IL NOME SULLA FRONTE

Non so se qualcuno lo ricorda. Ma giusto tre anni fa Luca Traini cercò la strage a Macerata, sparando e colpendo sei persone di colore. Lo scopo, disse, era vendicare la morte di Pamela Mastropietro. Di quella storia, resta una targa ricordo appena eretta nei giardini Diaz della città, e resta, sotterraneo o meno, il concetto di vendetta indiscriminata. Non una parola sugli altri innocenti che, è vero, sono vivi, ma che sono stati feriti nella mattanza di quel 3 febbraio.
C’è tanta gente che alla parola “storytelling” si precipita a scrivere, via sms o commento, che non se ne può più e che noia e basta. Peccato. Perché per inflazionata che sia questa è una questione chiave.
Lo storytelling di Trump ha portato gli elettori americani a votarlo. Allora e anche, in buona parte, alle ultime elezioni presidenziali. All’epoca Franco Berardi scrisse:
“Trump insulta una donna, un disabile, un militare americano morto ma musulmano, un eroe di guerra ferito dai vietcong? Bene, io voto per lui.
Trump ha evaso le tasse da sempre, ha fatto lavorare immigrati e non li ha pagati? Bene, è la ragione per cui voto per lui.
Trump è un uomo del Ku Klux Klan, un assassino potenziale, un ignorante spaventoso? Bene, assomiglia a me e lo voto”.
Questa è la narrazione che è passata. E per quanto io continui a pensare a Greg Stillson e alla fine che fa  ne “La zona morta”,, so bene che quello è un romanzo e questa la realtà. E nel mio piccolissimo non posso che dire: attenti a come le storie vengono raccontate, a come filtrano, a come vengono diffuse, ai modi, ai toni, alla seduzione delle parole.
Anche nella narrazione del terremoto, nella stessa terra di Traini. Perché le sfumature sono infinite e la realtà, diversificata, certo, una: non si sta facendo nulla o quasi.  In attesa che il tempo passi, e magari i tempi collassino uno sull’altro, facendo uscire un uomo forte che cammina e calpesta, visto che il nome sulla fronte gli è stato pur scritto, in tutto questo tempo.

3 pensieri su “IL NOME SULLA FRONTE

  1. Ricordo che proprio in concomitanza dell’assassinio di Pamela (mi pare 24 ore dopo) fu uccisa a Milano un’altra ragazza in circostanze e modi assolutamente simili; ma dalle mani di un bianco, italiano, “uno di noi”. La ragazza milanese potette avere un funerale degno di un essere umano solo grazie all’interessamento del Comune di Milano perché la sua famiglia l’aveva abbandonata vergognandosi di lei (era anch’essa una “tossica”); nessun esponente politico sfruttò il delitto a proprio tornaconto ma soprattutto nessun Luca Traini si sentì in dovere di scatenare una mattanza di bianchi nella città meneghina. Per fortuna.
    Tornando a Macerata, invece, in tante e tanti hanno solidarizzato con Traini, compresa una buona parte del locale ceto medio “evoluto”. Non una parola sui due maschi bianchi, italianissimi, che hanno portato Pamela dal suo spacciatore invece di riaccompagnarla nella Comunità in cui tentava (evidentemente senza successo, nonostante le ripetute dichiarazioni contrarie della famiglia) di liberarsi dalla droga e che hanno abusato di lei sessualmente, pagandola sopra. Questi signori pare che si siano persino vantati della loro prestazione senza suscitare alcuno sdegno e reazione politica.
    Ma se ad ammazzare Pamela fosse stato uno di loro, cioè uno di noi, bianco e italiano? Sarebbe successo tutto quel che è successo dopo? La vittima avrebbe goduto della (giusta) empatia di cui è stata circondata o piuttosto sarebbe stata bollata “vox populi” come una “drogata che perdipiù viene da fuori e che se l’è cercata”? Quante volte abbiamo dovuto sentire queste orribili motivazioni affibbiate alle vittime di femminicidio o comunque a donne vittime di maniaci sessuali?
    Anni fa (era il 2006) un notissimo esponente dell’alta cultura maceratese tentò (fortunatamente per la vittima, invano) di strangolare la moglie Francesca coi fili del telefono dopo averla selvaggiamente percossa; quindi, credendola morta, tentò di occultarne il presunto cadavere chiudendolo in un sacco dell’immondizia gettato in un cassonetto di una frazione appena fuori Macerata: la donna riuscì a salvarsi perché riprese miracolosamente conoscenza prima che il sole portasse il cassonetto a temperature altissime e prima di esaurire il poco ossigeno intrappolato con lei nel sacco di plastica nera in cui era rinchiusa. I suoi flebili gemiti furono ascoltati da un ragazzo che abitava di fronte permettendogli di dare l’allarme prima che passasse il camion dell’azienda che raccoglie i rifiuti cittadini.
    Il colpevole, dopo numerosissimi e premeditati depistaggi, ammise l’atroce tentativo di delitto: fu trattato con i guanti di velluto, ben aldilà dei giusti modi dignitosi che vanno riconosciuti anche a chi commette violenze efferate. Pochi anni più tardi fu rimesso in libertà dopo aver soggiornato in una comunità di recupero pericolosissimamente vicina all’abitazione della vittima. Nessun giudice ascoltò i reclami della ex-moglie, nessuno invocò la pena di morte per il colpevole, nessun esponente politico intervenì e nessun Luca Traini si sentì in dovere di vendicare quell’orribile tentativo di femminicidio con tanto di premeditata, successiva distruzione di cadavere. E soprattutto, il colpevole godette a tutti i livelli di una comprensione e di una empatia ben superiori a quelle riservate alla sua vittima.
    Mi vien da dire: trovate differenze e motivazioni.

  2. Pur essendo sbagliato il gesto di Traini, esso rappresenta l’esasperazione dell’italiano medio per le troppe sentenze “leggere” nei confronti di questi qui,che sono campioni di criminalità.
    Nel caso specifico, poi, uno dei poveri feriti, una volta dimesso, è stato sorpreso nuovamente a spacciare.

    1. Sa una cosa, signora? Lei ha sbagliato pagina. Lei, nei suoi blog e nella sua attività on line, si dedica soltanto alla diffusione dell’odio on line prendendo spunto dalla vicenda di Pamela Mastropietro. Allora, lei non è la benvenuta qui. Con i razzisti, qui non si parla. A mai più. Lei è stata messa in lista nera e se posterà da altri IP cancellerò ogni suo commento.

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