D.i.Re- Donne In Rete contro la Violenza,
Fondazione Pangea, Maschile Plurale, Cam- Centro di Ascolto Uomini Maltrattanti
Le associazioni e persone esperte aderenti:
Casa Internazionale delle donne, Bee Free, Le Nove, Ass. Il cerchio degli uomini di Torino, Ass.Giraffa”

2 pensieri su “IL CARBONE NELLA CALZA: SULLA VIOLENZA

  1. Grazie per la riflessione. Credo sia arrivato il momento di rileggere, dopo quasi venti anni, I sommersi e i salvati. Perché a una mente lucida come quella di Levi non sarebbe mai sfuggita la complessità morale della cosiddetta zona grigia, cui dedicò un lungo capitolo, eppure non esitava a ribadire con forza quello che pur dovrebbe essere ovvio, ossia che confondere vittime e carnefici è nel migliore dei casi un vezzo e nel peggiore un segnale di complicità.

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