La recensione del venerdì. Questa riguarda La casa del deserto di Catriona Ward ed è uscita settimane fa su TuttoLibri della Stampa.
E’ sempre una questione di famiglia per Catriona Ward, perché è il luogo dove dovremmo sentirci sicuri e dove può germogliare il male: se l’orrore, come ripete Stephen King, si verifica nel momento in cui persone ordinarie si trovano in situazioni straordinarie, ne La casa del deserto (Sundial, traduzione di Christian Pastore, Sperling&Kupfer) troviamo tutto, normalità e assurdo, oltre a un luogo fuori dal comune come il deserto del Mojave, in California, che nasconde insidie e segreti e antiche tombe.
L’americana Catriona Ward ha esplorato altre volte i semi velenosi dei rapporti familiari: specie nel precedente La casa in fondo a Needless Street, dove un uomo psichicamente avvelenato dai genitori vive con una figlia e una gatta, almeno finché Ward non svela le sue carte. Ora ripropone il tema in un romanzo perfetto che non è esattamente un thriller e non è esattamente un horror, ma si muove nel felice territorio di confine fra i generi.
Le voci sono due: quella di Rob, un’insegnante chiamata “l’incantatrice” dai suoi alunni, e quella di Callie, dodici anni, la maggiore delle sue figlie, la più complicata e inquietante, mentre la piccola Annie, nove anni, appare come il piccolo gioiello della casa. La prima cosa che sappiamo è che Rob ha un marito ignobile, Irving, che l’ha appena tradita con la sua amica e che prova un piacere sadico nel tirarle i capelli, porgerle ciotole piene di vermi e mettere la primogenita contro la madre. Rob ha resistito per anni come ha potuto, arredando una casa perfetta e scrivendo in segreto un romanzo di streghe. Ma le crepe sono nelle figlie, specie in Callie: che è attratta dalle notizie di cronaca nera, colleziona ossa e carcasse di uccelli e piccoli animali e che forse ha costretto Annie a inghiottire le pillole per il diabete di Irving.
Dunque, bisogna tornare, con lei, al passato. E il passato è Sundial, la casa nel deserto, circondata da chilometri di rete metallica, solitaria nelle notti gelide. Sundial significa Meridiana, e la meridiana esiste, è un luogo centrale nell’infanzia di Rob, e della gemella Jack, che viene evocata e nominata solo quando madre e figlia si ritrovano a Sundial. Tornare indietro significa ricordare, per Rob, e scoprire, per Callie: ma lentamente. Ricordare una strana infanzia con Falcon e Mia, i genitori che hanno molti segreti e che li sveleranno troppo tardi. Ricordare i cani, soprattutto. Perché a Sundial si compivano esperimenti sui cani, nell’ingenuità hippie che fosse possibile eliminare il male intervenendo direttamente sul cervello. Ward si ispira dichiaratamente al progetto MKULTRA, il programma clandestino della CIA che negli anni Cinquanta e Sessanta usava cittadini ignari per sperimentare farmaci per il controllo mentale, nella folle ipotesi di creare assassini inconsapevoli durante la guerra fredda. La pratica ha ispirato almeno due romanzi di King, L’incendiaria e L’istituto, appare in Infinite Jest di David Foster Wallace e, più recentemente, nella serie Stranger Things, dove Undici riesce a sfuggire agli esperimenti. Ward si sofferma su un aspetto, l’installazione degli elettrodi nel cervello dei cani, per “telecomandarli” e provare a estirparne l’aggressività. Ma il sogno folle di Falcon e Mia non ha riguardato solo gli animali, perché c’è un terribile tipo di amore che crede di perseguire il bene degli amati cambiandone la natura, ed è esattamente questo il tema che interessa Ward. Fino a che punto è possibile educare con la sopraffazione? Falcon, che ha lavorato per il governo prima di trasferirsi a Sundial, insegue l’utopia di rendere il mondo “meno triste”. E con lui Mia, che lo ha seguito dal primo giorno.
Forse. Perché la bravura di Ward è di spostare, attraverso l’alternanza delle due voci, il sospetto su chi stia mentendo e chi stia progettando qualcosa di terribile. L’esasperata Rob, che ha richiuso il proprio passato in un pozzo perché è troppo spaventoso per ricordarlo, o l’inquieta Callie che parla con i morti? E perché c’è una grande fossa in giardino? E cosa e chi è già sepolto in quello stesso giardino? C’è qualcuno di veramente innocente oppure è l’amore senza aspettative a rendere innocenti davvero?
Nelle paure che tutti nutriamo per le persone che ci sono care e per il modo in cui ci relazioniamo a loro, l’horror è una delle strade da seguire per capire, e in parte rassicurare. Lo scoprì Ward quando lesse per la prima volta un classico come La zampa di scimmia di William Jacobs: “L’horror è la casa che costruisci per contenere il demone”. Ed è vero.