Premessa: se si ama un genere letterario, occorre esplorarlo tutto, nelle zone alte e in quelle medie giù fino all’ultimo piano. Dunque, amando la letteratura fantastica, ho nei miei scaffali Borges e Ramsey Campbell, Landolfi e Robert Silverberg, Ballard e Robert McCammon, Harlan Ellison (che la Dea lo conservi) e Ariosto. Qui bisognerebbe intendersi, evidentemente, sul significato di letteratura fantastica, e un paio di anni fa, in questo blog, abbiamo compilato insieme una lista di letture molto ampia quanto parziale.
Sulla definizione, a ogni modo, continuo ostinatamente a rimandare a quanto scrisse Stephen King nell’insostituibile Danse Macabre (ripubblicatelo!):
“Questa faccenda della definizione è una trappola, e non mi viene in mente soggetto accademico più noioso. Come le discussioni infinite sulle scansioni del respiro nella poesia moderna, o l’invadenza di certa punteggiatura nel racconto breve, questa è una diatriba tipo quelle su quanti angeli possono stare sulla capocchia di uno spillo, ben poco interessanti a meno che i partecipanti alla discussione siano ubriachi o universitari, due livelli di incompetenza simili tra di loro. Mi esprimerò dicendo l’ovvio: tutti e due (fantasy e fantascienza, ndr) sono opere di immaginazione, e tutte e due cercano di creare mondi che non esistono, non possono esistere, o che ancora non possono esistere. C’è una differenza, naturalmente, ma potete segnare voi i confini, se volete, e se provate vi accorgerete che si tratta di confini ben difficili da tracciare”.
Detto questo, ciclicamente si ripropone la questione del cosa è e cosa non è fantastico, e insieme si ripropone la questione dell’ibrido, che è quella che personalmente mi sta a cuore. E’ avvenuto, avviene, con la Guida alla letteratura fantastica pubblicata da Odoya e curata da Claudio Asciuti, dove pure vengono inclusi autori ritenuti “letterari” come Bukowski, o Malaparte, per citarne solo due. Giustamente.
E’ che però da quel paradigma che vuole il cosiddetto letterario fuori dal fantastico, non sembra possibile uscire. Se è letteratura, non è genere. Roba vecchia, vecchissima, sfinente. Lo stesso J.R.R.Tolkien finì nella diatriba perché non si contrappose al canone modernista che ammetteva come “letterarie” solo le favole per adulti apertamente allegoriche (come Il signore delle mosche di Golding, che uscì nel 1954, insieme al capolavoro tolkieniano): tentò, invece, di dialogarvi, mostrando che le strade potevano essere molto più numerose di quelle tracciate da un pregiudizio critico fermo agli anni Venti del Novecento.
Quel pregiudizio critico è ancora vivo, e sia. Il problema è che è vivo anche l’altro, quello che viene dalla stessa cerchia, o nicchia di appassionati, o fandom che dir si voglia, che mal tollera l’intrusione del letterario medesimo nel genere. Perché viola un canone? Ufficialmente sì, ma nei fatti perché costituisce un’intrusione: e dunque l’esperto di fantasy (e a sua volta autore di fantasy) inarcherà il sopracciglio davanti a Il gigante sepolto di Kazuo Ishiguro e con ogni probabilità lo giudicherà un esercizio di stile, o chi è in grado di citare a memoria tutto lo steampunk prodotto sul pianeta bollerà come mal scritta, che so, l’opera omnia di Murakami Haruki, e via così.
Tre anni fa lo disse molto bene Franco Pezzini , ricordando che il punto critico italiano ” è che noi che di tali temi ci occupiamo diventiamo «i vecchi amici del fantastico», con ciò che di senescente, ripetitivo e onanistico ristagni implicito nel concetto. Nel mondo italiano del fantastico, della sua presentazione e del suo studio, si respira a volte un’aria un po’ asfittica, tra piccoli feudi editoriali o mediatici, derive ideologiche quantomeno equivoche (penso per esempio alle travisanti lottizzazioni evoliane di Lovecraft e Tolkien, non solo storicamente insostenibili ma usate come collante per visioni francamente nefaste della realtà), approcci vecchi. Studiare il genere senza esplorare i suoi interscambi col mainstream e più in generale con l’intero panorama culturale di un certo momento storico rischia di confinare anche un sano fandom (termine in sé da considerarsi positivo) in un ghetto. Isolare alcuni temi da filoni più ampi e dalle loro espressioni (in apparenza) non fantastiche costringe a riproporre stancamente sempre le stesse notizie. Parlare di mostri senza considerare quanta teratologia sottotesto possa emergere da opere in apparenza insospettabili significa perdere moltissimo su simboli e miti d’epoca – quelli, per inciso, che impattano come arieti sulle nostre categorie condivise, a rammentare quanto il fantastico non sia linguaggio di fuga o alienazione demiurgica ma d’immersione nella realtà”.
Serve continuare a ripeterlo? Immagino di no, perché è assai più consolante, da parte della nicchia, ritenersi un circolo di puri e duri e buoni che solo la malvagia ostilità della casta dei letterati mantiene nell’oscurità. E dall’altra parte continua a pesare la stessa incomprensione che riguardò Tolkien (ohibò, un romanziere negli anni della dissoluzione del romanzo!). Però, cos’altro potrebbe fare chi è convinto che la strada possa essere un’altra, e che porti fuori dalle due torri? Parlarne. E finché non vedrò un romanzo di Ramsey Campbell fra le mani di un critico letterario continuerò a farlo.
Posso per una volta dichiararmi quasi del tutto d’accordo?
Il problema dei generi, per come la vedo io, non è l’essere chiusi in un ghetto ma chiudersi in un ghetto e poi lamentarsi di essere rinchiusi.
I romanzi di H.G.Wells non erano ‘fantascienza’ prima degli anni Venti: erano romanzi. Al massimo romanzi ambientati nel futuro.
I romanzi di Bram Stoker o i racconti di Lord Dunsany non erano ‘horror’ o ‘fantasy’ ma romanzi e racconti.
Ora che i generi sono diventati moneta corrente nella letteratura ‘letteraria’ fare gli sdegnosi cui piace sentirsi ignorati e perseguitati.
Mettiamola così: se vado a a vedere un forum di discussione fantascientifica quando probabilità ci sono che si parli dei recenti romanzi di Pennacchi, Ammaniti, Zardi e Avoledo?
@ Stefano: Se andrai a vedere un forum di discussione fantascientifica, hai le stesse probabilità di incontrare discussioni su Pennacchi, Ammaniti, Zardi e Avoledo, quanto di incappare in post sui romanzi di Stross o di Murakami, di Walton o di Fowler. Ovvero poche, pochissime.
Ma non dipende dall’identificare col genere certi autori, quanto dal fatto che nella maggior parte dei luoghi d’incontro internettari che trattano di fantascienza si continua a parlare di Asimov Dick o Heinlein (o altri scrittori che hanno pubblicato il meglio del loro lavoro in un arco di tempo compreso tra 40 e 60 anni fa).
Che vogliamo fare, sopprimerli tutti o iniziare noi per primi a introdurre certi nomi ai lettori?
Il gender non esiste! Nemmeno in letteratura! Anche per i libri va superata la polverosa divisione tra maschi e fem… volevo dire, tra mainstream e genere; soprattutto, ogni libro va valutato per quel che è e non per quel che ci fanno credere in anticipo che ci troveremo dentro!
Libertà e pari dignità per tutti i libri a prescindere dal gender!
(Scusatemi, mi è presa così. Normalmente sono innocua, lo giuro)
@Giorgio
Infatti, purtroppo, la fantascienza, genere teoricamente rivolto al futuro, è estremamente passatista, specie in Italia.
Di recente m’è venuta in mente una cosa, forse sbagliata: quando Wells immagina la macchina del tempo non esita a partire per il futuro, e così fecero in seguito molti altri autori che utilizzarono la sua invenzione. Oggi le macchine del tempo quasi automaticamente puntano al passato e si dilettano in oziosi paradossi temporali. Anche in Ritorno al Futuro si parte per il passato e solo dopo, per necessità, ci si rassegna a esplorare il futuro, standoci il meno possibile…
Murasaki, il gender inteso come traduzione del lemma italiano “genere” esiste eccome!
Il gender inteso come “teoria complottista di origine massonica” è una autentica bufala (perdona il voluto ossimoro).
Combattere per la pari dignità, le pari opportunità e la piena consapevolezza di cos’è il genere non mi sembra proprio “superare la polverosa divisione tra maschi e femmine”!
Sei k., per caso!?
@Stefano
è paradossale, ma è così. Credo che dipenda dal mancato ricambio generazionale dei lettori dovuto al crollo delle proposte di fantascienza in libreria avvenuto a partire dagli anni ’90. Con la conseguenza più evidente che ora come ora lo zoccolo duro dei lettori di fs è composto per la maggior parte da persone sopra i 40 anni.
Noi si prova con il progetto Zona 42 a cambiare l’approccio e avvicinare nuovi lettori al genere, ma è davvero dura…
Sulla questione viaggi nel tempo, sì, credo tu non abbia tutti i torti, anche se continuo a pensare che il problema del “passatismo” all’interno del genere fantascienza riguardi molto di più i lettori che non gli autori. Almeno quegli autori che definiscono con le loro opere il qui-e-ora della narrativa di fantascienza.