GABBIE

Ammetto di nutrire non poche perplessità su quanto dichiara oggi Raul Montanari a Maurizio Bono.
In sintesi, a fronte di una crescita dei libri pubblicati e venduti (riferisce Bono: “un noir italiano vende in media 10 mila copie, il triplo rispetto agli altri. Nelle preferenze di chi legge il genere dei generi è passato dal 21,7 per cento del 2000 al 27,1 del 2006 e ora è ben oltre il 30. In 10 anni nelle librerie italiane i titoli con morti ammazzati e detective sono cresciuti del 1700 per cento”), alcuni autori di genere si sentono prigionieri del medesimo.
Dichiara dunque Montanari: “Chiamiamoci post-noir, come il post-rock dei Radiohead o dei Sigur Ros che del rock ha fatto esplodere la struttura, eliminando il martellamento ritmico e amplificandone le visioni. Del noir, tolto il meccanismo obbligatorio e ripetitivo della detection poliziesca, resterebbero gli ambienti e il tema fondamentale della morte come ultimo conflitto, non necessariamente come omicidio. Insomma non tenere al centro delitti e detective senza però dimenticare la lezione della suspense. Che ti permette di raccontare meglio anche una storia d´amore”.
Intanto, ripesco dal blog l’intervento di Valerio Evangelisti di ben tre anni fa, nella prefazione a Distruggere Alphaville. Quando Evangelisti diceva:
“Se il grosso problema, per lo scrittore senza etichette, è la ripetitività, per quello di genere sono le gabbie. Il successo persino eccessivo arriso al noir, il potere contaminante della fantascienza (che può anche agonizzare, ma dopo avere riversato sulla società immagini, idee e un intero vocabolario utile a descrivere i più recenti sviluppi della società stessa), l’estendersi dell’horror nelle più inattese diramazioni mediatiche, ecc.: tutto ciò resta vitale finché resiste alla minaccia incombente della cristallizzazione in formule prive di anima e di tasso inventivo”.
In secondo luogo, aggiungo una piccola riflessione.
La gabbia di cui parlava Evangelisti è funzionale soprattutto all’editore e al venditore, non allo scrittore. O, almeno, così dovrebbe essere. Per lo scrittore dovrebbero contare la storia e la lingua: da questo punto di vista, le gabbie (noir, giallo, fantasy, horror, storico e chi più ne ha più ne metta) hanno molto poco senso.
Cos’è mai La strada di Cormac McCarthy? Indubbiamente un urban fantasy. O magari un horror post-apocalittico. Conta davvero saperlo? Direi di no.
A costo di ripetere cose già dette infinite volte, resto convinta che in Italia il noir abbia avuto la grandissima funzione di distogliere una buona parte di narratori dai muri di casa propria e dai marciapiedi del proprio quartiere, e di costringerli a guardare almeno dalle finestre. Ma adesso ha davvero poco senso parlare di generi: se non per chi i libri deve metterli su uno scaffale ben preciso.
Ma forse si arriverà a superare anche questa fase. Spero.

36 pensieri su “GABBIE

  1. Più o meno. Nel senso che spesso un genere, con le sue convenzioni, ti permette di giocare sulle aspettative del lettore. Sconvolgendole, anche.
    Oppure è una semplice cornice, attraverso la quale puoi far arrivare cose in maniera un po’ “contrabbandiera”.
    Quello che conta è la consapevolezza e la voglia di sperimentare.
    Il problema viene fuori quando il genere smette di essere il mezzo e diventa il fine.
    Allora tutte le altre finestre vanno a chiudersi.
    E comunque io sono un grande fan del multi-genere e delle ibridazioni: in Sanctuary ho tentato di mischiare la blaxplotation con l’urban fantasy, cosa che non credo abbiano osato in molti… ^__^

  2. Ma perché mai fuori dalla finestra dovrebbe esserci per forza qualcosa di meglio che dentro i muri di casa?
    Ciò che importa, lo dice lei, sono la storia e la lingua.
    PUNTO.
    Non si contraddica ingabbiando a sua volta.

  3. Anch’io non posso che essere d’accordo. Da sempre sono per le contaminazioni e non sopporto classificazioni troppo rigide e vincolanti.
    Soprattutto nell’ambito del fantastico in cui mi muovo io.
    Eppure, sono i lettori stessi e gli appassionati, a volte, a sfinirsi in discussioni di lana caprina sui forum.
    Per esempio, lettori fantasy che amano solo mondi fantastici e non sopportano la fantascienza, oppure (molto, molto piu’ di frequente) appassionati della seconda che non perdono occasione per mettere puntini su puntini, per attribuire patenti fantascientifiche solo dopo accurato esame, con criteri sempre piu’ esclusivi e rigorosi che di volta in volta ammettono solo scienze “hard”, cioe’ tecniche e non umane, che pretendono che uno scrittore abbia almeno tre lauree e abbia letto centinaia di tomi di nanotecnologie e postumanesimo prima di azzardarsi a scrivere una riga di racconto. Con buona pace della narrativa.
    Questo atteggiamento probabilmente e’ frutto del fatto che la scienza, nel nostro paese, si sente accerchiata e reagisce di conseguenza, per autodifesa. Ma non e’ molto costruttivo, a mio modestissimo parere, e non aiuta certo ad ampliare il bacino dei lettori.

  4. Poco fa mi ha chiamato un giornale nazionale per chiedermi, dopo che Raul Montanari ha dichiarato che “non ci sono più le mezze stagioni”, se ho intenzione di ambientare il mio prossimo romanzo in estate o in inverno. Da autore “autunnale”, ho risposto, ancora non so: ma credo che il protagonista sarà un abitante di Harlem che trova un lavoro come lavapiatti al Cotton Club, e nel giro di un anno diventa un ballerino di fama, perché, come dice Montanari, “i neri hanno il ritmo nel sangue”.

  5. Io non capisco la storia del post-noir e del post-rock. Si potrebbe aggiungere post-punk che sono in Italia si chiama new wave, ma per gli inglesi è un movimento culturale/letterario…
    Così noi potremmo inventare il sottogenere, del sottogenere post-punk-noir, ma dark. Sottogenere del sottogenere di masturbazione da cameretta, ma con i muri neri.
    Protagonista un post-adolescente o un post-tardo-adolescente che, sdraiato nel suo lettino, contempla i muri, ma sogna l’omicidio di quella zoccola che l’ha piantato. Tra un massacro truculento e l’altro si ammazza di seghe perche il nero, tanto post-gothic, lo ingrifa un casino.
    Forse questo non è esattamente un post-noir, frose è più un post-horror, sicuramente è un post del cazzo, per fortuna non è un’intervista sulle seghe di genere.

  6. Scusate la greve ironia, ma oggi mi hanno chiesto: “Di che genere è il tuo nuovo romanzo?”
    Giuro, volevo sbattere, violentemente, la fronte sulla tastiera.

  7. Mi accodo, con altrettanto vigore, a quanti annuiscono.
    Posso permettermi di dire una cosa, rischiando di essere banale o superficiale? La contaminazione dei generi letterari esiste praticamente da sempre nei fumetti, e non dico in quelli d’autore, ma in quelli popolari, quelli “dozzinali”, da cui hanno tratto film e servizi di Vincenzo Mollica. Tex, Dylan Dog, i supereroi americani (in primis, il mio amatissimo Superman), e in genere tutte le grandi icone della letteratura disegnata occidentale, hanno travalicato più o meno già dal dopoguerra i confini di genere per grazie a grande varietà di storie, contesti e personaggi. Forse è per questo che nonostante per cinquant’anni (ma forse ancora oggi, soprattutto da parte di molti radical chic che si autocompiacciono con Corto Maltese e l’opera di Andrea Pazienza) siano stati ritenuti brutti, sporchi e cattivi, tra alti e bassi nelle vendite, ancora oggi sono presenti nel nostro immaginario come un qualunque Ulisse, Orlando o Amleto.

  8. Alessandra C: a chiederti il genere del prossimo romanzo è stato un editore, un venditore o un lettore?
    Perché il punto centrale mi sembra sia stato centrato da milena_d, quando dice che spesso sono proprio i lettori a fare discussioni infinite – e spesso dogmatiche – sui generi. Cosa che avviene moltissimo nella musica, ad esempio nel metal (chi non ha ascoltato “Suicidio a sorpresa” degli Eelst lo faccia il prima possibile), e un po’ in tutte le arti di ampio consumo.
    L’esempio fantasy vs sci-fi fatto da Milena è azzeccatissimo: mi ricordo una discussione memorabile in un forum su Tolkien e Asimov, in cui due fan dei suddetti si sono scannate a forza di insulti grevissimi. Ma al di là degli eccessi, i lettori che identificano i propri gusti con i generi sono ancora molti, e il circolo vizioso con le politiche editoriali diventa inevitabile.

  9. Sulla degenerazione classificatoria dei microgeneri è interessante secondo me vedere cosa è successo al povero (heavy) metal: ogni band ha un suo microgenere (metal gotico progressivo sinfonico? punk-rap-metal? celtic doom love metal? hummpa-folk-metal scandinavo?) di cui è essenzialmente l’unica rappresentante o quasi…

  10. Però continuo a credere che per il grande scrittore il vincolo di genere sia una ricchezza, una falsa parete elastica da manipolare in funzione di temi e storie con sapienza. Il grande scrittore crea, non segue. Il genere lo fanno quelli che lo seguono con troppo zelo e ripetitiva passione (vedi Tolkien)

  11. forse prima di parlare di noir, bisognerebbe avere bene in mente che cos’è il noir. E’ certo un etichetta che, come diceva la vera, grande scrittruice di noir Highsmith, serve solo per disporre i libri sullo scaffale. Ma ma il noir non è il killer, più o meno serial, non è il tossico che uccide al parco il pusher, no, queste sono crime story, thriller. Il noir è woolrich di ho sposato un’ombra, è Jim thompson, David Goodis.Il noir è qualcosa che nessuno scrive più, è il male dell’anima, del mondo. E’ la vita che distrugge, che isola, è insomma la sconfitta e la rassegnazione della sconfitta. che poi sia post o ante non ha alcun senso, se non quello di “facimmo muina”, come si dice a Napoli.

  12. Scusa, Loredana, il bene che ti voglio lo sai ma visto il tenore grottesco e pippaiolo di diversi interventi rimando alla discussione molto estesa che c’è in questo momento qui:
    http://satisfiction.menstyle.it/
    Soprattutto perché c’è all’inizio il carteggio fra Grazia Verasani, Gianni Biondillo e me da cui è nato il concetto. Se post del cazzo dev’essere, almeno che il cazzo esca in tutta la sua amabile lunghezza, e completo di attributi.
    Già che ci siamo: il mio primo noir letterario l’ho scritto nell’88 e pubblicato nel ’91, perché allora era difficilissimo trovare un editore per questa narrativa. La storia del nuovo noir italiano me la sono fatta dall’interno, quindi ho qualche titolo per criticare la stagnazione attuale (la letteratura ci insegna che quando un movimento o un genere è al massimo del successo popolare, comincia già a svuotarsi di contenuti artistici) e proporre qualcosa di nuovo.
    Grazie dell’attenzione e ciao.
    Raul

  13. Caro Raul, anche tu conosci il bene che ti voglio, ma non mi pare che ci siano tenori grotteschi nè tanto meno pippaioli nei commenti a questo post: che, tengo a ribadire, si basava sulle dichiarazioni apparse su carta e non in rete.
    Del resto, nessuno ti nega il diritto di proporre alcunché: ma non è negabile che già tre anni fa, in termini e luoghi meno urlati rispetto ad oggi, la questione era stata posta.
    La stagnazione c’è: ma proporre un post-genere non crea nuove strade, a mio umile parere.
    Quanto alle modalità usate da Satisfiction, e non solo oggi, ci torno fra poco.

  14. Esempi di commenti grotteschi e pipparoli: Girolamo, Alessandra C, Lia.
    Continuo a non capire il problema che si pone se tre anni fa qualcuno ha detto cose simili a queste; non mi pare che l’autore di cui parli soffra, rispetto a me, di un difetto di amplificazione. E le cose che dico io sono diverse.
    Urlati, dici? Dov’è che ho urlato, io? Ho pubblicato in rete un carteggio con due altri autori e mi hanno fatto un’intervista su Repubblica, cioè un giornale dove una scoreggia di Baricco o Scurati occuperebbe due pagine. Giornale che fra l’altro non ha nemmeno recensito i miei ultimi libri, come sai.
    Figurati l’urlo. Al massimo posso pigolare, se proprio mi ci metto d’impegno.
    Ciao a tutti
    Raul

  15. Raul, infatti il problema non si pone: se leggi bene quello che ho scritto, ho ribadito che la questione era stata affrontata in altro modo e in una direzione che, almeno a me, sembra più sensata e anche più utile a chi scrive e chi legge: la dispersione del taglio noir nel maistream, senza ulteriori etichette.
    L’urlo non è evidentemente il tuo, ma del contesto web in cui la questione è stata posta. Mi sembrava evidente.

  16. Loredana, la mia situazione è questa: ho pubblicato dieci romanzi, di cui solo due noir (’97 e ’98). Più, come sai, oltre cento racconti, il libro di poesie con Scarpa e Nove campione assoluto d’incassi per la “bianca” Einaudi, testi teatrali, circa trenta traduzioni letterarie inclusive di quattro McCarthy, Oscar Wilde, Borges, Philip Roth, traduzione e curatela quest’anno delle poesie di Poe per i Classici Feltrinelli, l’Edipo Re e Edipo a Colono di Sofocle attualmente portati in tour da Branciaroli, il Tieste di Seneca, Doppio sogno di Schnitzler eccetera. Oltre a ciò ho da dieci anni una scuola di scrittura creativa dalla quale non è uscito un solo noirista: sono usciti Gaia Manzini e Luca Ricci, due giovani maestri della narrativa psicologica e minimalista; Anna Spissu che ha scritto un romanzo storico per Corbaccio; Valentina Maran che ha scritto a mio avviso l’unico vero romanzo erotico femminile visto in Italia da decenni; il trio Zelda Zeta, il cui romanzo sociale Voice Center è stato saccheggiato ignobilmente nel film di Virzì sul call centre che cfredo tutti abbiate visto e diversi altri ancora.
    Con tutto questo, vengo comunemente definito “autore noir” e addirittura “giallista”.
    L’ultima volta? In un’intervista radiofonica di tre giorni fa, fatta fra l’altro da una persona che stimo, Marco Casa di Radio Marconi. Marco, per parlare del mio ultimo romanzo che di noir a momenti non c’ha manco il colore delle lettere stampate, ha esordito dicendo: “Oggi il giallo a Radio Marconi!”.
    Allora, il dubbio che mi viene (ma è solo un espediente retorico per farvi sorridere perchè non è dubbio, è certezza) è che la dispersione del noir nel mainstream non avverrà mai, perché dal punto di vista sia del critico pigro – non tu, quindi – sia dell’editore, del libraio e così via, l’etichetta in realtà aiuta. E, mi spiace dirlo, anche dal punto di vista del lettore, che spesso è il più pigro di tutti, magari anche a buona ragione.
    Io mi sono inventato il post-noir per questo e l’ho detto chiaramente: questa etichetta del noir me la porterò addosso per tutta la mia unica vita? Bene, allora metto a punto un superamento dall’interno.
    E’ ovvio che nel mondo ideale verrei definito semplicemente uno scrittore, anzi un letterato – espressione purtroppo marcata da uno squallore senza rimedio; nel mondo reale, se questa scimmia sulla spalla ce l’ho, provo almeno a trasformarla in qualcosa che mi somigli di più. Dopodiché, guardandomi intorno, noto che altri sono nella mia condizione.

  17. Raul, ma su questo hai PERFETTAMENTE ragione.
    Che ci sia pigrizia è vero.
    Ma, almeno nella mia testa balzana, bisognerebbe agire sugli editori e venditori prima ancora che sui media: perchè i media sono prontissimi a creare ulteriori caselle.

  18. Generi o post-generi servono però almeno a evidenziare quanto un libro come il citato “La strada” (C.McCarthy) non consista in più che una fastidiosa escrescenza della science-fiction socio-apocalittica prosperata nei 40/50. E con esiti assai più comunicativi e originali…

  19. Insomma, la scimmia non si può uccidere e dalla gabbia non si può scappare. Guarda, Montanari (mi viene meglio il cognome, ti conosco così) come lettrice sono molto solidale con te, ma ti devo anche dire che quando scelgo o leggo un libro il genere è l’ultima della mie preoccupazioni.
    C’è, è vero, una pigrizia che contagia un po’ tutti gli anelli della catena (e non mi pare che siano i lettori i più pigri), ma – proprio per questo – a che serve un sottogenere?
    Non sarebbe meglio, come dice Loredana, tentare di smuovere quella pigrizia? Magari sarebbe un investimento a più lunga gittata, perché poi questa inerzia non mi pare che porti – alla resa dei conti – a grandi risultati commerciali. Visto che, in soldoni, al di là dei grandi discorsi di critica, estetica, etica ecc. ecc. ecc. , è questo l’obiettivo degli editori: ti marchio un libro come noir, ti nascondo che è un libro di racconti, ci metto sopra una copertina che acchiappa, lo faccio passare in tv e, alla fine, qualche copia in più riesco a venderla.
    Contenti loro.
    Questo almeno è il mio punto di vista da scontenta lettrice.

  20. Certo, Valeria. Però dovresti spiegarmi in cosa consiste questo investimento a lunga gittata. Se sono qui a dirvi che è da una vita che cerco – con il mio lavoro letterario a tutto campo – di togliermi questa targa dal cofano e me la trovo regolarmente appiccicata!
    Per quanto riguarda le vendite il discorso è semplicissimo: a me questa storia del noir ha fatto solo danno.
    Anzitutto perché, come sa chiunque abbia studiato quel minimo di marketing, è sbagliatissimo promettere qualcosa che il prodotto non mantiene. Ogni volta che un vero appassionato di letteratura poliziesca, tratto in inganno dalla targa, compra un mio libro aspettandosi di trovare cadaveri a go-go, io subisco un danno incalcolabile; perché quel lettore sarà deluso dal mio libro, non ne acquisterà un altro e innescherà un passaparola negativo.
    Altro danno: il mio libro viene scartato a priori da un certo pubblico, soprattutto femminile, che sarebbe invece molto interessato al tipo di romanzo psicologico che faccio.
    Terzo, ma non ultimo: faccio fatica ad avere il tipo di recensioni LETTERARIE che sarebbero le più adatte a quello che scrivo; non posso pensare di vincere i concorsi LETTERARI che sarebbero pure loro i più adatti e che non a caso vincevo all’inizio, prima dell’immatricolazione.
    Questa situazione personale è, lo ripeto, condivisa in notevole misura da parecchi altri autori e titoli.
    Aggiungo, per congedarmi, un ultimo elemento: che mentre Grazia Verasani e Gianni Biondillo hanno acquistato popolarità come autori proprio con i loro libri noir con investigatore seriale, il che dà un minimo di giustificazione all’etichetta, io l’investigatore seriale non l’ho mai messo perché per me la vita quotidiana di un impiegato delle poste è molto più interessante di quella di un commissario. Quindi nel mio caso questa insistenza è particolarmente insensata – il che non vuol dire che Gianni non abbia ragione a far notare che i suoi ultimi quattro (quattro!) libri non sono libri noir… tre, addirittura, non sono nemmeno romanzi.
    Ciao davvero a tutti, grazie per l’attenzione e un bacio a Loredana.
    r

  21. Raul prima di tutto, scusa.
    Detto questo tu non ti scrollerai, mai, l’etichetta di autore noir, ma cerca di capire che altri autori non riusciranno, mai, a uscire dalle gabbie dei generi, sottogeneri e pseudo generi proposti, ciglicamente, in varie forme.
    Personalmente non mi sembra opportuno per ribadire di non essere un autore di genere crearne un altro, anche se si trattava di una provocazione.
    Magari sto sbagliando.

  22. Per ‘impegno a lunga gittata’ mi riferivo a una politica editoriale più lingimirante ed intelligente. Un po’ quello che dice Loredana nel suo post di oggi.
    Io ho come l’impressione che tra lettori e scrittori ci sia, o comunque ci potrebbe essere, un’alleanza molto più profonda di quello che appare o che si vuole fare apparire.
    In fondo né tu scrittore, né io lettrice ci riconosciamo nelle etichette che ci hanno cucito addosso.
    (non ti sarà di grande conforto, ma io non ti ho mai percepito come autore noir e basta. Leggo ogni libro come se fosse il primo, indipendentemente dalle fascette editoriali e dai giudizi dei critici. E ti posso dire che molti lettori che conosco lo fanno).

  23. Scusate, è la prima volta che vengo qui. io non conosco Montanari, mi perdoni. a dir la verità non leggo libri di genere (e qui montanari ha ragione. non l’ho mai letto per un pregiudizio che ho sui gialli). non ho mai letto un giallo di Biondillo. Solo che ho letto il suo libro Metropoli per principianti, per lavoro, e ne sono rimasto folgorato.
    Ora ho comprato il suo nuovo romanzo, l’ho iniziato ieri e mi sta lasciando senza fiato. Non so che genere sia. A me pare letteratura e basta.

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