IL TEMPO IN CUI IL FANTASTICO CI HA RAGGIUNTI

Letterariamente parlando, il 2019 comincia voltandosi all’indietro, per quanto mi riguarda. Conosco quel che avviene oggi. Conosco le difficoltà di trovare nuovi lettori e di riuscire a vendere quel che viene pubblicato: “Le opere pubblicate infatti aumentano del 9,3%, confermando la tendenza positiva già riscontrata nel 2016. Il 22,1% degli operatori attivi nel settore (oltre il 25% nel 2016) dichiara però che è rimasta invenduta oltre la metà dei titoli pubblicati nel 2017. Tale quota sale al 26% per i piccoli editori, scende al 21,1% per i medi e si attesta all’11,4% per i grandi marchi”.
Il mio voltarsi all’indietro ci porta fino al 1997, l’anno in cui Oreste Del Buono era vivo e attivo e io l’ho intervistato. Rileggendo, trovo che abbia ancora ragione. A voi il regalino, e i non rituali auguri di buon anno.

Allora: da una parte c’ è Philip K. Dick, ormai maestro riconosciutissimo della nuova fantascienza, ripubblicato un po’ da tutti. Dall’altra c’ è Oreste del Buono, che è anche lui magistrale e intuitivo conoscitore di quelli che un tempo si chiamavano generi popolari (sottintendendo spesso così la loro appartenenza alla bassa cucina della scrittura). Dice Dick, nella postfazione a quel Cronache del dopobomba che scrisse nel 1964: “Fare profezie non è il compito della fantascienza. Questa predice solo in apparenza. E’ come gli alieni di Star Trek tutti in inglese. Qui c’ è di mezzo una convenzione letteraria. Nient’ altro”. Dice invece del Buono: “Facciamo un esempio. A me capita di essere uno scrivente terminale. Sono uno di quelli che scrive ancora sulla carta. Dunque, passo nottate da incubo, perché non trovo più i nastri di ricambio per la mia macchina da scrivere. Prima sono scomparsi quelli in seta, poi tutti gli altri. E allora scrivo a mano e prendo atto che la vita è cambiata. Ecco, questa è la fantascienza: è quella che ci ha abituato ad accettare le cose, e che oggi è diventata il libro dove rintracciare le nostre preoccupazioni”.
Dunque va attribuito a questa funzione specifica il ritorno di attenzione, il moltiplicarsi di collane, traduzioni, antologie che riguardano sia i classici sia i nuovi autori di fantascienza?
“Io credo che sia dovuto soprattutto ad un ritardo italiano, Philip K. Dick è stato scoperto molto tardi: eppure è stato un vero profeta. Pensi che ha descritto gli effetti della droga prima ancora di cominciare a drogarsi. Ora accade che la sua fama si sia notevolmente allargata, facendo sì che un grande autore divenisse un autore popolare. E’ successo anche a Stephen King”.
Accade, sostanzialmente, che lo scrittore di genere venga oggi nobilitato, e dunque ripubblicato?
“Accade anche questo. Ma la cosa più interessante è un’altra. E’ che i generi e i sottogeneri non sono più rigorosi. Tutto si confonde, i limiti non esistono più. Una volta il romanzo giallo doveva necessariamente essere di poche pagine: perché doveva poter entrare in una tasca. Una volta il numero e le condizioni dei cadaveri non erano essenziali. Leggendo Agatha Christie, ci si imbatte nei delitti più efferati raccontati come squisita normalità, come mosse del gioco degli scacchi o della dama.
Poi, dal giallo si è passati al giallo d’ azione, e dopo al giallo-nero, e dopo ancora al noir, e all’horror. Oggi ogni frontiera è abbattuta: in un romanzo coesistono fantascienza, delitto e storia d’ amore. Sono romanzi venduti come omnibus: e un tempo l’ omnibus era Via col vento”.
Sembra che la contaminazione non le piaccia troppo.
“E’ così. Diffido del prendere le cose tutte insieme, nello stesso volume. Diffido dei romanzi a fior di pelle, dove la riflessione è ridotta al minimo. Quel che temo, insomma, è che se in un libro c’ è tutto, si vada necessariamente verso l’ unico libro. E dunque non più verso una visione completa, ma verso una visione di tutti i difetti possibili”.
Una visione che, però, potrebbe corrispondere più di quella della fantascienza classica alla realtà. Questo avviene in molti autori cyberpunk. Gibson, per esempio.
“E’ vero, Gibson, addirittura, racconta di cose che sono già avvenute senza che ce ne accorgessimo. Io, però, ho una concezione agricola della fantascienza: anche se sono nato in un’ isola, resto un contadino, e da contadino sono convinto che i campi vadano in malora se non si cambia coltura. Questi generi di divertimento non possono essere usati sempre. Non in tutti i libri. Anche perché, ormai, noi viviamo in un’ alterazione. Questo è l’ altro punto importante. Siamo circondati dai mostri: pedofili, serial killer. Non sappiamo più se siano stati creati dai libri o se siano veri. Ormai basta scavare per trovare un cadavere, o trovarne almeno un pezzo. Non possiamo scavare ancora, credo. Il Duemila è cominciato da tanto tempo. E noi siamo, come dire, straniati”.
Vuol dire che, a differenza di quanto avveniva nella fantascienza classica, il divario tra immaginario e reale, o meglio tra possibile e reale, si è accorciato?
“Se penso che veniva considerato irrealizzabile il telegrafo senza fili! Per la mia generazione è una disgrazia invecchiare: noi abbiamo visto l’ impossibile verificarsi. A volte mi sembra che certa fantasia degradata, quella più marcatamente catastrofica degli scrittori di fantascienza inglesi, sia diventata incredibilmente somigliante alla nostra vita. Ma questo è avvenuto altre volte: alcuni autori di fantascienza furono arrestati perché avevano previsto cose che poi si verificarono: è accaduto durante la seconda guerra mondiale. Quello fu un periodo di stupore, che seguì all’ottimismo iniziale: lo stupore di chi si accorge che scrivendo si può vedere il futuro. Poi il futuro si è rivelato una delusione. Ma certo stupore resta: se pensa che uno scrittore di fantascienza ha fondato un impero come Scientology. Se pensa a Milano capitale dell’ ozono. O al delitto della Sapienza, e a tutti i delitti che io chiamo della stanza chiusa, come quello di via Poma: i delitti non politici e inspiegabili, dove il colpevole non verrà mai catturato perché manca un fattore indispensabile, il pentito. Se pensa a tutti i tiranni che vivono ancora, e vivono bene. Queste sono brutte storie di fantascienza”.
E le belle storie quali sono?
“Quelle di Dick. E di Ballard, che rispetto al primo è decisamente più scettico. Ma in un certo senso è un bene, perché lo scetticismo forma la filosofia, e i dolori e vizi di Ballard sono qualcosa che riconosciamo come nostro: si saldano con i nostri vizi possibili. Del resto, l’ ottimismo in fantascienza è diventato un’ illusione. Lo si ricorda come si ricorda la fiducia che abbiamo attribuito a quell’uomo politico che ormai è indegno. Anche le manifestazioni religiose sono ai confini, perché devono lottare contro troppe cose. L’ ingegneria genetica, per esempio: è fantascienza, ma la chiamiamo scienza. Faccio una confessione: sono stato invaso da una grande soddisfazione quando ho appreso che Dolly, la pecora clonata, era nata vecchia. Ho avuto un moto di gioia, un po’ maligno: prendi questa, Dolly, tiè. Sono le mie oscure paure di trovarmi clonato. Mi disturbo già ora, due me stesso non potrei sopportarli. Quindi, come vede, non è che la fantascienza stia tornando: semplicemente, ci ha raggiunti”.

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