IL DESIDERIO DI OMAGGIARE FRANCIE NOLAN

Tornando a casa, ieri sera, dopo la chiacchierata con Orhan Pamuk, riflettevo sui libri che continuo a chiamare apriporta: quelli che ti fanno capire che leggere è non solo attività piacevole, ma che vuoi continuare a farla, ancora e ancora.
Dunque, ho deciso di omaggiare, di nuovo, Betty Smith, dal momento che siamo in pochi a farlo, e il romanzo che è stato il mio apriporta, Un albero cresce a Brooklyn. Lo faccio perché, quando si discute di personaggi femminili, quasi sempre vengono indicate come esempio da indicare alle lettrici le eroine guerriere: e ci sta, perché anche noi signore mature abbiamo amato molto Beatrix Kiddo. Ma vendicatrici e giustiziere non sono che una parte dello specchio in cui riconoscerci.
Eppure, l’alternativa alla katana sembra essere poco allettante. Nell’ottobre 2006, un professore di medicina della Columbia University, Allan Lazar, un programmatore di computer del Mit di Boston, Dan Karlan, e un ingegnere, Jeremy Salter, scrissero I 101 personaggi che più hanno influenzato la storia senza essere mai esistiti . Fra i primi cinquanta c’erano il Principe azzurro, Sigfrido, James Bond, Marlboro Man, Babbo Natale, Edipo, Sherlock Holmes, Apollo. I personaggi femminili, in numero molto minore, erano nelle parti basse della classifica, e fra loro si annoveravano la scellerata Pandora che scoperchiò il vaso, Cenerentola, Giulietta, Barbie e Hester Prynne, l’adultera della Lettera scarlatta. Così poco? Così poco, ci confermò nello stesso periodo la scrittrice francese Virginie Despentes in un pamphlet che si chiamava King Kong Girl, dove ci veniva detto che la crescita numerica delle scrittrici non comportava l’avvento di nuove eroine: “anche oggi che le donne pubblicano molti romanzi, si incontrano raramente personaggi femminili dal fisico ingrato o mediocre, incapaci di amare gli uomini o di farsene amare. Anzi, alle eroine contemporanee piacciono gli uomini, li incontrano facilmente, vanno a letto con loro in due capitoli, raggiungono l’orgasmo in quattro righe e a tutte piace il sesso”.
E allora, a maggior ragione, onoro Francie Nolan, poverissima e coraggiosa, creata nel 1943 da una figlia di immigrati tedeschi che si chiamava Sophina Elisabeth Werner e che scelse lo pseudonimo di Betty Smith per il suo primo romanzo, Un albero cresce a Brooklyn.
Ho conosciuto Francie da adolescente, nelle pagine di una vecchissima edizione che apparteneva alla nonna della mia migliore amica: quel libro è rimasto, per qualche strana ragione, nella mia libreria, poi in quella di mia figlia, infine si è letteralmente sgretolato. All’epoca, ignoravo che un Un albero cresce a Brooklyn fu un best seller: vendette quattro milioni di copie, venne tradotto in sedici lingue, la New York Public Library lo inserì fra i libri del secolo. Nel 1945 Elia Kazan ne trasse un film. Nel 1951 George Abbott lo trasformò in musical. Nel 1974 divenne una serie televisiva. Venne citato persino in un cartone animato di Bugs Bunny (Una lepre cresce a Manhattan). In Italia arrivò nel 1947, venne molto amato, fu ristampato nel 1971, un anno prima della morte dell’autrice. Poi, semplicemente, scomparve dalla circolazione, rimpianto da almeno tre ondate di lettrici che lo ebbero fra le mani negli anni dell’adolescenza e cercarono di rintracciarlo su bancarelle e siti Internet, fino al recente recupero italiano di Neri Pozza.
Francie, comunque, resta irresistibile. Siamo nel 1912: immigrati tedeschi, irlandesi, italiani, popolano i quartieri poveri vestiti di stracci e animati da molte speranze. Francie Nolan e suo fratello Neeley sono, a loro modo, felici. E’ vero, spesso non hanno carbone per scaldarsi e cibo per nutrirsi: ma in queste occasioni la loro madre gioca “agli esploratori polari”, che devono eroicamente sopravvivere finché qualcuno non verrà a salvarli. Mangiano frutta molto di rado: ma ogni giorno hanno a disposizione caffè a volontà, e Francie può limitarsi a godere del calore della tazza sulla sua mano, per poi gettarne via il contenuto. Uno spreco, certo: ma quel lusso può consentirle di capire come vivono i ricchi, e sentirsi ricca a sua volta. Perché la sua è una famiglia particolare: la madre Katie è una donna di grande bellezza e di orgoglio indomabile. E’ sulle sue spalle che si regge la sopravvivenza di tutti, specie quando il marito, lo splendido e fragile Johnny che ama troppo il canto e l’alcool, viene licenziato e infine muore. Al contrario dei genitori, però, Francie non desidera l’integrazione sociale (che la madre Katie conquisterà con le seconde nozze): sogna lo studio e la scrittura. Ma non una scrittura d’evasione: è quanto rivendica fin dagli anni della scuola, opponendosi ad una maestra che la invita a raccontare “la bellezza” e non la povertà, che è “sordida”. Francie, insomma, sa che soltanto attraverso il suo impegno intellettuale potrà uscire dal ghetto.
Che ha, peraltro, le sue gioie. Se si ha la forza di sopportare l’impatto di un albero di Natale senza cadere, e ottenerlo così in dono. O se, il sabato, si va da Charlie “Al buon mercato”, dopo aver venduto allo straccivendolo quel che si recuperava dalla strada. Con una manciata di dolcetti di Charlie in una coppa di vetro blu e un libro preso in prestito dalla biblioteca, Francie trascorre pomeriggi di felicità arrampicandosi a leggere sui gradini di una scala antincendio, proprio accanto all’albero del Paradiso, uno dei pochi che cresce nel cemento. L’illusione è quella di vivere, per qualche ora, fra i suoi rami: e questo le basta.
Io sono partita da qui.

2 pensieri su “IL DESIDERIO DI OMAGGIARE FRANCIE NOLAN

  1. Molto bello. Mi sto chiedendo quale può essere stato il mio apriporta; ci dovrò pensare, ho l’impressione di aver letto sempre – per fuggire da una profondissima noia, e altro – e non ricordo dove tutto è cominciato.
    Però è vero di sicuro: fosse anche stato Topolino, Minni e Paperina non erano granché; Nonna Papera già meglio?
    (Che poi, io preferivo Paperino a Topolino, e mi ha sempre infastidito che l’unico felino fosse Gambadilegno. Disney era un maledetto razzista!)

  2. Sono contenta che tu abbia ricordato questo libro, l’ho letto qualche anno fa e mi è piaciuto tanto, ti ascolto il pomeriggio, e colgo l’occasione per farti i complimenti per la gentilezza verso il pubblico, ormai rara. Grazie a te e ai tuoi collaboratori per “Il buio oltre la siepe”, che io amo davvero. Lorenza

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