IL RITORNO DEL MONNEZZONE

Volevo, lo giuro, parlare di qualche libro che mi è piaciuto particolarmente. Però la discussione che si è sviluppata su horror e informazione in rete sta prendendo una piega molto interessante: se ne parla su Malpertuis e da Andrea G.Colombo.
Aggiungo solo una piccola cosa: giustamente il titolare di  Scheletri rivendica nei commenti a Malpertuis  il carattere amatoriale del suo sito, peraltro gestito con molta passione da una sola persona, mentre le recensioni vengono direttamente dagli utenti. Certo, questo è un caso diversissimo rispetto alle tre e-zine corazzata di cui ho parlato in precedenza: però, la mia provocazione intende  battere anche su questo tasto.
Ovvero, l’importanza di un’assunzione di responsabilità PROPRIO da parte degli amatori. Chiunque scriva su un blog scrive gratis: ma se è il compenso a fare la professionalità, la rete rischia grosso. Almeno secondo me, è importante essere sempre pienamente consapevoli di cosa e di come si scrive.
Anche quando si parla di horror e di fantasy.
Direi, persino, soprattutto.  Dal momento che ieri ho visto rispuntare il fantasma del Monnezzone.
Il Monnezzone ha una lunga storia. Si manifestò nel 2006, quando Silvia Ballestra, intervistata da Simonetta Fiori per l’uscita del suo romanzo, ne parlò in questi termini:
Il “monnezzone” è il thriller standardizzato, diffuso a livello planetario. Libri plastificati sul genere Sonzogno ma anche Mondadori ci dà sotto. Un esempio tipico è Jeffrey Deaver, l’ inventore del criminalista paraplegico coinvolto in storie efferate. Titoli del tipo: Lo scheletro che balla o Il collezionista d’ ossa… O anche i gialli di Carlo Lucarelli e Massimo Picozzi. è un genere che tira molto. E io confesso che, quando sto male, me lo divoro.
Seguì un articolo di Andrea Cortellessa su Tuttolibri, la cui parte finale recitava così:
Purtroppo per l’eventuale buonafede di chi spaccia a palate i suoi spaghetti gothic, a contenere in sé un reagente conoscitivo dal valore anche sociale resta proprio la noiosissima letteratura «vera». Quella, cioè, che funziona attraverso la differenza, e non la ripetizione. Quella che, se inventa sempre nuove forme, è perché non s’appaga soporifera di quelle ereditate (le forme artistiche, trascendentale allegoria di quelle dell’esistenza associata). Quella che non equivale certo, sic et simpliciter, alla «comunicazione»: e proprio per questo ha il coraggio di pagare (anche fuor di metafora) la propria mancata «sintonia con le domande della società». È questa la letteratura che prevede, fra i propri scopi ideali, la liberazione del pensiero di chi legge. E non è un caso che sia questa, oggi, a rischiare d’essere travolta dal «futuro» editoriale e mediatico dei monnezzoni «Classe 1984». Se ciò dovesse accadere, stia sicuro l’Inquisitore, non mancheremo, armi e bagagli, d’andarcene sopramonte. Non la sottovaluti, Eymerich, la resistenza: altri hanno fatto lo stesso errore.
Dopo un lungo silenzio, il Monnezzone è riapparso in pompa magna in un articolo di Elena Stancanelli, peraltro molto bello e interessante per quanto riguarda il rapporto fra case editrici e autori. Solo che, verso la fine, cigolano le porte, stridon le catene. Ed ecco cosa accade:
Comprare libri è difficile. Per chi non tiene il naso ficcato ogni giorno nelle pagine culturali dei giornali serve un tom tom, qualcuno che ti indichi la strada quando, entrando nelle librerie, vieni ormai travolto dalla potenza visiva e anche fisica delle pile di “monnezzoni” dalle copertine dorate, che vomitano draghi, complotti, maghetti.
E tre.
Tre fra autori e critici che definiscono spazzatura o, nella migliore delle ipotesi, scrittura da volgare  intrattenimento, tutta la narrativa fantastica. Sì, tutta. Perchè non mi interessa se qualcuno, ora, salterà su dicendo che in realtà adora Philip Dick e ha costruito un altarino segreto a Lovecraft.  Occorre essere chiari: che ci siano libri di basso profilo nella narrativa fantastica è evidente. Che tutto ciò che parla di draghi e magia sia immondizia  è un falso.
Se, dunque, il Monnezzone viene ancora considerato come serie B rispetto alle nobili stanze della letteratura  (ma che noia dover ripetere queste cose a distanza di quasi quattro anni. Davvero, che noia, che desolazione), ebbene, ecco che l’assunzione di responsabilità di chi informa, sulla rete, su  quei libri, diventa fondamentale.
Tutto qui.
Ps. Gl D’Andrea parla nel suo blog dello stesso articolo.

334 pensieri su “IL RITORNO DEL MONNEZZONE

  1. Ringrazio Marco per i lunghi, articolati, documentati interventi, e Wu Ming 1 per i link.
    Quanto a Sascha, temo che la sua reazione sia quella tipica degli ex fumatori nei confronti di chi accende una sigaretta 🙂

  2. @ lalipperini
    Questa è carina.
    @ marco
    Al quarto link m’è crollata l’attenzione.
    Mi sa che abbiamo proprio un diverso concetto di ‘critica’. Per me, che i critici capiscono o non capiscano la fantasy è del tutto immateriale, poichè il mio piacere non dipende da loro. La critica è parte della letteratura e si legge se è piacevole: Pauline Kael non avrà capito Odissea nello Spazio ma è tanto più divertente da leggere di quelli che l’han capita… Da quando ho imparato a leggere dei critici ne ho sempre e solo sentito parlare malissimo (quelli di cinema peggio di tutti), col risultato di rendermeli simpatici e farmeli difendere se possibile.
    Il mio problema invece è quello di essere cresciuto in un ambiente ed una società in cui quella che un tempo era la letteratura ‘alta’ semplicemente non esisteva od era svalutata in tutti i modi (noiosa, vecchia, reazionaria, per sfigati…) ed ho dovuto scoprirla da solo più tardi, magari con l’aiuto dei tanto deprecati Bloom. Il risultato è che soffro molto le sopravalutazioni (e sai benissimo che ci sono) della popular culture, sia quelle accademiche (specie americane) che quelle più terra terra alla Mollica o da forum online…

  3. @ Marco
    Grazie per la raffica di sollecitazioni. Sicuramente utile.
    @ Valeria
    Ho fatto un’esternazione a rischio di OT, su Cheever e Checov, solo per dire che non necessariamente il critico “ufficiale” deve – per contratto o per una sorta di coazione razziale – adorare e porre sul piedistallo tutto ciò che rientra nel canone storico o contemporaneo. Riconosco l’importanza di Checov (anche per l’esemplarità su scrittori che a loro volta non amo granché, come Cheever e Carver), ma leggo con più piacere Gogol’ (o Andrej Belij, o Michail Bulgakov). Riconosco l’importanza di Carver, ma leggo con più piacere Thomas Pynchon (malgrado le riserve di Marco). Eccetera. Io non sono l’espressione di una casta monolitica e con la coda che si attorciglia, non sono il “Potere” (magari!). Io sono un semplice individuo, con le sue ubbie e le sue predilezioni, che per la passione per la letteratura ha affrontato (e continua ad affrontare) un percorso di acquisizione di strumenti tecnici, onde svolgere al meglio la sua funzione. Come singolo individuo, non “tendo a convincermi che mi piaccia tutto quello che ritengo importante” (né il contrario, cioè “giustificare preferenze personali appellandomi a supposti criteri ‘oggettivi'” – che sarebbe ancor più fuorviante); come critico “militante” (espressione orribile) quelle ubbie e quelle predilezioni non temo di esporle (anche se mi pare giusto cercare di razionalizzarle, nonché renderle retoricamente il più convincenti possibile); come storico della letteratura (ho fatto anche quello) mi sembra più giusto un atteggiamento tendenzialmente (e per quanto umanamente possibile) equanime. Non è un caso che nel mio sforzo più “canonizzante”, un’antologia di poeti contemporanei di più di 1200 pagine dal titolo Parola plurale (uscita da Sossella nel 2005) sin dall’inizio del progetto (sei anni prima) ho deciso che la responsabilità delle scelte non doveva essere solo mia; infatti alla fine l’abbiamo realizzata, quell’antologia, in otto. Sono stati fatti molti lavori del genere negli ultimi anni, ma praticamente tutti i lettori riconoscono che il nostro è stato il lavoro più inclusivo (anzi, le critiche che abbiamo avuto sono state ovviamente quasi sempre quelle di eccessiva inclusività).
    Insomma. Quella del critico è una passione prima che un mestiere (e uno stipendio, sapesse Dimitri quanto dovizioso!), e una superstizione prima che una tecnica. Il che non toglie che si debba farlo, se proprio ci si convince di farlo, con la massima deontologia – e la massima strumentazione.

  4. @ Andrea Cortellessa
    Senta, posso farle una domanda?
    Lei ha scritto l’introduzione al Canone Occidentale di Harold Bloom.
    Mi chiedevo se sapesse perchè nell’edizione italiana manchi l’appendice in cui Bloom indica parecchi altri autori, anche viventi, a integrazione dei 26 trattati a fondo nell’opera.
    Ricordo che quando il libro uscì negli Usa Gianni Riotta sul Corriere ne parlò in un articolo di una bassezza unica, tutto all’insegna del ‘ed è subito polemica’, soffermandosi in particolare sull’assenza di Umberto Eco…
    Mi chiedevo se la decisione non dipendesse proprio dal fatto di voler evitare simili ‘polemiche’…

  5. @Sascha. Eppure ho la sensazione che in Italia ad avere un problema di legittimazione sia proprio la popular culture. E forse dipende dal fatto che per intendere ‘popolare’ dobbiamo dirlo in inglese, perché in Italia non si sa cosa sia.
    @Andrea Cortellessa. Ma infatti. Il fervore nel discutere sul genere ha fatto passare inosservato quel dettaglio che stava proprio a dire: ehi, i critici non se la prendono solo con gli autori mainstream.
    Ora, però a me capita una cosa: se mi piace uno scrittore, scopro poi che a questo scrittore piace Cecov. Catherine Mansfield, per esempio, Cheever, Carver, Moody, Cognetti, Falco, Bissoli ecc.
    Specifico che gli autori che ho citato dopo Carver, non li considero dei carveristi d’accatto, che però riconosco che in giro ci sono e fanno danno.
    Però se questi autori al critico non piacciono, non può crocifiggere Cecov, o se lo i fa lo deve fare per i suoi eventuali demeriti (che io, peraltro, non vedo) e non perché lo considera un caposcuola di qualcosa che giudica assolutamente deteriore per i suoi gusti personali o per i suoi criteri affilati e ‘quasi’ oggettivi (quali?).
    E continuo sul maintream, sperando di non andare troppo O.T.
    In effetti condivido la critica che Sascha fa alla critica militante, intendendo quella che si fa sui quotidiani, passaggi televisivi, certe radiolate (escluso radiotre, si capisce), certi risvolti di copertina, certi lanci editoriali, ecc. ecc. ecc.
    A me per fortuna di Balzac hanno parlato, ma certo non di Sherwood Anderson (fuori catalogo einaudi da una vita. Me lo sono dovuto leggere in biblioteca).
    Niente di male per carità. Però non mi pare una critica accorta quello che lo ignora quando si lancia in peana di osanna nei confronti di Olive Kitteridge, senza fare un benché minimo riferimento a ‘i racconti dell’Ohio’ che sicuramente la Strout ha ben presente mentre scrive.
    E adesso lo dico chiaro e tondo: esistono monnezzoni narrativi, di genere e mainstream, ma pure a monnezzoni critici non si scherza.
    e qui la faccina non sorride per niene.

  6. Minchia, Sergio, lo conosci anche tu? Pensa che volevo presentartelo così gli davi una raddrizzata!
    Che poi io sia snob si sa: basta vedere i libri che ho citato in questo post: D’arrigo, Joyce, Schmidt… cito persino Garufi! (per non parlare delle criptocitazioni! Un vero parvenue…)

  7. @ Gianni Biondillo
    Già che la trovo qui ne approfitto per ringraziarla di aver parlato del Biscione di Genova dove ho abitato per quasi trent’anni e abitato decisamente molto bene.
    Anni fa fu un vero schock scoprirlo trattato come un capolavoro in un libro di Bruno Zevi; da allora mi sono abituato ma fa sempre piacere. Ogni tanto si notano gruppi di studenti, anche stranieri, in visita guidata col professore e io ricordo ancora il tempo in cui era un quartiere ‘malfamato’…

  8. @ Sascha
    Ottima osservazione, la sua su Bloom (che, tanto per dire dei critici, nessuno in Italia – che io sappia – ha fatto all’atto della riedizione, nella quale pure sono state corrette, anche su mia segnalazione, numerose mende e imprecisioni della traduzione precedente; tutti coloro che ho letto, nella rassegna stampa, mi hanno anzi dato l’impressione di non aver neppure aperto la riedizione che recensivano). Non so davvero dare una risposta, mi spiace; non ho curato il volume, mi è stato solo chiesto di presentarlo al pubblico italiano. Non venne tradotta, la “tavola” finale, A Canonical Prophecy alle pp. 548 sgg. dell’edizione originale, nella prima ed. it. del 1996, e non è stata tradotta nel 2008 (non sono state neppure tradotte le prime tre “tavole”, che forniscono una sinossi delle tre grandi “ere” trattegiate nel volume). Presumo (ma davvero non ne sono certo) che ciò sia stato concordato con l’autore. Bisognerebbe verificare se egli l’abbia inserita nelle riedizioni americane (io ho solo la princeps in hardcover). Vale la pena segnalare che la Prophecy inizia così: “I am not as confident about that list as the first three”.
    @ Valeria
    Giusto quel che dice di Checov, il quale non è certo responsabile del suo uso da parte degli scrittori a venire (così come Carver). Ma se vuole alludere al fatto che avrei maltrattato Tolkien rispondendo a un ragionamento del genere, si sbaglia. Infatti nel pezzo del 2002 ho parlato di Tolkien e dei suoi usi politici, non della sua discendenza letteraria.

  9. @Andrea Cortellessa. Mi riferivo solo a Cecov, non sono mai entrata in merito ai discorsi su Tolkien, che io non ho letto. Né per snobismo nei confronti del genere (ho letto altri autori, forse meno rappresentativi di lui, ma li ho letti e mi sono pure piaciuti) né perché lo consideri direttamente o indirettamente di destra, semplicemente perché, tra i tanti scrittori che ahimé non ho letto, c’é pure lui.
    Per chiudere definitivamente da parte mia questa discussione, sono convinta che i distinguo siano fondamentali e concordo in pieno con le cose dette da Loredana, e da Evangelisti, nel thread relativo.
    Di più e meglio sinceramente io non sono in grado di dire.
    p.s. quando partecipo, anche se solo di sbieco, a queste discussioni così animate ne esco sempre con le ossa rotte. Non mi sono riletta, ma spero di non aver offeso nessuno.

  10. 300 e rotti commenti per dire questo e quello, precisare, distinguo ecc.
    Ma, accidenti!, veramente se leggete una pagina della Troisi, qualche fanfiction, il maghetto, Tolkien, DeLillo, Musil, Flaubert non vedete alcuna differenza? Non vedete l’abisso che li separe? Non ne rimanete accecati? Possibile che si riesca a mettere tutto sullo stesso piano, in sprezzo del ridicolo?
    Il Brutto ha veramente vinto?

  11. No, spesso vince la stupidità Tommaso. Perchè ridurre il fantastico a qualche fanfiction e un maghetto, sia detto fuori dai denti, non denota un QI molto alto. Come, mi sembra, hanno dimostrato i commenti qui sopra.

  12. non credo, lipperini, che sia il “fantastico” la linea del fronte. la letteratura è sempre letteratura fantastica, non c’è nulla da sdoganare. invece quella che si vuole far passare per letteratura (e non c’entra che sia fantastica o meno, lo steso valeva per il noir) è una produzione – maghetti, draghi tutti uguali e fanfiction – che è intrattenimento e già legittimo in quanto tale. perchè vuole patenti di cui non ha bisogno?

  13. Tommaso (o, come temo, chi per lui, che non trova pace neanche a fine d’anno) se non hai capito, dopo trecento commenti, qual era la linea del fronte, ribadisco il concetto sopra espresso. Buon anno e chiusa qui.

  14. Oggi sono passato per una libreria nel centro della mia città. Ed ho voluto verificare se ci fosse qualcosa di vero nelle parole del sig. Cortellessa.
    Ebbene, in vetrina c’era, in una meritatissima esposizione, l’ultimo romanzo della Troisi (appena finite le Guerre del mondo emerso lo leggo lo giuro! Sono a pagina 828…). Ma, insieme ad altri (pochi) autori di sicuro valore era in compagnia di:
    1) Le cassanate di antonio Cassano.
    2) Il meglio del Grande Fratello.
    3) L’autobiografia di Fabio Cannavaro.
    4)Più dritti che rovesci, di Adriano Panatta.
    5)Nuoto per passione, della Pellegrini (o altra nuotatrice, non ne sono sicuro).
    6)Interisti si nasce, di Beppe Severgnini.
    7)Manuale di cucina carpigiana.
    8)L’oroscopo di nonmiricordoqualemago.
    Adesso io da profano spero di non dire banalità, ma secondo me il problema non è che la fantasy tiene lontani i classici dalle librerie (lo spazio che occupano è tutto sommato limitato), e non è nemmeno che tutto il fantastico sia un monnezzone (il che è una sublime corbelleria, ovviamente).Il problema è che l’esigenza sfrenata di vendere sta cancellando di fatto la comunicazione letteraria (con tutte le sue vocazioni, educativa o di intrattenimento) come la conosciamo sostituendola con carta un tanto al chilo del calciatore o della velina di turno.
    Possibili vie d’uscita? Non sta ad un profano come me dirlo, ma sicuramente la rete è una risorsa enorme che potrebbe essere utilizzata di più; e se i signori della critica mettessero la loro competenza a servizio di TUTTA la comunicazione letteraria, inclusa quella di intrattenimento, indirizzando la loro ira controi VERI responsabili di tutto questo, forse non saremmo messi cosi male.
    Secondo me non è vero, Tommaso, che una finalità di intrattenimento tolga automaticamente il valore letterario ad uno scritto, anzi spesso i romanzi hanno il merito di avvicinare alla lettura persone che di solito non lo fanno. Di certo, per chi come me legge una decina di libri all’anno il problema di distinguere un’opera bella ed arricchente da un monnezzone esiste, che si stia comprando un romanzo fantasy o, che so un libro di poesie. Ma riducendo un intero filone letterario a monnezza secondo me la critica ufficiale, oltre a sbagliare, si preclude anche una via importante: quella di aiutare chi ha poco tempo per scegliere, e quella di richiamare al piacere della lettura alcuni di coloro che se ne erano allontanati. Magari passando attraverso una attenta critica di opere a fine anche intrattenitorio, prima di proporre il processo di Franz Kafka.
    Chiedo perdono se ci sono delle imprecisioni, ma non sono uno scrittore di professione; auguro un sincero buon anno a tutti, e che nessuno inciampi in un monnezzone!

  15. Prima di postare il mio pensiero in proposito qualcuno sarebbe in grado di spiegarmi perché il fantasy non è letteratura?
    Perdonate la domanda ma leggere tutti i commenti fino a questo è veramente arduo… probabilmente finirei tra 2 giorni o giù di lì.
    In più se in aggiunta mi spiegate anche quando Cortellessa parla di “noiosissima letteratura «vera»” perché mi sembra parole di quelle persone che odiano leggere e non quello di un critico…
    p.s. buon anno

  16. Una delle leggi non scritte della comunicazione online: un thread di commenti, se dura abbastanza a lungo, si riavvolge su se stesso, i nuovi partecipanti ripetono le cose dette dai primi perchè non hanno la pazienza di leggerle e le stesse posizioni e controposizioni ritornano eternamente…

  17. Non sarà una cosa positiva? Dico, tre dei Grandi Critici cominciano a mettersi d’accordo fra le righe: forse sono spaventati dai draghi.
    Non sarà che sentono scricchiolare le loro povere conoscenze in materia e così hanno deciso di attaccare a testa bassa? A me sembra un complesso d’inferiorità a parlare: sono ignoranti, non sanno veramente cosa sono l’Horror, la Fantascienza, il Fantasy. Non lo sanno, perché non l’hanno letto. (E io che leggo molti romanzi di genere, riesco a definirmi un esperto soltanto di Fantasy, perché so quanto mi manca di Horror e Fantascienza.)
    Così, come caproni, giù a dar testate… 🙂
    Gli autori, quale io ritengo di essere, possono tentare di ribattere tutte le sante volte oppure possono produrre fatti, sudando sette camicie e sputando sangue sui propri testi, prendendoli seriamente loro stessi per primi (perché sennò sì che si produce monnezza…).
    Il “monnezzone” non sono soltanto molti romanzi di genere. Il problema è trasversale. Se non lo riconoscono, io preferisco tirare dritto, perché con chi non è capace di equilibrio non si può discutere, bensì soltanto litigare o restare in silenzio.
    Anche perché conosco questo gioco al massacro. Io sono il tipo di persona che riconosce i meriti dei ragionamenti altrui. Ma ho già visto cosa succede con persone così come interlocutori: ne approfittano e tentano di denigrarti. Il gioco non vale la candela.
    Sta a loro capire perché l’Italia resta indietro, anche in campo culturale. E se non è ancora sprofondata, lo deve soltanto ai suoi artisti, che combattono ognuno a loro modo per il proprio diritto a esistere, nonostante tutto e nonostante molti.

  18. Prendiamo per esempio certi registi hollyowoodiani di enorme successo e non amati dai critici: diranno che i critici non contano, che nessuno da loro retta, che loro lavorano solo per il pubblico, adirittura che sono degli artisti, dei veri artisti…
    Poi, come a un certo punto capita sempre, arriva il flop: e per loro si tratta di flop miliardario, roba che ha delle conseguenze. Allora, all’improvviso, non potendo dare la colpa al pubblico o (heaven forbids!) ai produttori che c’hanno messo i soldi, il regista da la colpa a quei critici che un attimo prima non contavano nulla e ora sono talmente potenti da condannare al fallimento un film costato miliardi…
    Insomma, i critici diventano importanti e da combattere e odiare solo per gli ‘artisti’ che non ce la fanno…

  19. Scusa Andrea, chi sarebbero i Tre Grandi Critici spaventati?
    Non so se sono inclusa nel terzetto (nel caso, hai sbagliato: non sono grande, e non sono un critico propriamente detto, bensì un’informatrice. Altra cosa). La dò per buona e rilancio: io ho letto molto di horror, di fantasy e di fantascienza, e continuo a farlo. Non mi definisco un’esperta perchè ho ancora “troppo altro” da leggere per sentirmi tale. Diciamo che so, abbastanza, di cosa parlo.
    E allora ti ribadisco che la questione che tu sollevi a proposito della produzione mainstream è stata posta qui più volte, grazie.
    Dopo di che, se l’Italia, da questo punto di vista, resta indietro, è certamente anche a causa del disinteressa e della supponenza dei critici. Che è però poca cosa rispetto alla presunzione di molti autori di fantastico. Che usano con disinvoltura spiazzante la parola “artista”. Saluti.

  20. No, no… Non parlavo di te, Loredana. Scusa la poca chiarezza. Tu ragioni sulla questione, quei tre a me sembrano sputare sentenze – parlando dei passaggi che hai citato. Hai scritto “e tre” e io ho parlato solo di “critici”, dimenticandomi “autori”, mi spiace per il qui pro quo.
    In aggiunta, col mio intervento non stavo certo a incensare gli autori del fantastico – ho parlato di trasversale per includere anche loro, infatti, non soltanto il “mainstream”. Ovvero, per dirla chiara, anche io vedo molta presunzione in giro, ma davvero non so chi sono per dirlo, dato che molti ritengono presuntuoso me.
    Quando si fa di tutta l’erba un fascio, però, la mia posizione diventa difensiva e mi chiedo chi, di questi tre, sappia veramente di cosa parla.
    (Circa la questione del “mainstream”, non vorrei aver dato l’impressione di criticare l’impostazione dell’articolo: lungi da me. Mi è piaciuto. E cercherò i tuoi interventi sul “mainstream”, perché mi interessano.)

  21. Diciamo la verità pura e semplice su Tolkien: Il signore degli anelli piace perchè il suo mondo è tratteggiato così bene da sembrare vero; perchè racconta l’unica storia che dura da sempre: bene contro male, il male perde. e la genialità maggiore dell’autore è la seguente: scrive un libro perfettamente cattolico, scrive di Cristo usando un mondo assolutamente areligioso. E che pochi si siano accorti di questo, è probabilmente il motivo per cui non è stato bistrattato come altri (si pensi al suo amico Lewis e alle Cronache di Narnia). Sayonara…

  22. Io dico solo una cosa: ieri è stato per me il giorno più bello del 2010, letterariamente parlando. Ho letto infatti sul sito dell’Adelphi che è appena uscito il terzo e ultimo volume della trilogia di Gormenghast, “Via da Gormenghast”di Mervyn Peake. Peake era un genio, e la sua trilogia è un capolavoro assoluto della letteratura fantastica. Il primo volume di questa trilogia uscì nel 1981 (sic!) e il secondo nel 2005, perciò potete capire da quanti anni aspettavo il terzo volume! Troppi! Che c’entra questo con Tolkien o con i vari ‘monnezzoni’ di cui parlate, vi chiederete….Niente, o quasi niente, volevo solo esprimere la mia felicità. Grazie 🙂

  23. Due piccole note sul “monnezzume”:
    1) molto di quello che viene definito in maniera più o meno appropriata “monnezzume”, potremmo tranquillamente ascriverlo alla categoria del kitsch: e non è una categoria negativa, ma solo un’altra categoria estetica, confinante col melodrammatico, che ha una grande e “triste” caratteristica, ovvero l’essere effimero. Tra una decina d’anni temo che ben pochi leggeranno ancora la Meyer e le secchiate di stucchevoli vampiri innamorati. Sono prodotti effimeri, fatti per durare poco, emozionare in maniera indolore e semplicistica, non porre reali domande al fruitore, e fargli/le venire voglia di un’altra opera uguale, per emozionarsi ancora, e ancora, e ancora.
    2) Du Bos, nel Settecento, teorizzava quanto segue: il pubblico determina cosa è bello da cosa non lo è, il successo di un’opera è segno della sua capacità di rispondere ai desideri del pubblico, il pubblico desidera emozionarsi e sfuggire alla noia; ma il pubblico può sbagliare, e solo il tempo sa correggere gli errori, dimostrando con un duraturo successo cosa è un capolavoro e cosa solo una moda. Brutto a dirsi, ma dovremo aspettare un po’ per vedere cosa si salva, e nel frattempo sperare che gli scrittori, high and low, “Letterati” e “di genere” producano sempre al meglio delle loro capacità e non solo per vendere.

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