IL G8 DELLA LETTURA

Bene: per la seconda volta nel giro di tre giorni cito Giuseppe Genna.
“Cosa sta succedendo? Che è arrivato, rombando, il gigantismo delle tirature e la richiesta di aumentare la liquidità, cioè il saldo, nelle maggiori case editrici. Si dichiarano vendite stratosferiche false – ma ora non basta più. Bisogna fare soldi, non basta più aumentare il giro di soldi e fare budget, è necessario invece che lo sviluppo sia convertibile all’istante in tassi di guadagno. Gli editori non lo dicono, piangono sulla sorte maledetta che sembra farli operare nelle ristrettezze mercantili del giro editoriale espresso dal Botswana (nazione che tra l’altro, in termini di PIL, ci ha scavalcato nella classifica mondiale).
Si tratta di una menzogna.
In realtà, quello italiano è il sesto mercato al mondo. Mentre rischiamo di scivolare fuori dal G8 (e sarebbe l’ora, sia perché non siamo tra le otto nazioni che devono decidere le sorti economiche del pianeta, sia perché si tratta di un’associazione criminale interstatale), siamo abbondamente nel G8 della lettura. O, perlomeno, della vendita dei libri. Ma agli editori non basta. Si richiede più sviluppo”.

In un lungo articolo su Carmilla, Genna interviene sull’editoria e il “teratomercato”, prendendo spunto dal (consueto) intervento dei Wu Ming sui propri dati di vendita, in questo caso relativi a Manituana.
Leggere e meditare.
Ps. due note personali. Un grazie a Elena Raugei per la splendida intervista che appare sul numero di febbraio  di Mucchio.  Infine, per  chi abita ad Avezzano e dintorni, l’appuntamento è per domani.

7 pensieri su “IL G8 DELLA LETTURA

  1. Giuseppe Genna è tornato on line dopo il parto di Hitler (!), e si vede. Da troppo tempo si erano rarefatte le sue lunghe e profonde sferzate sul derma italico chiazzato da psoriasi di ogni specie, somatizzazione di mali ben più profondi installatisi nel bel paese. Leggendo l’intero intervento su carmilla si trovano innumerevoli e stimolanti spunti di riflessione sull’argomento affrontato. Spero di non rubare troppo spazio e non travalicare le intenzioni della gentile titolare del post, commentando anche i punti dell’intervento di Genna qui non riportati.
    Sul teratomercato: c’è poco da discutere, i dati sono quelli e le conclusioni tratte da Genna sono troppo logiche – non ovvie, logiche – per essere validamente confutate. Autori di preparazione solida come quella dei Wu Ming non possono non vendere, magari non tantissimo, ma a lungo. Le idee valide resistono.
    L’eliminazione fisica e la waterloo del presente semplificato: il longseller. I responsabili del marketing della casa editoriale che ha cancellato dal catalogo autori latini e greci, e, a quanto fa intendere Genna non solo quelli, potrebbero invece essere pagati per curare la scannerizzazione dei testi antichi e che come sacri dovrebbero essere curati, conservati e messi a disposizione di chiunque voglia leggerli. Trasporli pertanto on line sul proprio sito editoriale, in copyleft, con obbligo di citazione della fonte originaria per chi li volesse riprodurre su altri siti. Non potrebbero organizzarsi così tutte le case editrici che hanno in catalogo testi che non vendono? Non lo so, sto chiedendo, forse ingenuamente. Sarebbe un bel veicolo pubblicitario per la casa editrice e gli autori in vita, a garanzia dell’immortalità ai testi loro e di coloro che li hanno preceduti. Oppure, rendere veramente universale un’idea come questa: http://www.theeuropeanlibrary.org/portal/index.html
    Assalto a un testo devastato e vile. Anche qui Genna ha ragione. La lettura che si trasforma in incanto. Bellissima. Sono uno dei 4000 – non so se il dato è aggiornato – che ha comprato e letto Medium. Sudavo mentre lo leggevo. Avidi di luce propria centinaia di autori invece vendono faccia e culo per vendere il proprio libro. Non so se sto peggio io che – ahimè, confesso – ho aperto il portafoglio per pubblicare, perlomeno stringendo le chiappe e mantenendo faccia e costruzione artigianale del testo. Sull’argomento dell’editing, vivaci ed ostinate botte e risposte su vibrissebollettino tra un autore e il comitato di redazione negli interventi in Vibrissebollettino http://www.vibrissebollettino.net/archives/2007/11/volete_diventar.html .
    Colpirne cento per educarne diecimila. L’impegno su più livelli esposto–proposto-richiesto da Genna è formativo e ambizioso, per gli scrittori e grandi pensatori. Speriamo in sviluppi futuri, concreti. Quanto all’ideologia ispirazionista o casualista, anche qui, vero, niente di più ridicolo di uno scrittore fermo le ore davanti al monitor onanisticamente a contemplare le proprie quattro frasi digitate, ingabbiato nel “veicolo unico della leggibilità o della supposta brillantezza”. Lasciando però all’autore con decenni di studi seri alle spalle la possibilità che, magari in un periodo particolarmente felice della propria vita, non gli venga proprio un cazzo da scrivere.
    Saluti e salute
    PS E’ di ora un bell’intervento di Paolo Cacciolati su Hitler di Genna in Bottega di lettura http://www.vibrissebollettino.net/bottegadilettura/archives/2008/02/hitler_di_giuse.html#more

  2. Gli editori ripetono che vendere è il loro mestiere e che fare soldi è il loro primo mestiere. Succede con i libri e succede con i giornali. La “battaglia per l’esistenza di un catalogo” a cui si riferisce Genna non solo è sacrosanta, non solo dovrebbe prevedere la “resistenza” dell’autore e l’impegno pedagogico dell’editore, ma dovrebbe anche considerare un concetto base: gli editori (di libri e giornali) hanno tutto il diritto di vendere e di guadagnarci. Con una non trascurabile differenza rispetto a qualunque altro imprenditore. La loro merce non è paragonabile ad un sacchetto di arance o ad un microchip, ad una trousse di ombretti o ad un’immobile in centro. Loro vendono cultura, memoria, verità (in certi casi), storia. Ed è questo il primo motivo per cui le regole devono cambiare.
    Genna è illuminante, come sempre.
    Rosa Maria

  3. Ciao Loredana io sono un’alunna della scuola di Avezzano, la stessa dove tu oggi hai presentato il tuo libro che spero di leggere al piu presto. Mi ha fatto davvero piacere ascoltarti oggi e in più mi sono ritrovata in tutto quello che hai detto. Sei grande!
    Morena

  4. Ho finito da poco di leggere Il suo libro. Mi è molto piaciuto, e sono stata d’accordo con lei su quasi tutto.
    Avevo letto a suo tempo il libro della Gianini Bellotti, e mi era piaciuto molto.
    Su una cosa, devo dire, non mi sono trovata d’accordo. Quando parla dell ehobbiste che amano i lavori femminili.
    Io sono una di queste, e anche quando partecipavo alle manifestazioni femministe, negli anni 70, lavoravo a maglia uncinetto e quant’altro.
    Se è una libera scelta, secondo me, dedicarsi agli hobbies femminili è una cosa sacrosanta.
    Io dedico ogni tanto i miei post ai lavori cosiddetti femminili, fatti però da uomini. Perché trovo che siano attività di tipo “umano”.
    Non disdegno altre cose, visto il mio carattere creativo, disegno, dipingo, faccio altre cose “maschili”, ma che io ritengo, appunto, “umane”.
    Non mi piacciono gli schemi, anzi, mi sento uno spirito libero.
    E questo mi porta ad amare tutto quello che la creatività umana riesce a fare. Senza preclusioni di sorta.
    Mi sentivo di puntualizzare tutto ciò. Complimenti per il suo libro, interessante e ben scritto.
    PS: Ho un’altro hobby, a cui tengo molto: la scrittura.

  5. @Plessus: non ho letto tutti i post (sono davvero tanti) di vibrisse, e, essendo un redattore editoriale, non posso che parlare a favore della categoria; ti garantisco che i cosiddetti “manoscritti”, tanto del mio settore principale di attività (scolastica) quanto di narrativa e saggistica sono talmente impestati di errori/orrori da non credere che chi li propone pensi davvero di poter essere pubblicato. Dalle sviste macroscopiche agli errori di ortografia da terza elementare (per lo meno della mia terza elementare, ho 40 anni).
    Nel 1995 uscì un libro di Ida Omboni (grande redattrice e lettrice di manoscritti), dal titolo “La forza del cestino. Strafalcioni e perle degli aspiranti scrittori”. Il testo non è particolarmente significativo (anzi, credo sia nato sull’onda di “Io speriamo che me la cavo”), ma contiene una premessa della stessa Omboni davvero imperdibile. Il libro è ampiamente fuori catalogo, ma in qualche biblioteca dovrebbe essere recuperabile.

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