IL PROBLEMA DEL PRESENTE

A proposito di quanto si diceva ieri sui modelli e sull’etica. Posto qui l’articolo di Michele Smargiassi sull’ultimo saggio di Marc Augé, Che fine ha fatto il futuro?. Da leggere.
Ps. Nota personale: da ieri, sono tornata a casa. E casa, molti voi lo sanno, è Radio Tre.

Ogni impero sogna di abolire la storia. Saper fermare il tempo è la prova d´esame del potere assoluto: riuscire a cancellare assieme il rimpianto del passato e la speranza del futuro è la sua garanzia di perennità. Così ogni dittatura sul presente inaugura, inevitabilmente, una dittatura del presente. Ed è questa “presentizzazione” assoluta la minaccia che Marc Augé intravede dietro la maschera ottimista della globalizzazione e la sua eccitante coalescenza di tempi e di spazi. Un destino che l´”etnologo nel metrò” paventa e denuncia in questo suo ultimo Che fine ha fatto il futuro? (Elèuthera, 110 pagine, 12 euro; ma il calembour del titolo originale, Où est passé l´avenir?, allude anche alla scomparsa del passato).
Già da questi accenni si dovrebbe capire che nonostante la sua mole esigua non si tratta di un libro semplice. Va letto tutto con attenzione, tranne il sottotitolo inventato dall´editore italiano, Dai nonluoghi al nontempo, infondato (nel testo la parola nontempo non compare neppure una volta) e anzi dannoso perché accetta di ridurre una definizione seriamente fondata – nonluoghi – il cui travolgente successo ha rischiato di sommergerne la genialità, a una formula rivendibile all´infinito sotto copertine sempre nuove. Non è così, per nostra fortuna.
Che fine ha fatto il futuro? è un libro intenso, percorso da tensione etica e anche politica, che forse deluderà chi si è fatto di Augé l´immagine semplificata di un antropologo del quotidiano alla divertita esplorazione di metropolitane, aeroporti e parchi gioco.
Che fine ha fatto il futuro? è invece un testo dall´orizzonte filosofico, ed è forse quello in cui Augé prende più nettamente le distanze dall´interpretazione postmodernista della contemporaneità, di cui pure condivide il presupposto, ovvero che là dove la modernità aveva distrutto ogni mito delle origini, la postmodernità ha distrutto anche ogni utopia avvenirista.
Ma nel suo entusiasmo per la presunta libertà che la «fine delle narrazioni» ci donerebbe, il postmodernismo sembra ad Augé «la versione cool ed ecologista della “fine della storia”». Alla postmodernità ottimista Augé contrappone la preoccupata visione di quella che chiama, non da oggi, surmodernità, frutto del collasso dello spazio e dell´accelerazione del tempo in un pianeta sovracomunicante. Questo presente orfano delle lezioni del passato e delle speranze nel futuro, insomma, non gli appare affatto più leggero di prima, ma più denso, claustrofobico, saturo fino alla nausea dei surrogati della storia perduta: le immagini rese ubique da Internet, le rovine (che dissociano il senso del tempo dal suo scorrere), il turismo che unifica geografia e cronologia riducendo entrambe a spettacolo.
Questo presente è prepotente ma fragile, oppresso com´è da ansie e paure. La prima e più terrificante delle quali, ovviamente, è la resurrezione di ciò che si è cercato di abolire: la storia.
Ogni società dominata dal presente teme l´evento come la peste. Lo esorcizza fin che può, sciogliendolo nelle spiegazioni di lungo periodo, negandone l´unicità e la rilevanza. Quando non può, perché l´evento è troppo poderoso, allora il potere cambia strategia: per reagire all´insopprimibile eventualità dell´11 settembre George W. Bush resuscitò un cadavere sepolto da oltre sessant´anni, la dichiarazione di guerra (al Terrore), che è sempre stata la regina della storia évenémentielle, ma ora diventa il suo opposto, il ritorno alla rassicurante continuità (era una guerra enduring, perenne), evento che nega l´evento e promette di risolverlo e annullarlo.
Ma proprio per questo la sfida si fa più dura e rischiosa. I frammenti di genere umano espropriati dalla storia, gli esiliati e i migranti costretti ad abbandonare la propria identità in un passato che viene ora dichiarato estinto, per rifondersi in identità straniere il cui futuro è programmaticamente bloccato, non hanno altra speranza di rivalsa se non riappropriarsi dei miti dell´origine come arma, e dei miti del futuro come programma d´azione, facendo ripartire la storia a colpi di eventi che non si possano sterilizzare, dunque sempre più violenti ed evidenti.
Augé, che resta un umanista, cerca di chiudere il libro su una nota di volonteroso illuminismo, immaginando «le condizioni di un´utopia dell´educazione» che disinneschino la bomba. Purtroppo, ben più realistica suona la sua profezia di poche pagine prima su ciò che sta maturando ai margini della surmodernità: «Se ciò da cui sono esclusi è la storia, non bisogna stupirsi se il rischio di vederli rientrare nella storia per le vie più pericolose e folli non è lontano».

14 pensieri su “IL PROBLEMA DEL PRESENTE

  1. Io mi prendo una pausa di riflessione. Nel senso che smetto di pensare per un po’, perché pensare mi agita troppo di questi tempi, soprattutto su questo tema.
    Solo un consiglio di lettura che mi pare in tema con il post di Loredana: L’invenzione della nostalgia. Il vintage nel cinema italiano e dintorni di Emiliano Morreale (Donzelli)
    E una domanda che mi gira in testa da un po’: perché la parola ‘futuro’ è scomparsa dal lessico della sinistra e compare sempre più spesso in quello della destra (le fondazioni o associazioni: ‘Fare futuro’ e ‘Italia futura’ che fanno capo, rispettivamente, a Fini e a Montezemolo). Cosa che fa il paio con il fatto che le ipotesi sul postberlusconi si fanno all’interno della stessa maggioranza ma non dell’opposizione.

  2. Quoto la mia omonima.
    Evidentemente anche le preghiere di un ateo vengono ascoltate lassù di tanto in tanto!
    16 Novembre: dies albo signanda lapillo.
    Sarò in ascolto, e speriamo che non siano troppo belle le puntate sennò non studio più!

  3. Interessante la riflessione odierna sul libro di Augé.
    Nel mio piccolo piccolissimo ambito di non-studiosa, anche in margine al discorso sulla crisi della fantascienza, da molto tempo sto rimuginando riflessioni che si muovono nello stesso intorno.
    A suo tempo avevo scritto un articolo, per la rivista in rete Delos, sul film Matrix e sulla sua simbologia, che metteva in evindenza proprio l’atemporalita’, l’assenza di idea di futuro.
    Quando nel film si vuole descrivere il mondo ideale in cui gli umani (usati in realta’ come batterie viventi) debbono sognare di vivere, quello e’ il mondo odierno, come se fosse il migliore dei mondi possibili, come se oltre non potesse esservi nulla.
    La crisi della fantascienza, che da sempre si nutre di futuro, e’ proprio in questo. E come corollario, ci si porta dietro la crisi dell’idea stessa di speranza.
    Il futuro e’ nebuloso, incerto. Se esistera’, sara’ sicuramente peggiore, tanto vale godersi il presente. E questa mancanza di tensione, di proiezione avvelena anche le giovani generazioni, per la prima volta ripiegate su se stesse e sul loro quotidiano.
    Percio’, niente immagini avveniristiche, si e’ smesso di proiettare ansie, speranze, paure, sembra esservi solo una visione sostanzialmente pessimistica, o quanto meno grigia: se all’essere umano, anche a quello che sta bene, gode di relativo benessere, togli comunque la speranza di miglioramento, avrai un essere spento.
    Se lasci la sensazione, latente, impalpabile, che siamo arrivati al massimo e il futuro sara’ quasi sicuramente peggiore, e, attenzione, che questo peggioramento e’ del tutto inevitabile, e’ ineluttabile, ne deriva una sensazione di apatia, di impotenza, di indifferenza.
    Persino la fantascienza piu’ pessimista e catastrofista si nutriva comunque di ammonimento, di speranza di evitare il disastro. Era come dire “guardate cosa potrebbe succedere se…”
    Ora il se e’ dimenticato, e cosa potra’ succedere, anzi, cosa siamo convinti succedera’ , siano guerre, degrado ambientale o altro, non vogliamo proprio saperlo, ci rifiutiamo di pensarci.
    L’immagine vale specularmente per la storia, per il passato.
    Finche’ non avremo recuperato lo studio del passato e la tensione di cambiamento per il futuro, finche’ ci trascineremo in questa apatia del presente, davvero non riusciremo a evitare il peggio, cioe’ il degrado di una civilta’ che gia’ ora mostra segni di scricchiolio.

  4. Ho fatto un intero – ma breve- esame universitario sull’argomento… è ovvio comunque che per l’odierna cultura pubblicitaria, che mira a vendere, il futuro del mondo, al di la delle piccole aspirazioni personali ed ordinarie, non serva e neanche alla politica-marketing sua figlia

  5. 16 novembre, me lo segno con un masso bianco! adesso, come mi auguravo qualche settimana fa, spero che ritorni “terza pagina”… forse quello è più difficile?

  6. Solo oggi ho letto “LA” notizia.
    Non ci speravo più, ci voleva Marino Sinibaldi per poter rivivere il piacere di” Lampi”
    Il 16 sarò in ascolto, o meglio vagherò per la casa con la mia radio portatile alla ricerca dell’angolo giusto per ascoltare radio 3, chissà … dopo la Lipperini incomincio a sperare anche in un ascolto migliore.
    In Bocca al lupo Loredana.

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