IL FILM DI CORTELLESI E UNA VECCHIA LETTERA DI BELLOCCHIO

Ieri pomeriggio ho visto finalmente “C’è ancora domani” di Paola Cortellesi. L’ ho trovato non solo un film pieno di intelligenza e di grazia, ma una delle non molte storie in grado di catalizzare una comunità. Al cinema gli spettatori inorridivano quando alla protagonista cade di tasca la famosa lettera, per esempio, e piangevano nella scena finale, e alla fine abbiamo applaudito non per forma, ma per gratitudine. Cos’ altro si deve chiedere a una storia? Così, mi è tornata in mente una vecchia lettera che Marco Bellocchio scrisse a Repubblica nell’ agosto 2007. L’ avevo conservata, ed eccola.

 

“Caro direttore, se si deve parlare di identità riferendoci al cinema italiano e all´Italia più in generale bisogna distinguere l´identità individuale dall´identità collettiva (può nascere un genio anche in un paese in piena decadenza), in questo la politica italiana più del cinema ci dimostra ogni giorno la sua mancanza di identità.

La classe politica è molto al di sotto delle aspettative degli italiani. E´ sbeffeggiata, derisa, disprezzata come non ho mai visto nella mia vita. In passato c´erano i due schieramenti e il disprezzo e l’odio erano per lo schieramento avversario. Ora è per tutta la classe politica. Poi ogni italiano fa qualche eccezione, ma personalizzata. Io ho fiducia in Veltroni, io in Bertinotti, io in Bossi, io in Berlusconi, nonostante eccetera.

Ma sono singoli uomini. E personaggi televisivi che vincono in televisione (vedi Berlusconi) in un gioco delle parti che non riserva più nessuna sorpresa. Dico televisivi perché siamo oggi lontani anni luce dal Neorealismo e perciò la pretesa, che anche io ho manifestato spesso, di un cinema italiano che ricerchi nuove forme, perché troppo parlato, le cui immagini sono al servizio delle parole, un cinema «invisibile», è vera e legittima purché si rinunci a qualsiasi nostalgia verso il glorioso passato, che è finito per sempre.

Perché il nuovo va ricercato in una società irriconoscibile rispetto a quella in cui mi sono formato come cittadino e cineasta, dove improvvisamente tutti sono registi (non sono diventati, lo sono acquistando un cellulare di ultima generazione) le nuove tecnologie hanno democratizzato mondialmente il fare cinema e le «nuove forme» nasceranno da lì. In internet si possono già vedere migliaia di film di migliaia di registi a costo zero.

Chi si è formato con i carrelli, il dolly, la pellicola continuerà a farlo fino all´estinzione, ma le nuove identità, le nuove immagini nasceranno da una nuova cultura che non è quella dominante, cinica, fatua cocainizzata e perciò senza nessuna idea nuova («in Italia comandano» i morti al di là dell´anagrafe, è per me un esempio di «morto» anche Fabrizio Corona, e sono dei «morti» tutti coloro che ne scrivono o ne parlano in televisione giustificandosi con la curiosità morbosa del pubblico, come se non partecipassero, molto ben retribuiti, alla sua «formazione») innestata in una tecnologia sofisticata ed elementare alla portata di tutti. Tutti è una novità che non garantisce la bellezza, ma il bello e il nuovo nasceranno, stanno già nascendo, dai miliardi di cellulari con cui ogni terrestre oggi può fare il suo film.’

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