L’altra faccia del discorso, quello che ha preso spunto dall’intervista a Celati, riguarda le potenzialità e le novità che si esprimono in un settore letterario che non da oggi mi è caro: quello del fantastico. Potenzialità che, in questo momento, esistono ma sono sottoposte a rischi forse più insidiosi rispetto a quelli che riguardano altre narrazioni.
Un paio di anni fa, ho scritto un breve saggio che si chiamava Bruciare le stoppie, e riguardava la confusione tra fantastico e romance, fra romanzo horror o fantasy e storia sentimentale.
La confusione è aumentata: in primo luogo, perchè ai vampiri – allora dilaganti – si sono aggiunti, di recente, gli angeli, con conseguente alluvione di storie che li vedono protagonisti. Nessun tormento per il loro rapporto con l’Altissimo, neanche un barlume di Wim Wenders: sono angeli assai umani e interscambiabili con i loro predecessori, basta sostituire ai canini le ali piumate. Era prevedibile, e prima degli angeli, peraltro, ci sono stati i licantropi.
Qual è il punto? Che naturalmente è possibile rivitalizzare qualsiasi figura archetipica dell’immaginario se si concepisce una storia che non sia in funzione delle presenze soprannaturali ma di quel che si vuol raccontare: e se oggi, per fare un nome che si è appena cimentato nel fantastico anche se quasi nessuno lo ha capito, il Marco Mancassola di Non saremo confusi per sempre scrivesse una storia con angeli, o vampiri, o lupi mannari, o zombie, sarebbe una bellissima storia. Per il semplice motivo che sarebbe la narrazione a contare, e non gli inquilini della stessa.
Al momento, e siamo al secondo motivo che problematizza oggi il fantastico, il pubblico dei lettori di questo genere si è allargato molto. C’è un però: leggendo blog e magazine, mi sto rendendo conto che la quasi totalità di quei lettori è anche scrittore, pubblicato o meno. E che divora romanzi fantastici sovrapponendo a quel che legge il proprio testo: che esprima giudizi positivi o negativi, è sempre della propria potenzialità che sta parlando, non di quella dell’autore.
Una delle conseguenze preoccupanti è che, a due anni da quel saggio, trovo il panorama del fantastico italiano attraversato da due stati d’animo non propriamente nobili, né utili: ambizione e livore. Da una parte non pochi scrittori scelgono la scorciatoia folkloristica, fatta di abiti neri, cappelli steampunk, trucco spettrale, per farsi personaggio (ma contemporaneamente accreditando presso quella larga parte di lettori forti o professionali che si tiene lontana dal genere, l’idea che il fantastico sia faccenda per persone poco serie e con le orecchie a punta). Dall’altra i lettori inondano case editrici, agenti, e a volte semplici giornalisti, con proposte di romanzi che autodefiniscono nuove e originali, e pazienza se mancano i fondamentali come l’ortografia. In terzo luogo, esiste e resiste il vecchio drappello di pionieri che scrivevano genere già decenni fa e che cerca di tenersi stretto il briciolo di presunto potere che ha, impedendo il rinnovamento se non nella direzione che dà loro il minor fastidio possibile.
Nulla di nuovo, insomma. Le stoppie sono ancora là, e sono anche più forti di prima. C’è un però. Cominciano a farsi largo scritture diverse e interessanti. Anche nel mondo mainstream, che spesso non se ne accorge neppure. Faccio un solo esempio che riguarda un romanzo splendido, ricco di grazia, inventiva e poesia, e che altro non è che squisito fantastico: si chiama L’ultima sposa di Palmira di Giuseppe Lupo. Da pochi giorni è tra i finalisti del Campiello, a sorpresa. E’ un’infilata di racconti di fantasmi e di passeggiate nell’Aldilà, esposti con tale grazia che i fanatici del realismo non se ne accorgono nemmeno.
Un romanzo che dovrebbe insegnare una cosa agli autori (di fantastico soprattutto, ma non solo) che strillano al Grande Complotto Editoriale appena ricevono una critica o un rifiuto: con la presunzione, per strano che possa sembrare, non si va molto lontano. Con la sicurezza nel proprio lavoro, unita all’umilità, sì. Anche se lentamente.
Fine della lezioncina e buona festa.
Non capisco bene. Loredana.
Al momento, l’unico esempio riuscito che mi viene in mente in cui è “la narrazione a contare e non gli inquilini della stessa” è un videogioco.
Valter, mi auguro fuor di polemica. Provo a spiegarmi meglio: è la differenza che intercorre fra “scrivo questa storia” e “voglio scrivere qualcosa con vampiri/angeli, solo poi penso a cosa”.
Capito. E approvo.
Volevo solo dire che le storie non nascono a prescindere dai personaggi, altrimenti sono trame disossate, letterariamente insulse (come la maggior parte dei giallo-noir che girano). Così come i romanzi a tema (un bel libro sull’ecomafia, un bel libro sugli stupri) che facilitano il riassuntino all’ufficio stampa. Un bel libro dovrebbe essere indefinibile in tre righe.
Perfettamente d’accordo. Naturalmente è così: intendevo che, nel fantastico, la sensazione che si riceve è di una scrittura funzionale al marketing nel momento stesso in cui si dispiega. Scrivo uno steampunk perchè ora tira, oppure metto le ali al mio personaggio perchè la moda è quella, eccetera. In questo senso, il fantastico corre seri rischi. Eppure, si può scrivere un libro di fantasmi, come quello di Mancassola, a prescindere dalla natura dei personaggi. All’interno del filone esistono e agiscono ottimi autori, peraltro: ma diventa difficile accorgersene, proprio per i motivi che ho cercato di esporre (a mio rischio e pericolo: timeo fantasy-writers et dona ferentes).
Sicuramente lo conosci, c’è un vecchio libro di Roger Caillois (Au coeur du fantastique), dove lui dice che l’essenza del fantastico riuscito non sta negli elementi più o meno surreali che lo popolano, i quali possono benissimo strutturare un universo coerente e senza stupore (come i quadri di Arcimboldo), ma nell’irruzione del perturbante, che incrina la “norma” di un universo prevedibile. Todorov aggiungerebbe che è proprio di quell’attimo di sospensione del principio di realtà o indecisione su dove esso si debba situare che il fantastico si nutre. Io questa cosa l’ho percepita intensamente leggendo Buzzati prima di Maupassant e altri.
Il fantasy mi piace (ne ho perfino iniziato uno) ma è proprio “quel” fantastico metafisico che mi attrae di più. In Italia, negli ultimi anni, il campione del genere è Avoledo. Degli esteri, adoro il Murakami Haruki di “Kafka sulla spiaggia”, un romanzo che è anche un modello di composizione.
“Da una parte non pochi scrittori scelgono la scorciatoia folkloristica, fatta di abiti neri, cappelli steampunk, trucco spettrale, per farsi personaggio (ma contemporaneamente accreditando presso quella larga parte di lettori forti o professionali che si tiene lontana dal genere, l’idea che il fantastico sia faccenda per persone poco serie e con le orecchie a punta).”
Spunto interessante.
Ho cercato un po’ e l’unico esempio di questa inconsistente deriva che sono riuscito a trovare è Francesco Dimitri, che lo fa in modo professionale, da insider delle case editrici e che domani con la stessa facilità, sempre professionale eh, indosserà il prossimo travestimento opportuno. Lei però parla di “non pochi scrittori”: me ne saprebbe indicare altri, credo sarebbe utile ai fini di una mappatura di questo tipo…
Cartapesta: non ho voglia di fare nomi e non è così difficile trovare esempi. 🙂
Valter. Mi corre l’obbligo di una precisazione. Non sto dicendo che gli scrittori mainstream che approdano al fantastico siano per ciò stesso preferibili, o più abili, o più letterari, in una parola migliori di chi pratica il genere “puro”. Tutt’altro. Anche all’interno del genere puro si muovono autori che maneggiano trama, linguaggio,personaggi con la stessa coerenza e l’idea del perturbante che tu accennavi. Magari calcando la mano e facendolo diventare manifesto anziché intuibile, alla Todorov. Anche qui, niente nomi, anche se mi sono occupata su questo blog di molti di loro.
Infine: finiscilo, questo fantasy. 🙂
Altra precisazione, che dovrebbe essere superflua ma non lo è: dal momento che si levano già i primi ululati “è tutta una cricca”, senza voler capire di cosa si sta parlando davvero, vale la pena sottolineare che non conosco Giuseppe Lupo, non so che faccia abbia ed è il suo primo romanzo che leggo 🙂
Io invece Giuseppe Lupo lo conosco, vive dalle mie parti.
E’ scrittore di notevole valore (penso ai suoi primi titoli per Marsilio, questo ancora non l’ho letto), studioso di letteratura e persona deliziosa.
Capita più frequentemente di quel che la leggenda voglia far credere: le belle persone scrivono bei romanzi. Viceversa, meno. Secondo me.
Mah. Mi dicono che John Fante (lo scrittore americano che preferisco in assoluto) era una bestiaccia d’uomo…
Vero, e Houellebecq è pessimo, e non è che Philip Roth sia una meraviglia, umanamente parlando. Credo, però, che nonostante tutto siano in numero maggiore gli scrittori che pensano al proprio lavoro e alla propria vita senza intossicarsi di pessimi pensieri. Credo, Valter: potrebbe essere una mia pia illusione.
Ragazzi, Rimbaud e Jim Morrison si giocano la pole position nel gran premio “Merda umana del millennio”, eppure… 🙂
Però, anche se non è una regola, scoprire che a bravi scrittori corrispondono belle persone fa sempre piacere
Si. Il fatto è che è un mestiere duro la scrittura, espone a tentazioni tremende, che vanno dalla sindrome di narciso (annullarsi nella propria presentazione di se) alla sofferenza estrema per non essere valutati quanto si crede di valore (la proiezione del sè sul prodotto è doppiamente micidiale). Io credevo di aver visitato i peggiori demoni ai tempi dell’eroina ma mi sbagliavo. Per questo frequento l’ambiente il meno possibile: non tanto per non inquinarmi ma soprattutto per non contribuire ad inquinarlo.
Ogni tanto non mi tengo e vengo sul blog della Lippa a sparare un paio di colpi (a salve) 🙂
Vieni quando vuoi, Valter. 🙂
Aggiungo che nel fantastico mi sembra che la situazione si aggravi. Non c’è giovane e giovanissima blogger/lettrice/autrice di recensioni che non sia anche autrice, ma la doppia veste si sovrappone. E’ la deriva al negativo del fandom, dove il lettore si appropria di un testo e lo riscrive liberamente: perchè in questo caso è nella fase della lettura che si piega la storia ai propri voleri (per esempio, ci si indigna per l’andamento della trama di Moby Dick, che non segue i desideri di chi legge), mentre la scrittura si finalizza sia alla pubblicazione che al successo della medesima. Inquietante, perchè si rischia di perdere buoni lettori e di non guadagnare buoni scrittori, con l’aggravante di un livore che è lo specchio del “mi hai tolto qualcosa” sottolineato, per quanto riguarda l’intero paese, da Marco Revelli in “Poveri, noi”. Va studiato.
Ci stavo pensando in questi giorni.
Oltre al doveroso (e gratificante) esercizio della critica letteraria, bisognerebbe che in spazi come questo (molto seguiti da chi legge e chi scrive) si cominciasse anche a ragionare sulla psicopatologia della scrittura in pubblico, adesso che è comunque diventata una manifestazione di massa, soprattutto grazie alla facilità dell’auto-pubblicazione in rete.
C’è un aspetto artistico nella scrittura, e questo lo riconosce chi legge e non chi scrive, ma c’è anche un bisogno psicologico profondo di auto-narrazione, che è giusto non reprimere ma anche collocare dove va collocato. Io sono sicuro (avendo tenuto qualche corso di scrittura creativa), che il bisogno di raccontare potrebbe avere valenze terapeutiche profonde, se venisse opportunamente riconosciuto e indirizzato. Da questo punto di vista la scuola è gravemente carente, ma anche il comportamento di agenti, case editrici e docenti di scrittura creativa spesso è molto ambiguo, non contribuisce a chiarire la confusione tra volontà espressiva e talento artistico. Poi ci sono gli editori a pagamento che (tolta la poesia, che è un mondo a parte) ne approfittano bassamente.
Solo in Italia tutte queste pippe mentali, anche sul fantastico.
Retrogradi in tutto, vecchi per il gusto di essere vecchi.
Solo in Italia tutto questa bava per una torta così piccola. Svolazzatene via, Azrael.
Eccolo. Ci mancava la prova provata e arriva puntuale. Non basta popolare di angeli un romanzo perchè sia un paradiso.
Prendi un coglione, mettigli un nome angelico e resta sempre un coglione.
A margine, suppongo di dovere una risposta all’abilissimo post di Dimitri, qui:
http://francescodimitri.co.uk/2011/06/02/cappelli-steampunk/
E chi mai disprezza il lettore “gaudente”? Non certo “il partito di Repubblica”, non certo chi considera la lettura come una cosa seria e non come un piacere e un divertimento. Sono anni che spingo sull’aspetto ludico del leggere, e la solita ricerchina negli archivi potrebbe testimoniarlo.
Ma confondere i piani, mescolare l’astuzia con la rivolta, marketing (eh sì, spiacente) e libertà dalle presunte caste, è davvero la strada per la rinascita del genere? Se è così, auguri.
Ai cari Uriel e Binaghi, rispondo con un sonoro vaffanculo.
Con la signora Lipperini invece, stiamo discutendo tranquillamente su Facebook, col mio nome anagrafico. C’è da dire che si è già dimostrata molto migliore di chi legge questo suo blog.
Azrael, è lei quello che mi immagina in quel certo modo? 🙂 Le rispondo anche qui. La signora di mezza età che io sono e rivendico orgogliosamente di essere (e che non tiene affatto al decoro, mi creda) ha una sua idea. Ci sono persone che sanno assumere molto bene i toni dell’incendiario. Salvo, però, essere pompieri nell’intimo. Possiamo strafottercene, naturalmente: quel che ci circonda potrebbe non avere niente a che vedere con il fantastico. Anzi, di più: il fantastico potrebbe persino dover essere anarchico, sbeffeggiante, urticante, capovolgere i poteri forti. E in questo modo esserne servo. Ci pensi su. Legga, magari, questo bel post di GL D’Andrea in proposito.
http://wunderkindtrilogy.blogspot.com/2011/06/sono-un-reazionario.html
Poi ne riparliamo.
Si, sono io! E la ringrazio per il link, molto illuminante… anche se, a conti fatti, io mi trovo dall’altra parte della barricata: dalla parte del Joker e dei trickster. E mentre D’Andrea detesta il Male, a me dopotutto non dispiace.
Non è una questione di lotte metafisiche, secondo me. La mia sensazione è che andiamo più sul terra-terra. Ma, appunto, stavo semplicemente cercando di riflettere sugli aspetti critici del fantastico, e mantengo intatte le mie domande, nonché i dubbi.
Si vede che non l’hai visto.
M’è scappato il commento, l’Anonimo sono io. Ripeto e concludo.
“Si vede che il Male non l’hai mai visto. Tipica fascinazione da maschio bianco occidentale che vive in un mondo razzista, maschilista e filooccidentale.”
Prendi un coglione, regalagli trecento parole e una sintassi da australopiteco e resta un coglione.
@G.L. : punti di vista. E si di sicuro sono un maschio bianco occidentale e filooccidentale. Non credo invece di essere ne razzista ne maschilista. Ma ti assicuro che la mia non è una semplice “fascinazione”.
@Binaghi: ma questo astio da cosa deriva?
@Loredana: a questo punto direi che non ci rimane che accettare le nostre differenze, dubito che lei convincerà me o che io convincerò lei.
@ Azrael: se stai dalla parte del Joker, cambiati nome, che Azrael nei fumetti di Batman fa tutt’altro.
*
@ Valter (e/o Loredana): visto che è stato citato Todorov, io più che per la letteratura fantastica sono per quella meravigliosa, per la creazione di universi autonomi con intrinsiche “regole” fantastiche che non lascino spazi a dubbi. Il fantasy, si direbbe, ma non solo e non tanto (anche perché ultimamente mi pare diventato un immaginario più irrigimentato di quello, per dire, western). Sento che al momento a mancare sia proprio la creazione libera di altri universi, il “sense of wonder”, e soprattutto il racconto dell’uomo e del mondo attraverso queste chiavi di lettura.
La mia non era un’accusa. Dico solo che è molto comodo fare quello “dall’altra parte della barricata” quando lo status quo te lo permette (anzi, lo incoraggia).
Azrael: ma io non voglio convincerla. Semplicemente, le ho espresso delle motivazioni un po’ più complesse di quelle che si potevano evincere dal post originario.
The Daxman: la definizione di sense of wonder è un po’ generica. Ti assicuro che sia il medesimo sia il racconto del mondo sono reperibili, eccome, nel fantastico. Bisogna solo capire quale, come, dove.
@Daxman: il problema è che Batman ha “rubato” il nome Azrael a tutt’altro ambito, quello a cui mi rifaccio io.
@G.L. : sarà come dici tu, ma io vivo qui, non “altrove”. E di certo non sono di quella scuola di pensiero secondo la quale bisogna per forza rendere la vita una merda costante per nobilitarla in qualche modo.
@Loredana: le devo dare atto che ha una fan base molto fedele, ferale direi quasi… e si, che di solito quello che offende gratuitamente sono io. Bello sperimentare anche un altro ruolo, una volta tanto 🙂
@ Loredana: parlavo a proposito dei post tuoi e di Valter e del riferimento al “dubbio” nel fantastico come lo intende Todorov. Ciò che intendo io è che, almeno personalmente, trovo più efficace l’assenza di quel dubbio, la conclamata rivelazione della presenza di regole (fisiche, sociali, antropologiche) “altre”, che appartengono a creazioni di universi a sé stanti. Cioè, nel gioco “soprannaturale/non soprannaturale” mi pare di vedere possibilità espressive tutto sommato limitate. Come dire, ne Il manoscritto trovato a Saragoza si gira fondamentalmente intorno al chiedersi se quelli erano fantasmi o no. Ma se si il “soprannaturale” diviene il punto di partenza (come nel meraviglioso) allora quelle possibilità si moltiplicano all’infinito (per es. La storia infinita di Ende). Non so se mi sono spiegato.
@ Azrael: il Joker l’hai tirato fuori tu, non io. Chiuso OT.
Azrael: parlo di empatia. Detto questo: non voglio convincerti, solo non mi andava che travisassi le mie parole.
Azrael: non è una fan base. E’ un commentarium. Ovvero, persone che negli anni o nei mesi hanno ragionato insieme.
The Daxman: temo di non aver capito, ma molto fantastico contemporaneo, mi sembra, fa a meno del dubbio di Todorov non perchè lo disprezzi o lo respinga in toto, ma perchè dà per scontato che ci si possa muovere su due piani.
@Daxman: no, il Joker l’ha tirato fuori D’Andrea. E un tono meno condiscendente, grazie.
@G.L.: non so quanto ti ho travisato, ma di sicuro dal tuo blog mi pare d’aver capito che non ti è ben chiaro chi è veramente il Trickster. Ma non sta a me spiegartelo
@Loredana: ok… sempre ferale rimane, questo commentarium. Il che mi fa davvero pensare se, ancora una volta, i modi di grande apertura, da “illuminati”, non siano che una maschera e invece dietro non ci sia la paura del diverso. E non si incoraggi anzi la caccia grande dello stesso.
Vabbè, speravo che al “non sai di che parli” non ci arrivasti. Amen.
“arrivassi” – causa caldo dislessico… (voce del verbo dislessicare)
Azrael, a me non sembra che ci sia una caccia né che ci siano diversi. Lo dico sinceramente. La diversità è nelle opinioni, non nella natura di chi le esprime: e la mia critica, se posso, a quanto scritto da Dimitri nel suo post è proprio di RIDURRE il romanzo fantastico alla lotta di due fazioni contrapposte. Gli irridenti neopagani contro i grigi, tristi, borghesi conformi all’ordine. Per questo dicevo che a volte sono gli incendiari a imbracciare gli idranti. E non viceversa.
@Azrael
Ok, basta con gli insulti.
Come puoi leggere dal celebre saggio di Radin/Jung/Kerenyi, il “Trickster” è una sorta di cratofania, cioè una manifestazione incontrollata e incontrollabile di forza e fertilità, ugualmente creativo e diostruttivo, colta in uno stadio pre-morale e pre-civile. Agli psicoanalisti piace perchè incarna il carattere indisciplinato e moralmente indifferente dell’inconscio (anche se è più un inconscio alla Groddeck che alla Freud per intenderci).
E’ interessante il fatto che, quando l’eroe evolve nel senso di eroe solare, fondatore di cultura o al servizio alla comunità, il “trickster” viene assorbito come servo o come antagonista nella vicenda.
Questa lezioncina per dire che riproporlo in un contesto letterario più elaborato è fenomeno involutivo, magari una salutare ventata di barbarie dal sapore anti-accademico ma incapace a sua volta di generare strategie costruttive. Se poi diventa a sua volta una moda o pretende di fare scuola, siamo al Dadaismo fuori tempo massimo.
Il fantastico (in senso generale e non alla Todorov) è un ottimo linguaggio per parlare della vita e delle sue dinamiche.
Ho letto da poco in file Dolores Clairborne e Il gioco di Gerald di Stephen King, consiglio a tutti i coloro che non lo abbiano fatto di leggerli in fila perché i due libri dialogano tra loro ad un certo punto.
King qui parla in modo sottile e stupefacente della condizione femminile in relazione al male, in due storie profonde, umane, intense, dove l’elemento fantastico diventa una cornice perfetta, il brodo che lega tutto il sapore…
Per collegarmi al discorso in generale credo che ci sia una creatività onesta e una disonesta, un limite dai confini ovviamente sfumati…
Disonestà, per me, vuol dire proporre un’opera in cui non si dice o pensa nulla di nuovo, dove non c’è alcun contributo alla letteratura (letteratura come sostantivo e non aggettivo), dove si rimescola la spazzatura e si serve agli altri ben sapendo che è solo pappa riscaldata.
Ogni creazione dovrebbe nascere da una mancanza dare voce a ciò che voce non ha, operare per colmare una assenza, realizzare qualcosa che non c’è.
Caro il mio scrittore di genere un tanto al chilo: se non mancava quel libro, che lo hai scritto a fare? Leggilo no? Perché riscrivere quella saga, con i personaggi da ovino kinder, con le trame da fotoromanzo e il fantastico preso pari pari da una schermata di google immagini…
Caro scrittore fantasy un tanto al chilo, vai a leggere romanzi veri per favore.
Grazie.
D.
ho letto “in fila” e non “in file”.
;(
@Binaghi: bella la lezioncina, ma mi hai perso quando hai iniziato l’apologia dell’eroe solare fondatore di cultura. Questi discorsi alla Julius Evola ci pongono su piani del tutto diversi e lontani anni luce, ma danno un senso molto chiaro ai tuoi insulti precedenti.
@G.L. : mi dispiace, ma lo ribadisco… non sai di cosa parli. O meglio, ti fermi a quelle interpretazioni di massa, molto conosciute qui da noi nell’Italietta del terzo mondo e, per fortuna, superate altrove, che il Binaghi ci ha prontamente riportato. E si, che tu sembravi più il tipo da kefiah, anzichè dal Barone Evola. Ma io lo dico sempre, gli estremi spesso si toccano.
@Loredana: ma io anche sono convinto che le due fazioni esistano, e questa lunga discussione ne è la riprova. Così come credo che non è vero che si diventa davvero rivoluzionari quando si “superano le contrapposizioni”, quello è il fine di tutt’altra cosa, non della Rivoluzione (mi conceda la lettera maiuscola).
Ad ogni modo, la ringrazio per lo spazio concessomi, e magari un giorno ci si incontrerà sulle barricate… che mi sembra proprio che i tempi siano maturi, visto quello che succede nel mondo ultimamente.
Azrael, solo una cosa: se c’è un aspetto di questa discussione che realmente mi dispiace è che sembra un pro o contro Francesco Dimitri. E questo non era affatto nelle mie intenzioni: ho citato gli accessori steampunk, cappello o occhialoni che siano, semplicemente per esemplificare che, a mio avviso, esiste una deriva “il fantastico è contro i vecchi babbioni” che al medesimo non fa bene. Il fantastico è narrazione: a mio parere, può essere anche narrazione “antagonista”, e con molta efficacia. Quel che contesto, è affidare l’antagonismo al marketing: mi è concesso?
Ma guardi, a me non sembra in realtà che sia un pro e contro Dimitri: è stato solo il casus belli, per così dire.
Quel che mi chiedo è se davvero lei crede che dietro alla volontà di uno scrittore di vestirsi in un certo modo, ci sia solo del marketing: e sia chiaro, ho scritto “solo” apposta. Poi magari non so, visto che, come ho detto sin dall’inizio, io non sono un lettore professionista e non frequento la scena letteraria, e in effetti oggi come oggi siamo invasi da scrittorucoli che pur di far pubblicare la storiella che ricalca i soliti mitologemi, si fingono vampiri, maghi, mistress o chissà cos’altro.
Però, di nuovo tornando su Dimitri, lui ad esempio è uno che si è sempre “vestito strano”, o manifestato interessi molto concreti nell’ambito esoterico. O una Isabella Santacroce la trovavi davvero per locali goth e fetish fino a qualche anno fa (e no, non sono un fan della Santacroce, anzi, tutt’altro: ma l’esempio calza)
Quindi mi chiedo se questo voler minimizzare e demonizzare chi si manifesta come “diverso” non sia proprio paura di quel diverso.
C’è chi ci marcia sopra? Ne sono più che certo.
Ci marciano tutti sopra? Ne dubito.
@Azrael
Caruccio, io il barone Evola l’ho pure letto (e non sono certo un suo fan), ma quello che ti ho citato è uno dei saggi più importanti di acclarati studiosi sull’archetipo che pretendi di incarnare o emulare. Il fatto è che la cultura è fatica, analisi e risultati distillati con pazienza. Chi rifiuta tutto questo si condanna allo slogan o all’insulto gratuito, come quello con cui hai esordito in questo thread e mi ha fatto incazzare. Spero che tu sia molto giovane, la presunzione e il pressapochismo ai giovani si perdonano volentieri.
Certo, dispiace vedere ogni dieci anni qualcuno che crede di rifare il mondo da zero e poi scopre l’acqua calda. Il trickster.
@Binaghi: compio 33 anni domani, e ti assicuro che avessi voluto insultare, avrei esordito in tutt’altro modo. Buona vita, grande intellettuale 😉
Ragazzi la discussione è bollita e strabollita.
Pardon Azrael, non prendertela ma lasciami dire :Mitologemi una ceppa!
Prendere il fantastico come roba concreta, ovvero mitico-pagan-religiosa è sbagliato. SBAGLIATO.
Non perché lo dico io ma perché la letteratura è narrazione ed è cosa non concreta, perché le opere fantastiche sono scritte da autori moderni e contemporanei, cresciuti dopo la rivoluzione industriale ognuno dei quali ha una sua ben precisa poetica e le sue cose da dire per bocca di mostri, elfi e cavalieri e che è da caproni rinnegare per inseguire letture diverse da quella data da coloro che quella roba l’ha scritta.
Credere che la letteratura fantastica sia contenitore di una qualche verità mitico-spiritual-religiosa è come per gli aborigeni costruire e venerare modellini degli aeroplani di linea che vedono volare sulla loro testa. Cargo Cult.
Il culto religioso di qualcosa che è artificiale a causa dell’ignoranza di chi pratica il culto.
Tra il mostro di harry potter nei sotterranei di Hogwarts e il minotauro nel labirinto di Minosse c’è il legame che passa tra il pallone della finale di champions league e la luna, solo la forma.
Guai a chi scambia la forma con la sostanza.
D.
E con questo bell’intervento di Marotta, possiamo anche salutarci… ritorno ai miei cargo cults, e alla mia contro-cultura.
Vi lascio le vostre caste, quelle da intellettuali “bene”.
Non è contro cultura Azrael è che è proprio sbagliato confondere la letteratura con la mitologia.
La mitologià era religione, si scarificava agli dei, scorreva il sangue la gente ci credeva, la letteratura, il racconto, riflessione e considerazione non fede, né iniziazione.
D.
La letteratura pardon e il racconto sono riflessione e considerazione e non fede né iniziazione.
D.