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Era un post in cui dicevo che mi sembrava incredibile che un potere, sedicente liberale, reagisse alle critiche per vie giuridiche e soprattutto non dicesse nulla su striscioni che dei neonazisti mettono sotto scuola di un docente [me ne hanno messi tre, più quasi un migliaio di messaggi di minacce tra pubblici e privati]. Quello stesso potere, mi sembra che ora stia ancora usando la gerarchia per censurare la libera espressione. Non so se anche questo post entrerà in qualche altro provvedimento disciplinare. Immagino funzioni così, in un processo ad infinitum.
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“Proprio non ti capisco, eppure sei un professore!”. Così si sente apostrofare Immanuel Raat, detto Unrat (ovvero Spazzatura), ne L’angelo azzurro, che Josef von Sternberg trasse nel 1930 dal romanzo di Heinrich Mann. La storia è quella di un insegnante tirannico che cade vittima della malia amorosa per una ballerina, smarrendo senno e lavoro per aver agito contro il decoro, pur avendolo considerato indispensabile durante il suo insegnamento: perché ogni risata o distrazione era per lui “una ribellione al potere pubblico”.
La frase “eppure sei un professore” probabilmente non ci sarà nell’istruttoria interna che riguarda Christian Raimo, insegnante e scrittore. Ma, ci scommettiamo, il decoro sì. L’indagine disciplinare è stata annunciata all’inizio di aprile dopo la sua partecipazione alla trasmissione L’aria che tira, quando aveva affermato: “Che cosa bisogna fare con i neonazisti? Per me bisogna picchiarli”. Non è malizioso pensare, però, che probabilmente l’approfondimento disciplinare riguarderà soprattutto i numerosi articoli e post su Facebook dove Raimo prende le distanze dall’orizzonte pedagogico di Valditara: in questo modo potrebbe essergli contestato un danno d’immagine al ministero. Perché, e questo è il bello, esistono articoli del codice etico che impongono di astenersi su giornali e social “da qualsiasi intervento o commento che possa nuocere al prestigio, al decoro o all’immagine dell’amministrazione di appartenenza”. Ma le modifiche apportate un anno fa a quel codice sono state impugnate da FLC-Cgil davanti al Consiglio di Stato perché ledono i diritti e le libertà dei singoli, specie nei “ luoghi della conoscenza, che hanno nella libertà di parola e di insegnamentosancita dagli articoli 21 e 33 della Costituzione, il senso alto della loro funzione”.
Comunque vada a finire, è certo che il ministro è un appassionato della parola decoro: “Mi batterò perché quella del docente torni a essere una figura autorevole, caratterizzata dal rispetto, dalla dignità e dal decoro”, aveva promesso nei giorni dell’insediamento. Certo non è il solo: da quando, nel 2017, viene varato il decreto Minniti in materia di ‘Sicurezza delle città’, dove il decoro diviene sintomo di decenza di facciata, fino al famigerato decreto anti-rave, o anti-raduni. Ma a Valditara piace particolarmente: nel febbraio scorso ha lanciato l’idea dei novecentomila “studioli” da assegnare agli insegnanti dove poter preparare le lezioni, per “dare dignità e decoro al lavoro dei docenti”. La parola torna nella riforma in discussione alla Camera, quella che, stando alle numerose interviste del ministro, dovrebbe riparare ai guasti del 68 grazie alla centralità del voto in condotta, e che introduce “misure a tutela dell’autorevolezza e del decoro delle istituzioni e del personale scolastico”.
Per questo, la cosa preziosa di oggi usa “amore” in luogo di “decoro”, ed è Studiare per amore di Nicola Gardini, appena uscito per Garzanti. Vi si racconta che lo studio non si lega al merito ma alla trasformazione e alla comprensione. “Credi davvero di cambiare qualcosa con tutto il tuo studiare?”, chiede un amico allo scrittore. La risposta è sì. Gardini aggiunge: “la scuola, quando rinuncia a far da polizia, è il luogo ideale per l’affermarsi dei doni”. Il doni sono le nostre predisposizioni, quelli che James Hillman chiama daimon. Con la D, proprio come Decoro.