COSE PREZIOSE E TERRIBILI DEL NOSTRO SCONTENTO

Sarà che il caldo che provo è inedito, e sono convinta che il corpo serbi memoria delle stagioni passate, e la sensazione della pelle che scotta l’ho provata raramente a meno di non addormentarmi sotto il sole. Sarà lo spaesamento, l’incertezza generale, la rabbia non sopita, sarà tutto quel che volete, ma mi chiedo perché intorno a me, di contro, tutto sembra accelerare come se fossimo in un produttivo ottobre e non in uno sfinito e sfinente luglio.
Queste parole hanno dodici mesi esatti. Il caldo è ancora più inedito, la pelle scotta, e la rabbia monta. Non la mia. Più passa il tempo che ci separa da quell’inizio del 2020, e, stranamente o forse no, si affievoliscono i miei piccoli e grandi furori, perché nessuno di noi può definirsi persona mite fino in fondo, e forse bisognerebbe parlarne di più, dei lati oscuri che neghiamo rappresentandoci come amanti dei fiori e degli animali (mi inquietano le bacheche delle odiatrici, piene di rose in boccio e cagnolini da adottare, e forse sono finte e forse sono vere, vai a capire).
So che la rabbia cresce, attorno a me. Per cose sciocche, anche, quotidiane. O per nessun motivo.
Per il poco che posso fare, vi posto qui un articolo scritto per Linus nel febbraio del 2022. Magari serve.

  “Cose preziose è l’ultimo romanzo che Stephen King, nel 1991, ambienta a Castle Rock. E’ anche uno dei più sgradevoli, perché l’epilogo rimette le cose a posto ma dopo che il caos e il sangue hanno avvelenato la cittadina irreversibilmente. La storia è in apparenza semplice: nella solita provincia sonnacchiosa e infelice, segnata da povertà e disillusione, arriva un uomo misterioso che apre un negozio, appunto Cose preziose. In apparenza è una rivendita di oggetti antichi, molti dei quali sembrano cianfrusaglie. Nei fatti, chiunque varchi la soglia scoprirà di desiderare disperatamente una fotografia di Elvis Presley, una coda di volpe, una canna da pesca, un paralume in vetro di Carnevale, la rara figurina di un giocatore di baseball. Quegli oggetti appaiono come preziosi, infatti, e così desiderabili che l’acquirente, sia donna, bambino, uomo, soffre nel sapere che non potrà permetterseli, perché i benestanti sono pochi a Castle Rock, come in tutti i racconti ambientati nei luoghi del Maine, dove il rancore cresce insieme alla piccola miseria delle vite. Scopriranno, però, che possono averli con pochissimi soldi, a patto di fare qualcosa per il misterioso proprietario del negozio, che si chiama Leland Gaunt e ha occhi magnetici che appaiono a qualcuno di un azzurro profondo e ad altri neri come le notti infestate. Uno scherzo, solo un piccolo scherzo a qualche abitante della città: tirare manciate di fango su candide lenzuola stese ad asciugare, confezionare un bel pacco con carta azzurra e lasciarlo sulla scrivania di un poliziotto (ma dentro c’è una trappola per topi), collocare una fotografia compromettente nell’automobile di una pia fidanzata. Man mano che la storia procede, i cosiddetti scherzi diventano più audaci: rompere finestre con le pietre, bucare le ruote di un’automobile, uccidere un cane con un cavatappi. Comincia la rabbia, cominciano i morti, finché l’intero paese, con l’eccezione di un solo abitante, lo sceriffo Alan Pangborn, si distruggerà a vicenda, spinto dalla propria avidità e dall’incarognimento che sonnecchia dentro ognuno di noi, finché il diavolo, o chi per lui, decide di risvegliarlo.
Che King sia un precog è noto, così come il fatto che romanzi come Cose preziose raccontino cosa di oscuro si muove in noi, e può anche essere tacitato magari in periodi di prosperità sociale, ma prima o poi rispunta fuori.
Sui social, che sono uno specchio molto interessante, nell’ultimo mese del 2021 sono avvenute un paio di cose preziose. Due polemiche, e fin qui non sarebbe una novità, ma in questo caso le dispute sembravano fatte apposta per tirar fuori la frustrazione, la rabbia, lo smarrimento di due anni di pandemia. Nel primo caso, l’oggetto del contendere era un film diffuso su Netflix, Don’t Look Up di Adam McKay. Cast, evidentemente, stellare (Leonardo Di Caprio, Jennifer Lawrence, Meryl Streep, Cate Blanchett, Timothée Chalamet solo per citarne alcuni), argomento caldissimo (una cometa sta per cadere sulla terra ma i potenti, sapendola ricca di materiali, ancora una volta, preziosi, tarderanno a distruggerla causando invece la fine del mondo conosciuto), uno sguardo satirico sulla confusione cognitiva e sul narcisismo generati proprio dalla frequentazione social. Ora, il punto non è il film, che è un’arguta distopia che da una parte fa il verso alle distopie catastrofiche e dall’altra ammonisce, nel finale, su cosa sta avvenendo davvero a causa della nostra distrazione: il punto sono le reazioni al film, che hanno occupato per giorni (persino in modo maggiore di quanto è avvenuto con E’ stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino) la maggior parte dei profili della cosiddetta bolla culturale di Facebook. Con toni così, spesso, feroci da suscitare lo sgomento di scrittori come Giuseppe Genna, che ha scritto: “Non so, oppure so benissimo, come le persone siano tornate al palinsesto del canale unico Rai. Si comportano come quando guardarono nel 1957 Il musichiere o nel 1959 Campanile sera (…)  La scelta in base a ciò che viene proposto è semplicemente il contrario dell’invenzione”.
Vero. Ma quel che è interessante è che le opinioni dell’uno e l’altro schieramento sono sempre meno scalfibili: qualcosa che già sapevamo, ma che è diventato più evidente. Non solo: sembra che il racconto di un paese diviso sia quello prediletto da chi deve fotografarlo, o comunque darne conto. A metà dicembre, il Rapporto Censis sostiene che “Accanto alla maggioranza ragionevole e saggia si leva un’onda di irrazionalità. È un sonno fatuo della ragione, una fuga fatale nel pensiero magico, stregonesco, sciamanico, che pretende di decifrare il senso occulto della realtà”. Tempo due giorni, e diversi influencer culturali si scagliano contro due interviste, apparse su Repubblica e Corriere della sera, ad altrettanti astrologi, ritenendo l’astrologia, e in assoluto il cosiddetto “pensiero magico” quanto di più deleterio ci possa accadere, e mischiando nello stesso calderone psichedelia, oroscopi e naturalmente i no – vax. Tempo tre giorni, e chi prova a sostenere che gli schieramenti sono tossici, e lo sono soprattutto in anni inquieti e pesanti come gli ultimi due, viene a sua volta accusato di sostenere il no al vaccino, anche se si è vaccinato tre volte.
In un bellissimo libro che si intitola Favole del reincanto, Molteplicità, immaginario rivoluzione (DeriveApprodi), l’antropologa Stefania Consigliere dice, fra l’altro, che la circolante presunzione di superiorità è quella che trasforma il disastro in apocalisse: “Le ragioni della nostra supremazia devono essere difese a qualsiasi costo: meglio un uragano scientifico che un rifugio magico; meglio morire che essere come tutti gli altri. Il ridicolo che abbiamo riversato sulla possibilità che esista qualcosa oltre a ciò che vediamo ci paralizza in mezzo ai binari. Conviene, in queste peste, riattivare il significato primo del vocabolo: l’idea che tutti, tranne noi, vivano nella superstizione (intesa come credenza non vera) ci impedisce di accorgerci di quanto la nostra adorazione della verità unica sia a sua volta superstizione (intesa come credenza paralizzante). Questa presunzione stregata è il Credo stesso dei moderni, conficcato in noi sotto una lega di violenza, ideologia e alienazione. Avvicinarsi al confine che separa il conoscere dal credere, la scienza dalla magia, il razionale dall’irrazionale significa, nel Vecchio Mondo, correre due rischi. Il primo è quello epistemologico della squalificazione, del bando dalla città dei Lumi. Il secondo è quello politico dell’accostamento al mix di machismo, superomismo, banalizzazione, risentimento, arroganza e prevaricazione comunemente noto come «fascismo»”.

Il discorso è lungo e complesso: ma di certo fa tremare la dicotomia inferocita fra razionale e irrazionale. Perché, come diceva un altro e molto amato precog, Roberto Calasso: “Sotto l’etichetta di quell’incongrua parola, disutile al pensiero, si [trova] di tutto. E si [trova] anche una vasta parte dell’essenziale”.

 

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