Ammetto che la vicenda di Antonio Moresco mi ha lasciato sconcertata. Come ho letto questa mattina a Pagina 3, tutto nasce da un articolo di Giusy Capone per Il giornale d’Italia. Capone è un’insegnante, collabora con diverse testate (La Fionda, Il Borghese, Barbadillo) e interpreta l’opera di Moresco come ascrivibile alla destra
“carsica e aristocratica del pensiero europeo che concepisce l’uomo non come cittadino o contribuente, ma come essere in lotta contro il tempo, contro l’entropia, contro sé stesso. In tal senso, la sua visione si avvicina, pare, al pensiero di Julius Evola, non certo per affinità tematiche dirette, ma per comunanza di atteggiamento spirituale: entrambi procedono per via verticale, in opposizione frontale al materialismo della modernità, all’orizzontalità democratica, alla meccanica dell’ugualitarismo”.
Ora, ognuno può tirare per la giacchetta chi vuole, e si è visto nel tempo cosa è avvenuto e avviene ancora con Tolkien (anche se buona parte della colpa va a molti giornalisti e critici di sinistra, che alla parola “Tolkien” nitriscono come i cavalli di Frau Blücher e si affrettano ad accostarlo ai campi hobbit senza averne mai letto mezza riga). Personalmente trovo l’accostamento fallace, perché Moresco è inaccostabile a chiunque, e dunque meravigliosamente anarchico di suo. Inoltre, basterebbe aver letto la sua storia, i cammini, la Repubblica nomade, l’impegno sul clima, per essere quanto meno perplessi.
Perplesso è ovviamente lo stesso Moresco, che ne ha scritto su Il Primo amore. Anche perché non è che basti leggere Celine, che va letto, per essere arruolati.
Lo sconcerto viene però dalla falsa attribuzione di citazioni.
“In questo articolo vengono riportate diverse citazioni tratte dai miei libri. Bene, non ce n’è una sola che non sia inventata di sana pianta! Sfido chiunque a trovare nei miei libri le frasi che mi vengono attribuite. E questo, anche giornalisticamente, è grave. Com’è stato possibile che nessuna delle citazioni scelte come pezze d’appoggio per ciò che si sostiene nell’articolo sia davvero mia? Sono state costruite attraverso la cosiddetta intelligenza artificiale? Oppure sono state falsificate e inventate intenzionalmente? Ma allora perché indicare, in alcuni casi, addirittura i numeri delle pagine dove queste citazioni NON appaiono, e persino numeri di pagine inesistenti nei libri stessi?
Peccato, perché un articolo che diceva anche cose interessanti e che poteva essere scomodo e controcorrente, a causa di queste scorrettezze e di questa ansia di appropriazione, è diventato un falso.”
Ora, il falso d’autore è faccenda nobile, e nel tempo sono stati innumerevoli gli esempi, in buona o cattiva fede, per beffa o per imbroglio. Ma qui è un po’ diverso. Mi chiedo non se domani qualcuno o qualcuna possa impunemente attribuire ad altri parole che non ha detto o scritto (sì, lo so, è già successo e succede), ma quanto siamo attrezzati per opporci e dire che no, non abbiamo detto o scritto quel che ci viene attribuito.
E, su tutto, mi chiedo dove sono finiti i caporedattori.
Poco mi importa se nell’articolo di Giusy Capone, ora epurato delle citazioni farlocche, si dicano anche cose qua e là condivisibili. Analfabeta digitale quale sono, vorrei semmai capire come si arrivi a imbastirle, queste citazioni farlocche. Nelle riprese salvate e qui condivisi leggo che «L’unico vero rivoluzionario è colui che porta dentro di sé una guerra civile», spacciato per un passo da… “L’Increato”. Ora, se ben ricordo, questo è il titolo che in un primo momento Antonio pensava di dare a “Gli increati”, e la frase manipola semmai quanto si racconta in “Zio Demostene”: nel parlare della la sua famiglia, Antonio scrive che al «contrario di mio padre e di mio nonno, allineati al fascismo. Ho vissuto in casa una guerra civile». Sono simili, ma provengono da contesti lontani anni luce luno dall’altro.
Altro esempio: «Non credo in Dio come persona, ma in una forma di potenza, di luce, di origine, che è anche distruzione»: secondo Capone è un passo da “Scritti di viaggio”; ma pare affiancabile a quest’altro: «La luce in Moresco è suprema potenza distruttrice. L’Uomo di luce è il personaggio che, più di tutti, incarna la potenza della luce come distruzione». Solo che quest’ultima non è di Antonio, la scrive Jonny Costantino in un articolo sull’”Addio” di Moresco che sta sul “Primo amore”. Tutte cose reperibili in rete.
Quali libri di Moresco possiede Giusy Capone? Li ha letti oppure si è limitata a interrogare il suo motore di ricerca? Trovo tutto questo alquanto simile a certe foto e filmati imbastiti con l’inquietante verosimiglianza di una qualche dell’intelligenza artificiale. E bene fai, cara Loredana Lipperini, a domandarti perplessa se un «domani qualcuno o qualcosa possa impunemente attribuire ad altri parole che non ha detto o scritto».
Per un attimo (forse due), leggendo questo suo commento, ho pensato ad un naso in tracimazione perenne…