IL SEMINARIO SULL'HATE SPEECH (VERSIONE PARZIALISSIMA E FALLACE, COME E' GIUSTO CHE SIA)

I titoli, prima del dibattito. “Laura Boldrini organizza un seminario su come censurare Internet”. (articolo3). “Minority report al Mappamondo” (ciubecca.it). I titoli, a dibattito in corso, anzi a metà: “Fallisce il seminario della Camera” (dailywired). I titoli, dopo la discussione: “Dibattito deludente a Montecitorio” (webnews). Ci sarebbero da aggiungere i tweet (#nohatespeech, se avete voglia). Ci sarebbero da aggiungere gli status su Facebook, molti dei quali vanno nella direzione che immaginate: grandi feste e apprezzamenti per chi non si sporca le mani con “quelli”, con i politici che, comunque la si voglia mettere, vogliono una sola cosa: censurare la rete. E che non capiscono la rete medesima, non hanno studiato, non gliela fanno, hanno solo esperienze personali e dunque parziali, sono ignoranti.
Ma anche se la presidente Laura Boldrini avesse raccontato di essere stata utente FidoNet e pioniera Bbs, non le sarebbe stato risparmiato il pregiudizio: la politica, questa politica,  tutta la politica, non sa nulla di Internet e quando ne parla lo fa solo per imbavagliarla.
Ebbene, com’è andato il seminario sull’hate speech che si è svolto ieri a Montecitorio? Bene e male, a seconda dei punti di vista: quello che ho imparato è che, nonostante gli sforzi di non poche persone perbene, in molti casi si ha tutto l’interesse a mantenere la contrapposizione, noi di là (i buoni), loro di là (gli ignoranti e i cattivi). Si guadagna più stima che tentando di percorrere una via mediana, che è una via di dialogo, e cercando di capire cosa non funziona dall’una e dall’altra parte.
Luca Sofri, che è stato chiamato a coordinare la discussione “dei blogger”, è una di quelle persone perbene: perché fin dalla famigerata preriunione (dove si è parlato di come costruirlo, quel ponte di dialogo, e di come rappresentare il web come luogo della complessità: ma come leggerete, uno dei resoconti dice che in quella riunione due delle solite femministe, la sottoscritta e Lorella Zanardo, “premono per parlare di femminicidio e violenza sulle donne”: quando semmai Lorella ha parlato, in quella sede, dei ragazzi e  delle ragazze che incontra durante i suoi tour nelle scuole, ma pazienza, ci sta, gli stereotipi sono una garanzia, basta usarli e avrai un sacco di fan, provare per credere).
Si comincia, comunque. Laura Boldrini dice testualmente:
“Non siamo qui oggi, dunque, per occuparci della libertà della Rete, bensì delle parole d’odio che la Rete può contribuire a diffondere. Alcuni, nei giorni scorsi, hanno sollevato il dubbio che il senso di questo dibattito potesse essere la censura di chi critica le istituzioni, addirittura la repressione del dissenso. E’ una distorsione della realtà, tanto più per chi si è speso per anni in difesa dei diritti e della libertà”.
Seguono due lunghi paragrafi sul ruolo della rete “quale strumento di libertà e partecipazione”.
Segue un riferimento al fatto che “la Rete non è uno sconfinato spazio di libertà illimitata. Le finalità di molti tra i più popolari siti al mondo, ad esempio, sono in primis commerciali, mentre mettere in atto forme di tutela efficaci per gli utenti che divengono vittime di odio non è sempre una priorità. L’obiettivo principale, fra i colossi dell’industria di Internet, rimane quello di aumentare il numero degli utenti, delle cosiddette hit, numeri da rivendere poi alla pubblicità”.
E poi arriviamo ai punti che hanno fatto saltare sulle sedie parecchi: Boldrini ricorda il caso Mary Beard, professoressa di lettere antiche all’università di Cambridge, che in seguito a una trasmissione televisiva in cui aveva parlato del contributo positivo dei migranti, è stata fatta oggetto di una campagna d’odio, caratterizzata da insulti sessisti e da minacce. Dice Boldrini:
“Le donne – anche se non figurano, a differenza delle minoranze etniche o razziali o delle persone omosessuali, tra le categorie ritenute oggetto di hate speech in molte legislazioni nazionali – sono tra le più esposte a questo fenomeno. Ne sanno qualcosa anche molte donne italiane, blogger, giornaliste, politiche, attiviste e cittadine, giovani e meno giovani, che si espongono su temi controversi e per questo sono spesso vittime di una forma di misoginia online”.
Il che è la purissima verità. E’ evidente che la misoginia preesiste alla rete, così come l’omofobia e così come il razzismo e altre squisitezze che ci caratterizzano.  Ma è altrettanto evidente e  innegabile che la rete amplifica (verbo usato anche da Stefano Rodotà), rende permanente l’insulto, dà modo a un alto numero di persone che intendono unirsi al coro di partecipare.  Questo passaggio di Boldrini è stato interpretato come un’identificazione fra problema  e mezzo. Non è così: la battaglia è culturale, e andrebbe fatta – è quanto ho provato dire nel mio intervento – nella rete. Andrebbe fatta da quelli che vengono definiti influencer: sono loro che dovrebbero dire “abbiamo un problema, ragazzi”.  Non lo fanno se non in rarissimi casi: ancora Luca Sofri ha detto limpidamente che, da maschio, riceve – quando li riceve, come tutti – insulti di natura molto diversa rispetto a una donna. Tutte le donne invitate (Lorella Zanardo, Luisa Betti, Giulia Innocenzi) hanno sottolineato questo punto. NESSUNA ha chiesto interventi speciali, ma consapevolezza, responsabilità e, santi numi, modelli maschili nuovi, affidabili, diversi da quelli che in politica, in televisione e ANCHE in rete vengono forniti.
Quanto al bullismo.
Erano presenti nella sala del Mappamondo la mamma di Carolina, la quattordicenne morta suicida qualche tempo fa, e il padre di una ragazza vittima di cyberbullismo. Questo il momento di maggiore contestazione. E su questo vorrei dire un paio di cose. Non mi sembra, a meno di non essere diventata cieca e sorda, che sia stato detto che la Rete è il Male.  Ma che il bullismo, strazio antichissimo di cui molti noi sono stati vittime durante l’infanzia e l’adolescenza, trovi forme nuove nella rete è un fatto:  una cosa è essere perseguitati, e soffrirne all’estremo, in una classe, nella strada da scuola a casa, nei luoghi che un ragazzino o una ragazzina frequentano. E’ orribile, fa male e condiziona la propria vita da adulti: e, ripeto ancora una volta, preesiste alla rete. Ma negare che la rete possa rendere permanente quell’umiliazione attraverso video postati su Facebook e YouTube (e spesso rimossi con troppa lentezza) e soprattutto chiamando perfetti sconosciuti a partecipare alla lapidazione è…cosa è? Cecità? Sono io che non capisco come sia possibile non rendersi conto della differenza? Forse.
A proposito, ecco cosa ha detto Boldrini: “In passato le vittime di bullismo subivano gli attacchi di un gruppo circoscritto di persone che avevano deciso di prenderli di mira. Una situazione difficile e angosciante, che ha segnato e segna l’infanzia e l’adolescenza di tanti, soprattutto dei molti – la più parte – che non hanno trovato la forza di reagire. Oggi, però, le bugie, gli insulti, le minacce contro una persona possono raggiungere centinaia o migliaia di utenti, finendo per causare una pressione insostenibile”.
Vero o falso? Non è stato MAI detto che è colpa della rete, ma che bisogna fare i conti con una diversificazione di modalità che la rete permette, e le permette innegabilmente.  I conti non si fanno con le leggi. Boldrini ha ripetuto QUATTRO VOLTE la frase “non è necessario prevedere nuove norme”.  E la parola “educazione” nel corso di tutta la discussione, è stata quella pronunciata con più frequenza.  Stefano Rodotà, da par suo, lo ha ribadito: è chiaro che siamo davanti a una società incattivita da anni di ferocia esibita in televisione e in parlamento (a proposito di modelli), ma è altrettanto evidente che un luogo dove questa ferocia viene (anche e non solo) ripresa e moltiplicata deve vedere un’assunzione comune di responsabilità. Rodotà ha detto: “La verità è che dobbiamo servirci del diritto che abbiamo, non un diritto nuovo, in modo più efficace”.
Ma prima di tutto questo, ripeto,  è da chi è considerato un punto di riferimento in rete che deve venire, insieme al vessillo del “siamo liberi”, una riflessione sulla parola pubblica. Troppe volte, invece, i commenti a un post o uno status diventano fogne senza che il titolare di blog e bacheca dica una sola parola (perché così si sfogano fra loro, i birbantelli). Troppe volte ai ragazzi e alle ragazze non viene spiegato che quello che scrivono oggi su Facebook e Twitter rimarrà per anni visibile e consultabile. Questo si è detto e chiesto: parole e collaborazione. Lo ha ribadito, in un intervento che ho trovato molto bello, Arturo Di Corinto, che ha chiesto – giustamente – un tavolo permanente di discussione dove i sapienti del web possano collaborare con la politica su questo punto.
Cosa rimane? Molta amarezza. Perché, con tutti i difetti del caso, questa era un’occasione di parlare anche delle problematiche del web, e non solo del suo splendore, che ovviamente ed evidentemente c’è. Si è preferito, in molti resoconti, alzare il muro. Ripeto, la scelta è pagante. Ma, a mio modesto parere, sbagliata.
Ps. In coda. Qui il video integrale del seminario. Per farsi, da soli, un’idea.

6 pensieri su “IL SEMINARIO SULL'HATE SPEECH (VERSIONE PARZIALISSIMA E FALLACE, COME E' GIUSTO CHE SIA)

  1. Penso anch’io che i concetti chiave siano cultura dell’uso delle tecnologie (e dei social network) e educazione. Una cosa che mi colpisce, per es. è che in facoltà come scienze della formazione (almeno quella che ho frequentato io, ma sto parlando di Bologna, cioè di una facoltà faro, nel suo campo), cioè facoltà dove si formano coloro che andranno poi a educare/insegnare/formare a tutti i livelli, questi temi siano pochissimo trattati. In realtà per un esame studiai un testo sul “bullismo elettronico” ma lo trovai un po’ troppo accademico come visione. Invece è fondamentale che almeno le persone che si troveranno a lavorare in contesti specificamente educativi abbiano una cultura e una consapevolezza sul tema, altrimenti continueremo a dividerci nella perenne e inutile schermaglia tra apocalittici e integrati, solo che qui – essendoci l’interattività (e intersoggettività) di mezzo – la posta in gioco è ben più grave.

  2. Condivido pienamente!
    Penso che su un argomento delicato come questo si debba avere l’onestà e l’umiltà intellettuale di non schierarsi da una parte o dall’altra. Sono finiti i tempi degli apocalittici/integrati. Non è il caso di fare tifoseria ma bisogna ragionare seriamente valutando tutti i pro e i contro che la rete comporta. Una strada secondo me perseguibile potrebbe essere quella della sensibilizzazione e della media education per far comprendere ai più giovani che il web non è un limbo dove le azioni non hanno conseguenze. Perchè il web non è un universo parallelo privo di regole. Se fai una cosa sul web è come se la facessi nella tua aula scolastica … per di più con conseguenze amplificate!

  3. Condivido l’amarezza di fondo del tuo resoconto, soprattutto dopo che ho letto l’articolo che riporti da webnews e che usa parole come queste:
    “Su Twitter, mentre il seminario prosegue, si sono scatenate le critiche a questo stile – anche se non sono mancati gli apprezzamenti – soprattutto da parte degli esperti della Rete, di blogger, giornalisti, che pensavano di partecipare a un seminario sull’hate speech di alto livello, non a uno spot su una campagna di sensibilizzazione per le scuole medie superiori promossa da persone che non riescono a pronunciare correttamente il termine cyberspazio.”
    Direi che si commenta da solo, aimé!

  4. io ho seguito in streaming quasi tutto il seminario. Mi è piaciuto molto, ma la sordità è preconcetta e forse anche decisa a tavolino.
    I sordi più semplici si fanno scudo della loro necessità e libertà di poter continuare a parlare (male) del presunto avversario (le istituzioni); i sordi più artati sono lì solo per chiudere ogni possibile analisi o dialogo.
    Che si fa? Si continua a parlare,a d analizzare e a dialogare. Anche se è triste.

  5. Copio e incollo due post che ho inserito ieri sulla pagina di Loredana, il primo subito dopo il lunghissimo ascolto in diretta:
    è finito proprio ora e l’ho gradito molto. molti spunti di riflessione… prima un po’ di pausa ora più tardi provo a esplicitare meglio.
    Il secondo ragionato di stamattina presto:
    Lunga pausa conclusa. Sensazione che il mio gradire l’ascolto si sia poi scontrato con l’essenzialità di quanto ascoltato. Non so, ma mancava qualcosa come quando si ha una buona idea ma non si hanno gli strumenti per realizzarla. Della parte istituzionale ho gradito molto Rodotà e l’invito a considerare che ciò che si fa off-line è anche ciò che compare on-line sia per le leggi di controllo, ma credo soprattutto per l’etica di un linguaggio rispettoso che sempre più spesso viene a mancare. La parte (breve per fortuna) centrale, le testimonianze, mi sono sembrate una forzatura. Per carità, nulla da dire sul peso delle storie vere… ma da insegnante potrei raccontarne tante simili che non accadono on-line. La rete amplifica l’evento e anche la sua ricezione, ma è alla base che bisogna “educare”, intendo dire prima della rete e, ovviamente anche durante e dopo. La terza parte è stata, per me, più congrua. Anche nella differenza dei modi e degli stili di comunicazione, mi è sembrato che si parlasse di vita concreta, lontano dagli abiti gessati delle istituzioni. Il che se da una parte è bello, dall’altra è veramente triste… le istituzioni non dovrebbero essere noi invece che dei nudi sepolcri imbiancati? Forte l’intervento di Loredana, toccava il punto “difendere la libertà di internet, ma senza diffondere gli insulti”, “la responsabilità degli influencer”, “le parole e immagini violente soprattutto contro le donne” che hanno una testa in testa (aggiungo io). Invitava a smettere di fare i conti con il pallottoliere per eviatre di nominare il problema “femminicidio”, per esempio. Mi è piaciuto anche molto quando sottolineava l’importanza di un’educazione per i giovani, ma con particolare attenzione a quella degli adulti. Luisa Betti sottolineava ancora l’importanza del linguaggio e il fatto che “limitarlo” nel senso di educare a usarlo meglio non è censura… e questo soprattutto negli adulti perché i giovani amplificano i comportamenti degli adulti anche on-line. Lorella Zanardo, bellissimo intervento anche lei, sottolineava il rischio di un effetto “palcoscenico” della rete con attori che si fanno protagonisti non di sé ma dell’altro da sé spesso scaricando insicurezze e fobie in rete. Insomma, chi è riuscito a leggermi sin qui ha capito che davvero gli spunti erano molti, buoni e anche cattivi, ma entrambi utili per farsi un’idea e scegliere il proprio modo di “scendere in rete”.
    Poi ho letto anche di troppi interventi contraddittori, ci rifletterò ma per il momento resto della mia opinione.

  6. A stare cinque minuti su fb pare che un sacco di persone abbiano ascoltato un altro seminario. O forse hanno solo letto i resoconti. o forse ancora, in base a uno studio recente, nemmeno letto oltre il titolo e le prime parole dei resoconti, che condividono freneticamente e che paiono tutti scritti da un’unica prospettiva (solo un tantino deformante). Un bel caleidoscopio che ripete un unico mantra: i vecchi attaccano la libertà di espressione e la rete, non è un paese per internet.
    Che sia stato detto chiaramente che il problema non nasce su internet, e che le leggi ci sono e basta applicarle, perché quel che è contro la legge fuori da internet non può essere permesso su internet, e che soprattutto si tratta di diffondere una cultura del rispetto e di dare strumenti perché questa cultura prevalga e gli abusi – già definiti come tali dalle leggi vigenti – siano riconosciuti e sanzionati, ebbene, tutto questo non viene proprio notato. Come non viene notata la preoccupazione di salvaguardare la libertà di espressione, che però va distinta da una pseudo libertà che in realtà la mina alla base.
    A me sembrano gli stessi argomenti di chi in USA difende a oltranza la libertà di armarsi fino ai denti come prevenzione della violenza.

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