Il lutto delle madri ha sempre fatto paura. Il lutto delle madri è sempre stato spiato. Forse per il terrore di trovare qualcosa di barbaro – come barbara fu Medea – nel dolore di una donna che piange un figlio.
Ricordate Vermicino? Ricordate – anche se ora gli antichi commentatori tacciono pudicamente sull’argomento – come venne analizzato il volto della madre di Alfredino? E ricordate come il sospetto si insinuò, velenoso, per quell’assenza di lacrime, per quella compostezza che non poteva appartenere ad una donna dolente?
Ricordate Cogne? Certo che ricordate: impossibile dimenticare, dopo l’esibizione di zoccoli e mestoli in prima serata. Ma il giorno del funerale del bambino, i commenti, su tutti i giornali, riguardavano i capelli della madre, freschi di parrucchiere. Perchè una donna che ha perso un figlio non può mostrarsi in ordine, con un filo di trucco sul viso. Deve invece lacerarsi le guance, e strapparseli, quei capelli, a ciocche.
Sapete chi è Shellie Ross? Shellie Ross è la moglie di un militare ed è una mummyblogger. Una delle tantissime madri che hanno dato vita, in ogni parte del mondo, ad una rete di discorsi, confidenze, sostegno. Chiacchiere, anche, via web.
Shellie Ross è divenuta in questi giorni il simbolo della madre anaffettiva e disinteressata ai figli: invece di accudirli, chatta. E’ avvenuto che mentre lei era in casa e scriveva su Twitter i due figli erano fuori a giocare. Il più piccolo è caduto in piscina. Il maggiore ha dato l’allarme e ha avvertito la madre. Prima di correre in ospedale, Shellie Ross ha digitato sulla tastiera di pregare per lei. Il bambino è morto. La madre lo ha scritto in rete.
Quali che siano i motivi, sono e restano motivi personali. Non esiste una reazione standard al lutto. Lasciare un messaggio su Twitter può essere l’equivalente di un urlo, di un pugno contro la parete, di un silenzio di ghiaccio.
Non per i media.
L’accusa a Shellie Ross rimbalza su siti e quotidiani e telegiornali di tutto il mondo. Per darvi un’idea dei toni, qui c’è l’articolo de Il Giornale, piuttosto in linea con il resto dell’informazione.
Qui, invece, c’è il blog di Shellie Ross: l’ultimo post è l’invito ai mastini di mollare la presa, di lasciare in pace lei, il marito, il figlio maggiore. Non verranno concesse interviste. Leave us alone.
In questa storia tristissima, se ne inserisce una ancora più atroce, e che dimostra come il branco femminile, quello che Simone de Beauvoir stigmatizzava lucidamente, tenda ad azzannare le proprie simili invece che tentare di superare, insieme, gli ostacoli.
A denunciare il comportamento di Shellie Ross è stata una donna. Una blogger scrittrice. Si chiama Madison McGraw, scrive mystery e si guarda bene dal lasciare in secondo piano la propria attività. Afferma, anzi, che si è occupata di questa vicenda con lo sguardo della scrittrice. Si è scagliata contro la Ross con un livore da far gelare il sangue (e continua a farlo).
La donna professionalmente realizzata contro la madre. Non fa impressione? Non sembra uno schema talmente banale da sembrare falso? Invece è tremendamente vero: entrambe, la scrittrice e la mamma, stanno assaporando la popolarità mondiale, probabilmente con diverso stato d’animo.
I media si limitano a registrare e amplificare la ghiottoneria.
Se vi fa orrore, rifletteteci: questo significa lavorare sull’immaginario, in rete e fuori. Cercare di capire cosa c’è dietro una notizia di agenzia data con doni eccitati al telegiornale (da un’altra donna). Servirà a poco: ma serve a chi lo fa, intanto.
Interessantissimo post oltre che terribile. Mi vengono in mente delle cose.
– Il sociale amplifica e semplifica certe complessità, fa come una lente che usavo per la mia macchina fotografica: polarizzatrice si chiamava, perchè creava dei contrasti cromatici nelle immagini catturate. La polarizzazione è un macello: seduce esteticamente e contemporaneamente alimenta il conflitto.
– Il nodo però non è mai da sottovalutare. Io non credo che il problema sia la mamma vs la donna lavoratrice sotto le luci della ribalta, perchè se scannerebbero uguale a casetta loro nei loro intimi pensieri, nelle cene coi mariti etc: spesso LO FANNO. La ribalta ci mostra colo ciò che non possiamo spiare. Il problema è il materno tout court. L’importanza aborme che ha. La simbolica che elicita. La responsabilità che richiama. Guarda cosa succede nei blog se provi a fare un post su che ne so: il cesareo, l’allattamento artificiale: FEMINA FEMINAE LUPUS. S’ammazzano con entusiasmo a suon di anatemi. Credo che sotto ci sia il problema del proprio modo di essere madre, e del proprio modo di essere figlia. E se penso agli uomini vincolati a questa esperienza in maniera profonda ma lievemente indiretta, penso che le questioni psichiche da gestire siano ancora più immense.
– Se poi sei Bruno Vespa, manco 15 anni de terapia te abbastano.
Infine – ah se guardano lo stato del mio armadio della cucina mi tolgono il figlio. Ma questo è un altro tristissimo argomento della psichiatria giuridica. Tristissimo.
Tristissimo. Sono d’accordo e lo so bene, Zauberei.
Certo che la questione è il materno: ma è terribile il modo in cui l’informazione tratta questo argomento. E non è senza conseguenze, quel modo. Purtroppo.
Sino a che continuerete a ragionare in termini di femmine e maschi, donne e uomini, continueranno ad esserci disparità, cara Loredana. Esistono individui, non cromosomi XX o XY. La solidarietà deve essere umana, non femminile. Mi viene una grande amarezza, davvero, il mondo torna indietro. Almeno i musulmani lo dicono chiaro, qui si fa tanto i paritari e poi siamo più sessisti di tutti. E te lo direi anche se tu ti chiamassi Mario o Pino. Non è certo perchè sei una donna. Non vedo cosa cambierebbe. Per me niente…E per te? Fattela questa domanda, meditaci sopra.
Basta con il giudicare chiunque e ovunque. Che ne sappiamo noi perchè l’ha fatto. Ognuno reagisce al terrore in modo diverso, c’è chi urla e chi si blocca; la signora ha scritto su un blog. Bella la solidarietà femminile. Peccato che per qualcuno sia una cosa astratta.
Vero, Caterina. Ma è interessante, quanto spaventoso, l’articolo de Il Giornale, che è niente affatto dissimile nei toni da altri quotidiani.
L’idea è che si usa questa vicenda, come altre, per accusare le madri. Per ricacciare il femminile all’indietro. Naturalmente – e voglio sperarlo – in modo inconsapevole.
Non riesco a vedere questa storia solo come quella del dolore di una madre, reso beffardo da lei stessa e dai media. E’ la storia di un qualsiasi dolore atroce, esibito tramite le nuove forme di comunicazione, forse nell’illusione, nella speranza, che la condivisione possa lenirlo. E’ anche la faccia orribile del protagonismo in netta ascesa nella nostra società, esaltata da Twitter e da Facebook. Un tempo ben pochi si credevano individui e si accontentavano di essere uno del gregge; nelle società occidentali di oggi tutti (o quasi) sono orgogliosamente consapevoli della propria unicità e molti la vogliono mettere in mostra giorno dopo giorno.
Trovo ragionevole stupirsi che il dolore ammetta il parrucchiere o la pubblicazione, enorme è la distanza che separa i comportamenti medi da certe stoiche compostezze arcaiche che ancora fortunatamente esistono, è però certo che la stronzaggine proterva e rampante non si ferma di fronte a nulla.
Ricordo ancora l’assalto a quella poveretta che dimenticò il figlio in auto che ne morì.
Se gli ricordassimo che alcuni già scrissero che tutti i grandi dolori sono muti?
Il livore della scrittice mi sembra però correlato più che alla desinenza “-e” all’intrinseca serie “F” dove indubbiamente incrocia. Gli scrittori di serie “F” sono terribili, inquinano come i metalli pesanti.
Procyon, posso assicurarti che il dolore ammette anche il parrucchiere, qualora fornisca un appiglio banale, minimo, effimero al “non è accaduto nulla”.
Non c’è un modo più degno o stoico di soffrire: ce ne sono tanti quanto gli esseri umani.
Sulla scrittrice, scelgo anche io il silenzio. Mi auguro solo che non ne tragga un romanzo.
Ovviamente non so se la storia, la concatenazione dei fatti, sia andata come raccontano i link che trovo nel post, non ho ben capito come sia uscita la questione (non mi funziona, per dire, il link alla abcnews) però rimango perplessa. Ci sono degli elementi che mi fanno sentire a disagio, e non perché mi faccia paura il lutto delle madri, così, in generale. I vari circoli di military moms, soccer moms, whatever moms americani sono normalmente raccapriccianti, ma non è questo. Sarò normativa e stronza, può essere, ma indipendentemente da twitter, anche se si fosse accucciata in un angolo a urlare, sfogando così il suo dolore in modo magari più consono alla visione del mondo del Giornale o della orribile scrittrice, io avrei pensato che la madre (e nemmeno il padre, non la voglio considerare, in questo caso, una prerogativa femminile) non lascia il figlio undicenne farsi carico di gestire i soccorsi per il fratellino morente. Forse dico cose grossolane, in tal caso scusatemi, non è mia intenzione lanciare delle provocazioni stupide.
Il dolore ammette il parrucchiere o il blog, non posso che ripetere quello che ha scritto Loredana. Il dolore ammette anche la possibilità, quando perdi una persona cara, di star seduto/a in sala, con gli amici che sono venuti a trovarti, e ridere per quella volta che tutti insieme si era andati. Ridere.
Ma poi perché una madre che non si lacera le guance (o che partorisce col cesareo, per tornare sul punto sollevato da Zauberei) sarebbe una madre snaturata? Una madre minore? Di serie B?
Penso che purtroppo siamo ancora lontanissimi da quella parità che troppo spesso gli uomini tentano di sbatterci in faccia.
Lontanissimi, come se i passi in avanti fatti fino ad ora si risolvano a coprire il due o tre percento della parità.
Cara Fata ti quoto , ma se leggi i commenti del post precedente capirai che per Loredana Lipperini a una donna, in quanto donna, è concesso tutto. Anche avere solidarietà in casi turpi come questi. Una cosa raccapricciante. Io comprendo il fatto che una persona possa sfogare il proprio dolore in rete, o come gli pare. Ma da lì a fregarsene dei propri figli, solo per fare due chiacchere su Twitter, al punto tale che non solo un figlio ti annega in piscina, ma continui non curante a chattare in rete, beh, la differenza non è grande. E’ enorme. Casi patologici.
Ma poichè è donna, le si autorizza solidarietà. Io non ci sto. Altro pessimo esempio di essere umano. E non di donna. Di essere umano, Sub-umano, direi.
Se la signora non avesse totalmente ignorato i figli, non ci sarebbe stato nessun dolore. Ma Facebook vale più di un figlio.
Scusa Beth, con tutto il rispetto, non quotarmi perché penso che io e te si parli da punti di vista totalmente opposti. Io trovo che il partire dall’essere donne e dall’essere uomini (invece che falsamente neutri individui) sia necessario. Inoltre, i figli venivano trascurati ben prima di Facebook, converrai con me. Infine, non c’è bisogno che mi illustri come la pensa Loredana Lipperini perché seguo il blog ogni giorno e con molto interesse.
Fata, leggendo (prima dell’articolo qui su Lipperatura) la ricostruzione sull’Huffington Post, mi sembra che le due possibili ricostruzioni siano due:
1. la madre è al computer, i figli sono in piscina, il minore ha l’incidente, il maggiore avverte la madre che chiama il 911 (su Huffington post: “According to 9-1-1 records, a phone call from Ross came in at 5:38 p.m. that she had found her son at the bottom of their screened-in swimming pool.”).
2. la madre è al computer, i figli sono in piscina, il minore ha l’incidente, il maggiore dà l’allarme e poi avverte la madre.
In entrambi i casi, non avviene l’unica cosa che giustificherebbe le accuse contro Shellie Ross: e cioè che la madre, mentre sa che il figlio è impegnato in una attività pericolosa (e non lo è, perché è in piscina) o ha subito un incidente, si preoccupi prima di informare del fatto su twitter e poi di prestare aiuto/soccorso. Del resto, sono stati proprio gli agenti intervenuti ad escludere che ci fossero responsabilità di negligenza della madre.
Il problema, purtroppo, è che mentre da un lato si sostiene a gran voce che non essere iperprotettivi è dannoso nei confronti dei figli, dall’altro se succede qualcosa in tanti biasimano la madre (ma mai il padre) per non essere stati lì presenti. E, nel caso specifico, questa è stata l’accusa, ma a farla scattare è stata l’aver twitterato DOPO i primi soccorsi, reazione che può essere discutibile o meno, ma che non c’entra nulla con il comportamento della madre nel momento dell’incidente.
P.S. (magari non c’è bisogno, ma lo faccio per evitare qualsiasi equivoco)
Fata, quando parlo di quelli che se la prendono con le madri ovviamente non mi riferisco a te o al tuo post, ma alle reazioni evidenziate da Loredana nel suo articolo.
Già che ci siamo mandiamo al rogo anche le donne con una depressione post-partum…
Far rilevare e demonizzare l’utilizzo dei blog, di Twitter, ecc. è demenziale. Molto banale, come se non ci fosse altro in grado di ‘distrarre’ una madre, o chi per lei. Quello che fa impressione è che chi scrive sui giornali non sia incuriosito da una visione diversa, e pur riportando la notizia, non sia in grado di fare riflessioni un po’ più profonde, come in questo post. Il lutto, la professionista vs. la casalinga – sì, troppo spesso noi donne ci vediamo come ci vedono…
Ci vediamo come ci vedono, esatto.
Avevo letto la ricostruzione su Huffington Post. Ma devo dire che quella che mi ha incatenata al computer ieri pomeriggio è la narrazione perversa della McGraw, che addirittura critica il post con cui la madre chiede di essere lasciata in pace.
E insiste sul suo “sguardo da scrittrice”.
Visti i tempi ai “giornalisti ” nostrani viene facile il recupero della retorica dell’angelo del focolare.
Da non sottovalutare nemmeno la sottintesa accusa alla “pericolosità” della rete e dei social network in particolare.
Ammetto candidamente di non sapere nulla riguardo alla definizione di branco femminile della De Beauvoir, la lettura del Secondo sesso mi aiuterà.
Pur essendo un testo del ’49 ho l’impressione che non sia così datato…
Nulla si può dire riguardo al comportamento della Ross, come fidarsi dei racconti dei giornali?
Nei confronti della McGraw ho più o meno lo stesso atteggiamento di stupore e sconforto provato dall’emersione mediatica delle sorelle Cappa del caso Garlasco.
Vuoi il mio “sguardo da scrittore”, Lippa?
La McGraw è una stronza!
Nei mesi scorsi due miei amici (età: 27) hanno scritto, senza troppi fronzoli, su facebook, quello che sentivano sul lutto dei genitori.
Uno un po’ poeticamente, ha scritto che sarebbe stato male per molto tempo; l’altra che stava bene, ‘era felice’ diceva la faccina, perchè almeno la malattia della madre era finita, e lei poteva uscire di casa.
Io stesso sono rimasto colpito da queste reazioni, perchè potrei aver avuto reazioni diverse.
La ragazza scrive addirittura che è felice. Ovviamente non lo è ma tira in avanti. Sembra anaffettiva, ma tutti sappiamo quanto fosse legata alla madre, e ha tutto il diritto di farlo, di sembrare anaffettiva, per quanto mi riguarda.
È indubbio che si comunica negli ultimi recentissimi anni in modo diverso, e che il lutto è una cosa privata, se ne può parlare, ma ognuno lo vive in modo diverso.
E questa è una questione, e io vorrei che i giornali si fossero occupati della vicenda in questo modo, cercando di capire, senza colpevolizzare.
Se fosse accaduto al padre, la questione non sarebbe stata vista così.
Alla fine, come abbiamo detto, si insegue un ruolo di madre (e di genitore) un po’ vecchio.
Sfido a trovare un genitore bacchettone all’italiana (e ammerigana) in Nordeuropa.
Mah il mio problema in queste questioni non è la perplessità che le narrazioni suscitano – questa perplessità è umana, e in certi casi, parlo da psicologa anche come dire – clinicamente legittima. Scordarsi un figlio in macchina, è un dato clinicamente assai rilevante. Tuttavia trovo sinistre, sia le narrazioni semplificatorie sie le opinioni che omettono il potere della narrazione – nonchè quel beneficio del dubbio che di solito si rivendica per se stessi.
Insomma trovo ingenuo dire “non si deve giudicare” ma sarebbe meglio farlo silenziosamente e con ponderazione.
A leggere con attenzione la cronaca, si scopre che incidenti come quello avvenuto nella casa di Shellie Ross ne accadono (purtroppo) spesso: solo che la madre non è “sfaccendata” su Twitter, ma sanamente affaccendata ai fornelli (e non s’accorge del bimbo che rovescia l’acqua bollente), alle pulizie (e non s’accorge della bottiglia di alcol o ammoniaca lasciata aperta), al ferro da stiro, ecc. In quei casi, fa tutto la donna: presa nel ruolo donna/madre (nel quale non ha bisogno di essere ricacciata), dà prova di quella naturale inferiorità che tanto consola. È una donna che non parla con una comunità virtuale, preferisce don Tonini, don Mazzi, o il parroco, ai quali dà retta piuttosto che al medico, in caso di gravidanze problematiche o feti malformati: insomma, una pecorella docile sotto la mano del pastore.
girolamo!
Io adoro girolamo – devo averlo già detto.
Ho letto adesso l’articolo del Giornale e, come sempre, è ripugnante.
Però, non vorrei essere tacciato di maschilismo, ma:
1) Qui non c’entra nulla il fatto che fosse una donna a utilizzare internet, così come non si parla di momenti di debolezza (o di sclero) delle donne lasciate da sole a occuparsi di casa e prole mentre gli uomini lavorano o passano il tempo al bar. Un genitore che trascura i figli per farsi i cazzi propri, uomo o donna che sia, per me semplicemente non dovrebbe essere un genitore (concordo quindi con Beth e Fata).
2) E’ vero che ognuno elabora il lutto a proprio modo, ma penso che i post su facebook e il vecchio strapparsi i capelli in pubblico rispondano forse alla stessa pulsione per l’ostentazione del dolore. Le ostentazioni non sono introspettive, ma vengono sbattute in faccia agli altri, che lo vogliano o no, che accettino di partecipare di ciò che provi quella persona o no. In un certo senso, mi sembrano una forma di aggressione, e come ogni forma di aggressione, mi permetto perlomeno di giudicarla tale.
3) Piccolo OT: ma perché la preferenza del latte materno rispetto a quello artificiale deve essere sinonimo di sessismo? Non sono un medico, ma non è che il primo, rispetto al secondo, sia semplicemente migliore per la salute del bambino (che poi, proprio con la balla della bontà del latte artificiale, le multinazionali come la Nestlè si sono arricchite sulla pelle degli abitanti dei paesi del terzo mondo)?
4) Okay, purtroppo ci sono troppi casi di famiglie in cui gli uomini se ne fregano e lasciano le donne a occuparsi da sole dei figli perché “le madri hanno da farlo”. Partendo dal presupposto che le rivoluzioni culturali di cui parliamo tanto avrebbero bisogno di anni, decenni, se non generazioni, per affermarsi, cosa si fa nell’immediato? Non dico che si permetta alle madri di continuare la prigionia domestica, ma qualcuno si dovrà pur occupare dei mocciosi, fosse solo per fare in modo che la loro generazione sia quella che porterà avanti la “rivoluzione culturale” sul genere.
In questo, mi dispiace, ma dissento dai toni giustificatori di Loredana, che onestamente trovo un po’ ambigui.
cara Loredana,
hai toccato un punto che merita di essere discusso: lo scatenarsi di ferocia a volte di odio delle donne contro altre donne. L’altro giorno in un negozio ho assistito alla lapidazione verbale di Veronica Berlusconi da parte di tre donne, direi sui 65/70anni, ben tenute, ceto medio. Ho provato a prendere le difese della moglie del Premier: mi hanno preso a male parole, quasi mi davano della prostituta.
Una cattiveria così l’ho vista poche volte: una gridava “con tutto quello che lui le ha dato, con tutti i miliardi che si è goduta, ha pure l’amante!”.
Sono uscita spaventata.
Ai dibattiti sul documentario ci sono sempre molte donne che insultano le veline, che mi chiedono di prendere posizione contro “quelle”.
Non parliamo di quelle volte che si tocca il tema “lei più vecchia di lui”: donne che insultano donne che hanno un compagno più giovane.
Ho provato già ad affrontare qs tema sul mio blog ma non mi pare che si sia arrivate a comprendere.
ciao
Lorella, è un tema centrale, purtroppo.
Nel mio piccolissimo, nei primi giorni della conduzione di Fahrenheit ho fatto i conti con le mail di donne che non volevano una donna al microfono. Perchè non autorevole, “leggera” e, insomma, a noi ci mancano i maschi.
Bisogna, a tutti i costi, insistere su questo punto. Sempre e sempre. Un bacio
gli ultimi commenti di zauberei e girolamo mi trovano perfettamente d’accordo.
@The Daxman: scusa, ma che c’entra il latte materno?
Valentina il latte materno ci entrava perchè l’ho citato io. Ma Daxeman non capiva cosa intendevo. Quando in rete si parla di allattamento il problema non sono le cose che si dicono, ma i toni e le aggressioni in tema che sono rivelatori. Il latte materno porta dei discreti benefici, io per esempio ho allattato fino a poco fa. Ma il gap di svantaggio che c’è con il latte artificiale non è tale da giustificare certe aggressioni verbali che arrivano a una malcapitata che decide per cose sue di dare il latte artificiale. La questione è, come si spiegano queste aggressioni? Perchè deh gli anticorpi l’otite etc non sono esattamente come l’avvelenamento da bromuro.
Anche la questione post come aggressione di Daxeman la trovo dubbia. In specie quando certe forme di trasformazione del lutto diventano norme culturali condivise come credo stia diventando internet. Il blogger ha un pubblico di lettori che gli sono familiari, per non dire dei commentatori. Essi hanno scelto il loro blog da leggere, sono consapevoli di questa scelta – perchè possono andare via o non tornare su quella hp. Per tanto scelgono di tenersi aggiornati: non mi verrebbe in mente a me di qualificare come aggressione un qualsiasi post di Loredana anche molto privato. A meno che non apostrofi in mao modo noi interlocutori.