Volevo, lo giuro, parlare di qualche libro che mi è piaciuto particolarmente. Però la discussione che si è sviluppata su horror e informazione in rete sta prendendo una piega molto interessante: se ne parla su Malpertuis e da Andrea G.Colombo.
Aggiungo solo una piccola cosa: giustamente il titolare di Scheletri rivendica nei commenti a Malpertuis il carattere amatoriale del suo sito, peraltro gestito con molta passione da una sola persona, mentre le recensioni vengono direttamente dagli utenti. Certo, questo è un caso diversissimo rispetto alle tre e-zine corazzata di cui ho parlato in precedenza: però, la mia provocazione intende battere anche su questo tasto.
Ovvero, l’importanza di un’assunzione di responsabilità PROPRIO da parte degli amatori. Chiunque scriva su un blog scrive gratis: ma se è il compenso a fare la professionalità, la rete rischia grosso. Almeno secondo me, è importante essere sempre pienamente consapevoli di cosa e di come si scrive.
Anche quando si parla di horror e di fantasy.
Direi, persino, soprattutto. Dal momento che ieri ho visto rispuntare il fantasma del Monnezzone.
Il Monnezzone ha una lunga storia. Si manifestò nel 2006, quando Silvia Ballestra, intervistata da Simonetta Fiori per l’uscita del suo romanzo, ne parlò in questi termini:
Il “monnezzone” è il thriller standardizzato, diffuso a livello planetario. Libri plastificati sul genere Sonzogno ma anche Mondadori ci dà sotto. Un esempio tipico è Jeffrey Deaver, l’ inventore del criminalista paraplegico coinvolto in storie efferate. Titoli del tipo: Lo scheletro che balla o Il collezionista d’ ossa… O anche i gialli di Carlo Lucarelli e Massimo Picozzi. è un genere che tira molto. E io confesso che, quando sto male, me lo divoro.
Seguì un articolo di Andrea Cortellessa su Tuttolibri, la cui parte finale recitava così:
Purtroppo per l’eventuale buonafede di chi spaccia a palate i suoi spaghetti gothic, a contenere in sé un reagente conoscitivo dal valore anche sociale resta proprio la noiosissima letteratura «vera». Quella, cioè, che funziona attraverso la differenza, e non la ripetizione. Quella che, se inventa sempre nuove forme, è perché non s’appaga soporifera di quelle ereditate (le forme artistiche, trascendentale allegoria di quelle dell’esistenza associata). Quella che non equivale certo, sic et simpliciter, alla «comunicazione»: e proprio per questo ha il coraggio di pagare (anche fuor di metafora) la propria mancata «sintonia con le domande della società». È questa la letteratura che prevede, fra i propri scopi ideali, la liberazione del pensiero di chi legge. E non è un caso che sia questa, oggi, a rischiare d’essere travolta dal «futuro» editoriale e mediatico dei monnezzoni «Classe 1984». Se ciò dovesse accadere, stia sicuro l’Inquisitore, non mancheremo, armi e bagagli, d’andarcene sopramonte. Non la sottovaluti, Eymerich, la resistenza: altri hanno fatto lo stesso errore.
Dopo un lungo silenzio, il Monnezzone è riapparso in pompa magna in un articolo di Elena Stancanelli, peraltro molto bello e interessante per quanto riguarda il rapporto fra case editrici e autori. Solo che, verso la fine, cigolano le porte, stridon le catene. Ed ecco cosa accade:
Comprare libri è difficile. Per chi non tiene il naso ficcato ogni giorno nelle pagine culturali dei giornali serve un tom tom, qualcuno che ti indichi la strada quando, entrando nelle librerie, vieni ormai travolto dalla potenza visiva e anche fisica delle pile di “monnezzoni” dalle copertine dorate, che vomitano draghi, complotti, maghetti.
E tre.
Tre fra autori e critici che definiscono spazzatura o, nella migliore delle ipotesi, scrittura da volgare intrattenimento, tutta la narrativa fantastica. Sì, tutta. Perchè non mi interessa se qualcuno, ora, salterà su dicendo che in realtà adora Philip Dick e ha costruito un altarino segreto a Lovecraft. Occorre essere chiari: che ci siano libri di basso profilo nella narrativa fantastica è evidente. Che tutto ciò che parla di draghi e magia sia immondizia è un falso.
Se, dunque, il Monnezzone viene ancora considerato come serie B rispetto alle nobili stanze della letteratura (ma che noia dover ripetere queste cose a distanza di quasi quattro anni. Davvero, che noia, che desolazione), ebbene, ecco che l’assunzione di responsabilità di chi informa, sulla rete, su quei libri, diventa fondamentale.
Tutto qui.
Ps. Gl D’Andrea parla nel suo blog dello stesso articolo.
Sascha, ma sai che devo ringraziarti? m’ero quasi abbattuto. Poi mi tiri fuori Croce e mi si spalanca il cuore. Adesso, please, dimostraci che Omero era un autore di speculative-epic-tagadà.
Sascha: vedi, la differenza di reality tunnel. Straniero in Terra Straniera, per come la vedo io, è duemila volte più grande di quell’interessante polpettone a tema che è 1984. Per dire.
E poi: ma in Italia c’è più gente che conosce 1984, perennemente in stampa, o Straniero, ristampato di recente e male? E quindi: chi è più ‘popolare’?
Straniero in Terra Straniera: l’unico romanzo americano che, a memoria d’uomo, citi L’Unità, giornale fondato da Antonio Gramsci.
Caos, libertà, piacere – ma mi facci il piacere, mi facci!
(ok, ora basta sul serio – au revoir!)
Sascha: grandioso. Anche tu come Cortellessa hai nostalgia del Kakadè? Eppure mi pare sia molto popolare al giorno d’oggi. Più o meno come le pernacchie. Gradisci?
Straniero in Terra Straniera – un romanzo capace di mettere in discussione l’approccio al sesso dell’intera cultura occidentale. Oltre che di essere tra gli ispiratori di un movimento culturale di cui ancora viviamo le conseguenze. Sì, proprio Straniero.
E poi, il solito punto. Se Tolkien lo leggono tutti, allora è troppo popolare. Se Heinlein lo conoscono solo gli appassionati (almeno in Italia), allora è ininfluente. Insomma: decidiamoci.
Io dico uno Fnord e via, ma io sono un tipaccio.
http://wunderkindtrilogy.blogspot.com/2009/12/spiel-mit-mir.html
Non ho né tempo né voglia di motivare quello che sto per dire: Straniero in terra straniera è un monnezzone velleitario, 1984 è un grande romanzo.
Buddi, magnifico contributo alla discussione, sono ammirata.
Modesta proposta alla Signora Lipperini.
Gentile Loredana, ho letto con interesse e crescente smarrimento la maggior parte degli interventi scaturiti su questo post (che sta diventando veramente, questo sì, epico, almeno per lunghezza); fino a che, giunto a dover sentir definito 1984 “polpettone” da un autore che, apprendo dal suo blog, ha pubblicato ben 4 saggi (forse non di letteratura?) e due romanzi, ho pensato che non potevo più resistere alla tentazione di dire la mia. Non intendo entrare nel merito di nessuno dei commenti espressi, mi sembra però che presi tutti insieme mostrino meglio di discussioni sociologiche o accademiche quanto sia sfranto, policefalo, distonico, inquieto e sorprendentemente brancolante dal punto di vista valutativo, il panorama della teoria letteraria nella cultura italiana presente. Non ne sono un esperto e mi domando: sarà così anche altrove? Ad ogni modo, comunque fosse, non sarebbe bello partire da questa discussione per farne un bel saggio sullo stato dell’arte? Lei ha concluso il suo post dicendo: “che noia dover ripetere queste cose a distanza di quasi quattro anni. Davvero, che noia, che desolazione.” Ma mi sembra che la questione sia tutt’altro che definita dopo 4 e direi anche più (chè essa non è certo nuova) anni. Quindi perché non convocare i contendenti e chieder loro di mettere in bell’ordine gli argomenti? Si potrebbero invitare i signori addetti ai lavori che han partecipato alla discussione e magari anche altri che non l’hanno fatto perché troppo indaffarati o distratti dal natale (a questo proposito noto il considerevole numero di post tra il 24 sera e il 25 dicembre: ma i cenoni della vigilia e i pranzi con i parenti non li fa più nessuno!?), a fare un bel pezzo di definita lunghezza e mettere il tutto in una forma libresca. D’altronde l’argomento, o meglio: l’arcipelago di argomenti (best seller editoria gusti dei lettori, statuto dei generi ecc. mi pare di non poca attualità), che potrebbero essere evocati mi pare tutt’altro che decaduto di interesse.
Caro Stefano, l’idea è buona ma dovrebbero essere soprattutto gli autori e lettori di fantastico a farlo. Almeno a mio parere: anzi, ce ne sarebbe bisogno.
quindi fatemi capire…
il fantasy in todo viene definito monnezze, carta igienica, chi più ne ha più ne metta. Tolkien, che ha costruito un mondo, una sorte di Dante, passatemi il profano paragone, che ha inventato un mondo simile al mostro, lavorando interamente di simboli, utilizzando il suo ingegno in maniera improbabile, scrive robaccia…
la saga di gilgamesh, il primo fantasy, è robaccia, o quella va bene perchè c’ha le ragnatele sopra? ora, per chi non crede, anche la bibbia è fantasy. e non mi venite a dire che è diseducativa o faccia spegnere il cervello. la divina commedia, si basa su un viaggio fantastico. non mi venite a dire che ora se uno si perde dalle parti di Gerusalemme trova un arco e l’ingresso dell’inferno…
una persona colta dovrebbe sapere che la letteratura è qualcosa di più vasto di una biblioteca con vecchi libri impolverati. una persona che ama la lettura e la letteratura sa che ogni libro in grado di provocare qualcosa nel lettore, in grado di comunicare, in grado di emozionare, indignare, far piangere e ricordare, comunicare un messaggio e far riflettere, è degno di chiamarsi tale.
Il fantasy non va bollato come schifezza solo perchè lo scrittore si prende la licenza di fare come gli pare, descrivere un mondo che immagina, e da lì partire. I simbolisti potevano parlare di foreste di simboli, di poeta veggente, e venir lodati, e gli scrittori di fantasy non possono ideare un mondo differente, caste sociali diverse, maghi e guerrieri, e attribuir loro dei significati.
Un fantasy contiene molto più di quel che sembra. solo che va letto, non solo sfogliato. a manzoni è concesso di far morire chi desiderava con la peste, e salvar chi più apprezzava, mentre ad uno scrittore fantasy non è concesso usar un talismano nello stesso senso…
forse fra 100 anni il fantasy verrà visto come una forma d’arte, e studiato nei libri di testo scolastici come ora facciamo noi con leopardi e via dicendo. forse fra 100 anni ci si renderà conto di quanto valga come genere, forse sono solo in anticipo sui tempi. forse il mondo non è pronto per questo genere, troppo fissato a piangere sul passato.
forse è proprio l’italia il problema, perchè altrove questo genere è più apprezzato. forse qui siamo sempre stati indietro, sempre fissati con le vecchie glorie.
però, le poesie futuriste, vanno bene, un insieme di parole onomatopeiche, sono più arte. i quadri di picasso, anche. il fantasy no.
ah, vecchia italia conservatrice solo quanto più ti aggrada…
Gilgamesh era fantasy? Davvero? Il sumero della strada sarebbe d’accordo? Omero e Robert Jordan? La Bibbia e R.R. Martin? Dante e Christian Paolini? Davvero tutti avevano gli stessi obbiettivi? Davvero era proprio lo stesso ‘genere’?
A me sembra un po’ come i Mormoni che, quando battezzano un nuovo convertito, battezzano retroattivamente tutti gli ascendenti che questi è riuscito a certificare e infatti nello Utah si trova il database genealogico più grande del mondo – mi sembra un po’ lo stesso metodo…
Visto che non si crede la Bibbia, da verità rivelata, diventa un romanzo con qualche problema di struttura , un interessante tentativo ma vuoi mettere il Silmarillion?
Sascha, quello che vorrei che tu capissi è che il fantastico non vide di elfi&nani&draghi&maghimerlini. Il fantastico vive NONOSTANTE tutto questo.
Vedi? tu citi solo scrittori “elfi&draghi”. E gli altri? Secondo me li conosci. E li apprezzi anche, ma, nella grande biblioteca che ognuno di noi ha in testa, non li metti nello “scaffale fantastico” (vogliamo parlare di Saramago?)
Quello che sarebbe stato bello far capire a Cortellessa e a chi, come lui, non fa che denigrare in blocco, è che ci sono scrittori – adesso, in Italia – che cercano di far crescere il genere. Perchè il genere è già cresciuto. Da tanto, tanto tempo. Bisogna solo rendersene conto. Certo, ci sono scrittori e scrittori, fan e fan. Mille modi diversi di intendere la “cosa” (e guarda che se qualcuno mette sullo stesso piano Martin – che è un analfabeta – e Omero, m’incazzo più di te), ma – porcocazzo – non è così ovunque?
Ma, ovviamente, sparare ad alzo zero è molto più facile che sedersi, leggere e provare – chessò – a ragionare.
Provo a dire la mia, non ho letto proprio tutto tutto eh, ma gran parte, ritengo sascha che quello che tu affermi contenga un errore di fondo, cioè tu dici che tutti gli autori citati da nancy non sono fantasy perché “non condividono gli stessi obiettivi”.
E qui sta il problema. Per fare fantasy devo avere lo stesso obiettivo di qualcun altro? Ma dove sta scritto. Io posso veicolare attraverso il fantasy significati su significati, (fantasy in questo caso non è il termine più corretto dovremmo dire fantastico). Credo che il lavoro di Tolkien avesse degli obiettivi radicalmente differenti da quello di Philip Pullman. Nel secondo di elfi-draghi-maghi non se ne parla, ma mi vuoi dire che non è fantastico? Mi vuoi dire che il viaggio di Dante non è fantastico? Ma dai. Come insegnavano ai miei tempi la Commedia è un opera allegorico-didascalica, ma sopratutto è un viaggio fantastico. Non è fantastico Asimov? Oddio son passato alla fantascienza, ma cambia molto? Mi pare di no.
Ma come altrove è stato fatto giustamente notare la cosa GRAVE asserita da Cortellessa è l’esito diseducativo che la lettura del fantasy porta con sé, la qual cosa la ritengo a dir poco ridicola. Cito “diseducazione estetica, nonché psicologica e sentimentale” vale a dire che la gente che legge fantastico non sa più distinguere il bello, potrebbe diventare psicologicamente disturbata e sentimentalmente instabile. Il che secondo Cortellessa ha riflessi sul piano antropologico, culturale e sopratutto politico. Come a dire siccome il fantasy non riesco a governarlo perché specie in Italia e specie ultimamente ha assunto una sua vitalità, allora è un fenomeno politicamente pericoloso, perché il primo autore che ci ficca dentro significati “politici” mi opera una sorta di lavaggio del cervello delle menti dei lettori, che notoriamente non sanno capire quando uno sta facendo politica. Magia nera direbbe GL:
Mannaggia a me che non riesco a starmene a lavorare (come peraltro anche qui mi si invita a fare, ché deve apparire di leggieri quanto sia lavativo). Solo una precisazione, poi davvero mi volatilizzo in una nube di zolfo: “diseducazione estetica, nonché psicologica e sentimentale” non l’ho attribuito al fantasy ma a Moccia. E neppure al fantasy in generale, perché è vero che a parte Tolkien del genere in questione ho letto (da adulto) poco o nulla. Al Signore degli anelli, e solo al Signore degli anelli, ho imputato un potenziale diseducativo sul piano politico (il che, guardando quel che è successo in Italia fra molti suoi lettori, mi pare difficile da confutare). E ho cercato di spiegare perché la sua confezione letteraria ingeneri questo tipo di equivoci (che, beninteso, ingenerano anche capolavori della filosofia – ho citato Nietzsche – o della musica – ho citato Wagner). Se, e sottolineo se (perché vedo che giustamente al riguardo sono accesi i dibattiti fra gli specialisti del genere), il modello tolkieniano viene ripreso anche oggi da chi scrive entro i confini angusti di quel genere (come angusti sono i confini di tutti i generi, quando superstiziosamente osservati da autori e lettori), quel potenziale diseducativo è tuttora operante.
Andrea: questo è il fatto! il modello di Tolkien NON è ripreso da molti, moltissimi autori. Il tuo errore di fondo è proprio questo: fare l’equazione Fantastico = Tolkien = mutande di peluches!
Guardi Cortellessa che non è un caso a mio parere che in una discussione sul fantastico lei tiri in ballo Moccia, dicendo che è diseducazione all’estetica e che crei disastri antropologici, e che al contempo faccia un’affermazione simile nei confronti di Tolkien, concludendo che visto che gli esperti del genere adesso – dopo questa ciclopica discussione – ne parlano e si confrontano allora quella diseducazione è ancora operante. Abbiamo la proprietà transitiva della diseducazione applicata alla letteratura fantastica.
A parte che ritenere diseducativo Tolkien è a mio avviso scorretto, ma di questo ne parliamo altrove se lo ritiene opportuno. Il fatto è che il fantastico è andato (per fortuna) oltre Tolkien ma pare che lei non se ne accorga. Del resto lo ha detto lei stesso che non ha letto altro, ma allora come si può esprimere ragionevolmente un giudizio su qualcosa che non si conosce?
Io non ho espresso – a differenza di quanto sento ripetere qui e altrove – un giudizio sul genere nel suo complesso. Non ho detto proprio nulla, che so, del libro della Lara Manni o di G.L. D’Andrea o di Francesco Dimitri che sono intervenuti qui, per il buon motivo che non li ho nemmeno aperti (semmai ce l’ho, come ho scritto poco fa, con la produttività letteraria dei “generi” in… generale; ma di ciò s’è già discusso tempo fa, in abbondanza, con Valerio Evangelisti). Qui ho solo eccepito circa la perplessità di Lipperini riguardo all’articolo di Stancanelli. Anche la discussione su Tolkien e sui suoi presunti epigoni è arrivata dopo che s’è detto “ma come! e allora quel capolavoro immortale di Tolkien?”. Dunque, per rispondere a D’Andrea, non sono io ad aver evocato Tolkien come capostipite e termine di paragone del genere in questione. Al che ho creduto di ribattere che per me “capolavoro immortale” si può dire del romanzo di Musil, per es., anziché di quello di Tolkien. Penso che l’editoria che presenta i propri testi come “intrattenimento” (Moccia è un altro esempio) abbia riempito sempre più, negli ultimi tempi, gli spazi delle librerie, e occupi gran parte dello spazio riservato ai libri nella comunicazione mediatica (non, come ho precisato già più di una volta, della “critica letteraria”: della quale peraltro parrebbe evidente, qui e altrove, che non freghi un tubo a nessuno). La letteratura non di genere e non di intrattenimento sta letteralmente morendo, strangolata dalla spregiudicatezza della distribuzione, e appunto della promozione, dell’editoria – se così si può chiamare – destinata all’intrattenimento. Se Dimitri ne gioisce, dal suo punto di vista legittimamente, io – spero altrettanto legittimamente – lo depreco. Stancanelli, che commendevolmente fruiva di uno spazio (fra i sempre più ristretti) al contrario riservato alla piccola editoria di qualità, lamentava questo. Non ammettere che questo si sia verificato, e insorgere solo perché – con termine icastico e persino in parte affettuoso, come pure con abbondanza ho tentato di spiegare – si definiscono “monnezzoni” i libri di “complotti e maghetti”, vuol dire, come al solito, prenderserla col dito anziché con la luna.
Cortellessa continua a ripetere lo stesso refrain e a definirlo “difficile da confutare”, quando invece è confutabilissimo. Io, mi dispiace, finché certe falsità continueranno a essere affermate senza pudore, continuerò a tenere il punto e la posizione.
Si afferma che Tolkien è politicamente diseducativo perché molti suoi lettori italiani sarebbero di estrema destra (e perché l’estrema destra ne ha fatto bandiera). Ma siamo così sicuri che la maggior parte dei lettori di Tolkien in Italia siano di estrema destra? Ci sono delle statistiche in proposito o c’è soltanto l’apparenza condizionata dal fatto che Tolkien non è mai stato letto davvero e analizzato dalla critica di sinistra? Io conosco un mare di persone di sinistra che sono state o sono lettori di Tolkien e suoi estimatori. Come mi accanisco a ripetere da giorni IL DIFETTO E’ NELL’OCCHIO DI CHI GUARDA. Le cose non stanno come sostiene Cortellessa e credo di averlo spiegato in tutte le salse. Lo dimostra il fatto che – e tre! – in nessun altro paese Tolkien è stato recepito come in Italia. Ora, a meno di non voler prendere questo angusto e periferico paese come metro di giudizio per un autore di portata internazionale, forse sarebbe il caso di considerare il fatto che in Italia è successo qualcosa che non è successo altrove. Ho già spiegato nei miei commenti precedenti come sono andate le cose storicamente qui da noi. Non è Tolkien a essere politicamente diseducativo, ma l’atteggiamento di certa critica che ancora, nonostante tutto, cerca pateticamente di nascondere e difendere un errore di valutazione, dando la “colpa” a Tolkien della propria negligenza.
Riguardo alla ripresa del “modello” tolkieniano da parte di autori viventi e alla loro incapacità di fare tesoro di tale modello, per poi forzarlo e andare altrove (problema che esiste eccome, a mio avviso), c’è il nuovo post di Loredana Lipperini che parla proprio di questo. Anche in questo caso però smettiamola di ribaltare i termini della questione e di attribuire ai padri le colpe dei figli.
Andrea, temevo che la discussione si sarebbe nuovamente spostata su questo punto, complice anche la semplificazione che viene fatta almeno in un altro blog, purtroppo.
Dico solo che: non è equiparabile l’intrattenimento alla Moccia con tutta la produzione del fantastico (che pure, al suo interno, comprende un filone di non altissima qualità letteraria).
Quello che veniva contestato è: perchè, fra i molti esempi di monnezzoni, Stancanelli citava i maghi e non Fabio Volo, che a quanto pare svetta nelle classifiche.
Quello che io contesto è che la letteratura non di genere stia morendo soffocata dai monnezzoni. Semplicemente perchè non è vero. Semmai, i monnezzoni rischiano di soffocare proprio il genere.
Come ho cercato di spiegare nel post di oggi.
Andrea: quello che di quell’articolo ha fatto girare le scatole era che era davvero buono. Solo che, per “legittimarsi” ha dovuto sputare su un piatto che non conosce. Evidentemente. Perchè, scusami, ma “immondizia” non è proprio affettuoso. Sul “capolavoro immortale” sono QUASI d’accordo con te, nel senso che penso che sia il tempo il vero giudice e come ben sai, sulla lunga percorrenza saremo tutti cibo per vermi. E vale anche per Musil visto che per Dante ci sono voluti due secoli, no?
Ora: quello che mi preme dire è che i “generi” sono galassie. E all’interno dei generi ci sono i monnezzoni (quelli veri) ma anche opere degne di nota (e guarda che non sono qui per farmi autopromozione come non sono qui per chiedere legittimazioni di sorta). Il “fantastico” è uno “sguardo” che ha prodotto libri validissimi. Se, come penso, tu sei un appassionato di Letteratura il fatto che ci siano degli autori che stanno cercando (timidamente e, ti posso assicurare dovendo lottare e con i mass-media E con le grosse realtà editoriali) di portare istanze, stili e temi “forti” in un genere che tu vedi come “monnezzone” non dovresti che esserne contento. O quantomeno, da studioso, incuriosito.
Un’ultima nota, sempre per dovere di cronaca: in Italia da qualche anno esiste un gruppo serio di studi su Tolkien, che ha dato vita alla collana di saggi “Tolkien e Dintorni” per la casa editrice Marietti. E’ composto da studiosi di varia estrazione, alcuni cattolici altri no, e tutti “non professionisti”, ma nessuno di loro ha simpatie o letture di tipo tradizionalista e tanto meno evoliano. Tanto per ribadire che, come dicevo in precedenza, quando la critica dorme per trent’anni, i lettori si trasformano in studiosi e fanno da sé.
Il fatto che ci siano stati e sempre più ci siano, lettori di Tolkien di sinistra (come Del Corso e Pecere), del che mi compiaccio, non toglie che il libro di Tolkien – e nell’ambito della letteratura di intrattenimento popolare, a quanto mi consti solo il libro di Tolkien – abbia non solo affascinato una quantità di lettori di destra, ma ispirato formazioni politiche ed esperienze comunitarie i cui valori sono dichiaratamente di estrema destra. Il perché abbia potuto farlo, io ho provato a spiegarlo nel “sunto compilativo” postato sopra, compilativamente ricorrendo ai paradigmi di Derrida su Nietzsche e di Lacoue-Labarthe e Nancy su Wagner. Se invece di sottovalutare questo piccolo particolare, Wu Ming 4, provassi a spiegarci tu perché questo è avvenuto e perché soprattutto questo non avverrà con le forme di letteratura di intrattenimento popolare d’oggidì (che secondo te nulla hanno a che fare con Tolkien, se ho ben capito, e allora mi chiedo perché si sia cominciato qui a discutere di Tolkien), forse faremmo un passo avanti. Tempo fa per es. lessi un mirabolante articolo di Roberto Saviano, su Repubblica, sul film 300 tratto dal pur da me altre volte apprezzato Frank Miller. Lo andai a vedere subito, e mi parve molto più diseducativo e politicamente orèndo del Signore degli anelli: oltretutto – il film – politicamente propagandistico su un piano estremamente attuale (con le ambiguità del caso, certo; per cui gli Spartani alternativamente possono essere stati letti sia come allegoria dell’Occidente minacciato che come allegoria dell’Oriente preventivamente invaso: ma intanto materialmente sono degli occidentali eroicamente schierati contro i mostruosi orientali). Ecco, per es. un prodotto come 300 non è di genere, è estremamente transmediale e molto new epic (ancorché non italian). Ma è indubbiamente, ai miei occhi, un vitando monnezzone.
Andrea, mi sembra che si sia ripetuto ad nauseam che non tutto il fantastico contemporaneo si rifà a Tolkien. Primo. Secondo: si è cominciato a discutere di Tolkien in quanto uno dei testi letterari fantastici più importanti del Novecento. Il che non significa che non ci si muova anche in altre direzioni.
Andrea: sai benissimo che la destra post-moderna si sta impossessando anche di Che Guevara. E’ colpa di Che Guevara? No. E i WM su 300 scrissero cose intelligentissime. Che tu apprezzeresti. Ti prego, visto questa discussione sta prendendo una piega interessante (finalmente!) e costruttiva, di non usarla per attaccare i Wu Ming. Sarebbe una piccineria, triste. Dello stesso livello di Casa Pound che cerca di arruiolare il sottoscritto, tanto per la cronaca – facendo leva sulla vanità, del tipo “tanto quelli lì mica ti capiscono, solo noi capiamo l’Irrazionale”. Tanto per la cronaca: un vaffa se lo sono preso. Quindi: appunto, come dice Loredana: non sarebbe meglio attaccare chi davvero sta rincretinendo il mondo (Moccia, Volo, Mazzantini, Piperno…) e, invece cercare di capire chi, per dirla con le tue parole “resiste”?
“Se invece di sottovalutare questo piccolo particolare, Wu Ming 4, provassi a spiegarci tu perché questo è avvenuto”.
Beh, a me sembra che wu ming 4 ci stia provando già da un po’, almeno da un anno e mezzo, con una serie di articoli che ha pubblicato.
Su “300” come ha già detto G.L. , Wu Ming 1 ha tenuto una lezione all’università di Torino, a parer mio, strepitosa: ha letto/interpretato la pellicola con finezza e profondità.
@D’Andrea
Non ho problemi a dire che sono fortemente “incuriosito” da questa discussione. Infatti è almeno una settimana che praticamente non faccio altro, mannaggia a me. Primo perché, a differenza di quanto si pensa qui, da quando ero bimbo ho un debole per il “fantastico”, e penso che il “fantastico” sia davvero, in potenza, una chiave privilegiata per l’accesso al “reale” (per quanto ad esso si possa accedere a mezzo lettura, beninteso; ma non apriamo una parentesi su questo, ché altrove ha destato dibattiti di 500 post). Proprio perché ho questa grande passione non amo, e anzi proprio depreco, che “il fantastico”, per me in potenza assai più polimorfo e imprevedibile del “realismo borghese” (per continuare a usare questi inadeguatissimi macrocontenitori), si cristallizzi, e dunque per me fossilizzi, in “genere”. Sono stato “fan” anch’io, eccome, sebbene Loredana stigmatizzi l’ipotesi – per me una certezza – che questa condizione sia per sua natura transitoria: e dunque so quanto si possa godere nel vedere confermate le propria aspettative di lettore dal fatto che i testi osservino le “regole”, non scritte ma ferree, del “genere”. Ebbene, come ho detto, a un certo punto ho letto Kafka e ho capito che il “genere” era una prigione, e oltretutto era una prigione che, in quanto tale, contraddiceva frontalmente la pulsione libertaria del “fantastico”. Dunque ho messo da parte Asimov (che trovo ora insopportabile) e, più a malincuore, Sturgeon e Van Vogt (mentre l’heroic fantasy, che ho letto eccome da adolescente, e che era eccome indebitata con Tolkien, non l’ho mai amata). Mentre, come tutti ripetono (ma se tutti lo ripetono una ragione ci sarà), Dick o Ballard (o la Le Guin, che però a un certo punto colpevolmente ho perso di vista) sono letteratura tout court (e infatti ho scritto tante volte dell’uno e dell’altro).
Secondo. Alcuni argomenti, e la evidentissimamente sincera passione, di alcuni degli intervenuti qui (per es. Dimitri, il quale – un po’ davvero inconsapevolmente un po’ invece recitando la propria ingenuità, secondo me – replica parola per parola le parole d’ordine delle avanguardie artistiche e letterarie dell’Ottocento e del Novecento: alle quali sono assai affezionato perché davvero – come sosteneva un altro grande diseducatore al quale non rinuncio, Ezra Pound – sono state, da allora, il “sangue nuovo” che ha fatto sopravvivere quella roba – vampiresca quant’altre mai – che chiamiamo letteratura), mi fanno davvero “ben sperare”. Essere coperto di insulti e cose così non mi fanno né caldo né freddo. In altri ambienti non c’è più la passione per la letteratura che c’è qui. Per lo più maleindirizzata, maleargomentata, soprattutto malriposta. Ma c’è. Per questo continuo a discutere, invece di mentalmente (come amereste facessi, sotto sotto) dare del monnezzone a tutti e tornare in santa pace a leggere l’edizione critica di Ammiano Marcellino.
Ecco, allora vedi che uno spiraglio di discussione c’è? ci voleva tanto? Sono convinto che tu sia incuriosito ed è il motivo per cui sono qui invece che su Word a fare il mio mestiere. Ora c’è una cosa che non condivido in questo tuo ultimo intervento. Ma si tratta di una questione di punti di vista. Ovvero: io non credo che il genere sia una gabbia o meglio, la è, ma io come “produttore di testi” (ho troppo rispetto per la parola scrittore, sono gli altri a dovermi definire tale, non io) vedo il genere come – scusa il paragone – Leopardi vedeva la sua bella siepe. Questo intendo quando dico “sguardo”. Quello che sarebbe utile, a tutti, sta proprio nel pensare a questo: Ballard è un Grande, ma ci sono voluti anni perchè la gente smettesse di dire “sì, ma scrive sf!”. Ecco, mi piacerebbe poter essere letto (io e tanti altri qui in giro), indipendentemente dal “sì, ma”. Valgo qualcosa? ne sono felice. Sono immondizia? Amen (nemmeno i Beatles piacevano a tutti!). Insomma, il sorrisetto va dopo, non prima.
Aggiungo una cosa su un argomento che ha usato qui Biondillo, poi eclissatosi. Lui ha sostenuto, più o meno, che esiste anche il “fandom” del “Capolavorone”, che c’è chi parla solo impugnando parole di Borges o Manganelli, secondo lui altrettanto acriticamente di chi vive nel mopndo dei maghetti o degli opliti spartani (ohibò). Credo di capire a chi si riferisca, e secondo me si sbaglia (nel merito specifico e in generale, come ho provato a spiegare parlando di Finnegans Wake). Ma il punto è un altro. Io penso che una certa componente di “fanatismo” letterario – della quale però essere criticamente consapevoli, coltivandola e tenendola a bada dentro di sé con una specie di continuo doppio legame – sia tutt’altro che negativa. E’ quella che chiamo “passione”, e che volenti o nolenti e con tutta la nostra (o la mia, scusa Dimitri) educazione razionalistica, ha davvero a che fare col “sangue”. Le metafore che chiamano in causa il sangue sono sempre insidiose; ma è vero che in tanti ambienti letterari “tradizionali” di “sangue” ne circoli pochino (quel marpione di Baricco ha addirittura intitolato un suo monnezzino, alludendovi). L’importante, pare a me, è che esso non giunga mai a dare agli occhi (come ben sa chi è reduce dalla congiuntivite).
Il genere “può” essere una prigione, molto spesso: su questo penso che in molti ti diano ragione, ed è quello che ho cercato di dire stamattina.
Come in molti stanno cercando di dirti che continua ad esserci vita, e possibilità future, dopo Dick e Ballard 🙂 (faccetta)
NO NO NO! Ezra Pound NO! Vi prego!!
Forse in mezzo a tutto questo monezzone avete centrato il segno e non ve ne siete resi conto… “tutta la letteratura è una corruzione del primo verso gutturale emesso da un ominide.”
Andrea: (poi mi fermo, sennò rompo). Solo due cose: vero, la metafora del sangue è pericolosa e insidiosissima. Nitroglicerina, e non solo metaforicamente parlando. Ma, proprio per questo, davvero vogliamo lasciarla in mano a chi quella nitroglicerina la usa per farsi i porci affari suoi?
Poi.
Anche io provengo da un’educazione che tu definiresti “razionalistica” (che poi è il motivo per cui continuo a ricevere mail del tono “ma dai, GL; che ti frega, l’accademia è morta!”) e così ho il sospetto che proprio chi ha il coraggio di usare certo “sangue” sia il razionalista fino in fondo, non chi se ne discosta- magari disgustato (hai presente, no? Che ovvove!). Un razionalista che non si spaventa, ma cerca di usare intelligenza, responsabilità e – soprattutto – consapevolezza.
E chi lo nega, Loredana? Tutta la mia esistenza si basa sulla scommessa che ci siano “vita, e possibilità future, dopo Dick e Ballard”. Solo che secondo me è molto difficile che questa “vita” si trovi – oggi -in qualcosa che osserva delle regole come quelle dei “generi”. Tu per esempio hai indicato The Dome di King: vedremo. Io però indico da anni centinaia di testi e autori “non di genere”, i cui libri gli editori industriali ormai non pubblicano più, e che nei monnezzodromi chiamati “librerie di catena” non hanno più accesso.
Parliamone dopo The Dome? E dopo, magari, qualche testo fantastico di casa nostra?
Sì, D’Andrea, consapevolezza. E senso dei (propri) limiti. Io da qualche parte mi son visto attribuire, per questa discussione, “pose da titano”. E’ davvero ironico che questo possa accadere. Io i titani (anche se spartani, o spartachisti) li detesto proprio a priori, non ci posso fare niente. E comunque, appunto, conosco i miei limiti. Sia di cultura che di abilità retorica. Non sono Harold Bloom, per es. (qui, ho visto, qualche tempo fa additato al pubblico ludibrio), che da qualche decennio a questa parte davvero fa il titano, sì, e per questo l’ho spernacchiato anch’io, una volta; ma che la letteratura – di tutti i tempi – la conosce davvero un milione di volte più di me.
perdonatemi, ma cortellessa mi turba sentire qualcuno dire che causa monnezzoni altri autori non vengano più pubblicati. Mi turba perché in fin dei conti del fenomeno monnezzone finora l’ha sentita parlare in termini puramente generalisti, abbiamo delle statistiche di cosa si trova in libreria? Abbiamo dati portati per dire che il male del mondo è il fantastico usato dagli editori per uccidere la vera letteratura? Finora ho solo sentito una persona sostenerlo senza avere dati in mano e sopratutto senza avere conoscenza del fenomeno fantastico e torno a porle la domanda di cui sopra non conoscendo il fenomeno come può etichettarlo in qualsivoglia modo? sia esso monnezzone o alta letteratura? Da sempre mi è stato insegnato che la ragione impone di conoscere l’oggetto cui mi riferisco e solo dopo averlo conosciuto darne un giudizio ex post non ante.
Eleas, mi pare che la discussione si stesse indirizzando in altri termini e che Cortellessa avesse fatto delle precisazioni in materia.
Ad ogni modo: che si pubblichino molti libri che genericamente si possono definire fantastici (dico apparentementi per motivi ripetuti miliardi di volte nei post precedenti) è tangibile. Dico di più: il presidente dell’Associazione Italiana Editori, alla Fiera della Piccola e Media Editoria, ha confermato che il lieve aumento della lettura riportato dal Censis un mese fa, si deve proprio ai libri sui vampiri.
I quali, però, non contribuiscono positivamente – se non in termini di vendita – al fantastico medesimo.
Ricapitolando: i monnezzoni non sono identificabili col fantastico, ma dentro il fantastico i monnezzoni ci sono.
Spetta a chi ci lavora (scrittore, editore, giornalista, critico) infrangere i pregiudizi e aumentare la qualità.
Auff.
@ Eleas
Né io né Stancanelli abbiamo ovviamente letto tutti i libri impilati nelle librerie di catena, che ostacolano (proprio fisicamente) la circolazione e l’esistenza in vita di altri libri. Quel che è certo è che lo spazio, nelle librerie e nella comunicazione libraria, riservato alla produzione di consumo, di intrattenimento, o comunque la si voglia chiamare, è negli ultimi anni incommensurabilmente aumentato. Non ho statistiche in mano. Ma come credo che una persona intellettualmente onesta possa condividere il mio giudizio su Musil e Tolkien dopo aver letto l’uno e l’altro, credo pure che questo dato sia sotto gli occhi di ciascuno, non appena si rechi in una libreria come certe Feltrinelli (non tutte, ma sempre di più) o le FNAC. L’ipotesi che ciò non si debba a una strategia di mercato ma ai gusti puri e innocenti dei “lettori” (come ha sostenuto qui Alessandra C) fa a pugni col fatto che le vetrine vengano vendute, agli editori industriali, da queste catene di librerie (come, dice Loredana, Maurizio Bono avrebbe denunciato su Repubblica; ma come già sapeva chi abbia una certa confidenza con un libraio); o che (come invece denunciò Gabriele Pedullà su Alias) sempre più, nei grandi giornali, certe recensioni che appaiono siano in realtà preordinate dagli editori (o dalle grandi agenzie letterarie) traducendo quelle, già “testate” come positive quindi, di grandi firme apparse in precedenza su giornali stranieri. Per parte mia, il fenomeno in assoluto più diseducativo è l’invito al conformismo che sempre nelle librerie di catena proviene, al lettore poco avvertito e poco informato, dalle pile dei “libri in classifica” (nonché l’eccessivo rilievo che, a monte, dai media viene dato alle classifiche di vendita in quanto tali). Queste sono storture oggettive, la cui portata è aumentata esponenzialmente nell’ultimo periodo. Non vedere questo significa accettare, se non esplicitamente auspicare, che sempre più in libreria abbiano diritto di esistenza solo dragoni e maghetti, opliti e baricchi.
Ok. Si ricomincia.
Dal canto mio, Andrea, dico una cosa scomoda: ieri, non ritrovando in casa una copia de Il giorno della civetta di Sciascia, ho fatto un giro per piccole librerie. Piccole. Nessuno lo aveva. In compenso tutti avevano non il fantasy ma Fabio Volo e Mazzantini.
La generalizzazione, perdonami, non funziona.
La scarsa considerazione del lettore nemmeno.
@lalipperini ma siamo assolutamente concordi su questo del resto sostenere che tuta la letteratura alta sia esente da monnezza mi pare altamente difficile come posizione.
Il problema resta il dare giudizi “monnezzone” è un giudizio applicandoli a tutto un genere che per di più non si conosce. È un giudizio dato con davanti un oggetto ignoto. Mi danno una scatola e dico siccome l’etichetta reca la scritta fantastico dentro non può che esserci monnezza. Suvvia.
Lo pure io che l’uso commerciale dei vampiri non fa bene e tra poco ci saranno gli angeli e poi qualcosa di nuovo. Ma vogliamo sostenere davvero che sia questo a togliere aria a chi ha buona letteratura da proporre? Lo vogliamo sostenere dalla posizione di chi non conosce il genere intendo.
@cortellessa
mi perdoni, ma il conformismo non equivale a monnezzoni sono due cose differenti, il conformismo è un altro problema del quale se vuole si può discutere ma che con la qualità dei libri in ballo poco c’entra io posso canalizzare il lettore poco attento su libri di qualità, sono monnezzoni? direi di no.
Quanto agli spazi fisici anche qui smettiamola, fatevelo un giro in FNAC ci sono un tot di metri dedicati al fantastico il resto è altro ed è la maggioranza, ma poi scusate misuriamo a metri quadrati la letteratura?
Sì, Eleas. Misuriamo a metri quadrati di libreria, e a centimetri quadrati di pagine di giornale, e a minuti secondi di spot televisivi travestiti da servizi “di costume”. Come ho detto sopra ho sorbito sociologia di letteratura, all’università. in dosi tali da non volermene occupare mai più; ma le condizioni in cui versa l’editoria contemporanea mi hanno convinto a recedere dall’intento. Qualche tempo fa, nelle classifiche di vendita stampate da tutti i giornali, auff!, e riprese pari pari dalle pile nei monnezzodroni, doppio auff!!, c’erano quattro twilight fra i primi cinque posti. L’altro, se non sbaglio, era Camilleri. Ma non da meno, certo, sono state, nelle settimane seguenti, le performances di Volo o di Mazzantini. Quello che proprio non va giù alla maggior parte dei commentatori, qui, è che questo stato di cose davvero mette a rischio la sopravvivenza dei non-monnezzoni. Tu Loredana dici Sciascia, prima veniva citato DeLillo. Eppure questi sono dei classici. Oggi, perdonatemi se tiro in ballo casi personali, libri meravigliosi (e a loro modo assai “fantastici”) come Le strade che portano al Fùcino di Tommaso Ottonieri o Cristi polverizzati di Luigi Di Ruscio, entrambi da me pubblicati per Le Lettere, nelle grandi librerie molto semplicemente non ci arrivano; i grandi giornali molto semplicemente non ne parlano; e i lettori, quelli puri e innocenti evocati da Alessandra C, non avranno mai la più remota possibilità di sapere che esistono. Dove sta la loro libertà? Dove sta la nostra libertà? E dove sta la letteratura?
La passione, dunque. Tornando qui mi rendo conto che, nel bene o nel male, di passione ce n’è stata parecchia.
Vorrei solo dire ad Andrea Cortellessa, e l’ho scritto in questi giorni sul blog, che chi scrive fantastico non è esente dal prendersi le proprie responsabilità: tutt’altro.
Così come chi fa critica ha, naturalmente, le sue: duecento e passa post forse potrebbero anche servire a noi per interrogarci sui rischi della moda editoriale e a voi per capire che non tutti seguiamo quella moda.
Chiosa troppo banale? 🙂
Andrea, di contro, molti dei testi che rientrano nel fantastico, e che monnezzoni non sono, non arrivano mai alla valutazione critica o giornalistica.
Potrei risponderti che esiste la rete, e credo che tu ti aspetti una risposta simile (ma non così utopistica).
Certo, Loredana, esiste la rete (dove però si riproducono prevedibilmente retoriche “maggioritarie” e retoriche “minoritarie”). Ed esistono tante altre battaglie che si fanno (che faccio), come quella delle Classifiche di qualità promosse da Pordenonelegge e che i giornali, dopo un primo interesse “di scandalo” e una serie di insulti gratuiti, e sospetti di camarille e conventicole e mafiette, ricevuti persino da scrittori e intellettuali “amici”, hanno completamente abbandonato. Ma tutto ciò non basta, drammaticamente non basta. Rendetevi conto tutti che siamo su una china davvero pericolosa: se abbiamo a cuore (sto cuore pieno di sangue che pulsa) la letteratura. Senza aggettivi, senza generi, senza limiti o confini: ovunque si trovi e chiunque la scriva.
@cortellessa
resta il fatto che se ci mettiamo a misurare a metri quadri il fantastico ne esce con le ossa rotta di fronte a bruno vespa o alla trilogia Millenium (parlo di metri non di qualità). Invece di concentrarsi sulle metrature perché la critica non si mette a studiare veramente i contemporanei? Perché siete fermi a Tolkien? Tolkien non è il fantastico, ma a quello vi fermate.
Secondo: citava giustamente Twilight. Romanzo in cima alle classifiche e siccome il suo fandom è tendenzialmente adolescenziale monnezzonizzato. Non voglio fare qui la difesa d’ufficio della Meyer per carità, ma vogliamo ignorare un fenomeno senza porci delle domande semplicemente ghettizzandolo? Adolescenti pustolosi e quindi monnezza? È questo l’approccio critico? Oppure forse non dovrebbe essere cavolo! Ma perché Twilight attira tanto? Intanto lo leggo, così so di cosa parla, poi mi faccio tutti i miei ragionamenti su. Capisco che questo approccio implichi una fatica, una salita, un’ascesi, ma viceversa procederemo solo per generalizzazioni che come giustamente dice lalipperini sono inutili.
@lipperini
sono contento di vedere da Fabio Fazio autori come Grossman o Saviano, ma quando vedremo qualche autore del fantastico?
“Studiare veramente i contemporanei”, Eleas? non faccio altro, mi creda. Mi rifiuto però di considerare “i contemporanei” quelli che mi dicono la pila alla FNAC, o la classifica di vendite letta sul giornale, o – nonsiamai! – brunovespa. Di “contemporanei” ne conosco, apprezzo e “studio”, lo ripeto, a centinaia; eppure vedo che qui i titoli e gli autori che vengono citati sono sempre quelli delle pile. Ecco, io se un libro sta in pila non lo leggo. Mi hanno disegnato così, mi dispiace. Sono convinto che il mio compito, la mia “missione” ripeto, sia cercare di (fare quanto è nelle mie umane possibilità per) salvare quelli che nella pila non ci stanno; e anzi, tendenzialmente quelli che sono pubblicati dai piccoli – eroici – editori di ricerca. Sono convinto che trasformare la critica in sociologia della letteratura in pillole (come fanno sempre più spesso i supplementi dei grandi giornali), al fine di “interrogarsi sul fenomeno” di turno (sempre negli stessi termini della sociologia della letteratura, perché evidentemente, sul “fenomeno”, molto altro da dire non si trova), sottragga spazio (in termini di centimetri quadrati, sì) alla letteratura: quella che per leggere, apprezzare e interpretare la sociologia della letteratura, mi dispiace, ma non basta.
mi auguro si renda conto che la sua è una posizione aprioristica e non ragionevole, in quell epile c’è ottima letteratura che lei cancella in toto senza averla conosciuta, ma poi la etichetta affettuosamente come immondizia